In un silenzio che non promette nulla di buono, l’Italia dovrà
decidere tra breve dove “sistemare” circa novantamila metri cubi di
scorie nucleari. Sono i residui prodotti dalla breve stagione del
nucleare in Italia (quella chiusa prima con il referendum del 1987 e poi
con quello del 2010). Poi ci sono altri residui legati alle attività,
in particolare quelle di carattere medico-radiologiche.
contropiano.org Federico Rucco
Si tratta comunque di migliaia di metri cubi di scorie radioattive,
anche se di grado diverso. Quelle più rognose (ad alta attività
radioattiva) sono quindicimila metri cubi ma rappresentano quasi il 90%
della radioattività emessa. Gran parte di questi rifiuti molto
particolari erano all’estero - in Francia e in Gran Bretagna
soprattutto, ma qualcosa c’era anche in Svezia – ed ora devono rientrare
in Italia sotto forma di blocchi vetrificati. I programmi prevedono il
rientro in Italia del materiale radioattivo proveniente dalla centrale
da Sellafield (Inghilterra) a partire dal 2019, e quello dalla centrale
nucleare francese di La Hague dal 2020 al 2025.
L’individuazione delle aree dove collocare queste scorie rappresenta un serissimo problema. Secondo quanto reso noto dal Corriere della Sera del
20 novembre, entro dicembre l’Ispra renderà noti i criteri tecnici ai
quali il deposito nucleare nazionale dovrà uniformarsi ed entro il
prossimo agosto, la Sogin (la società pubblica che si occupa dello smantellamento delle vecchie centrali nucleari) dovrà indicare la Carta
nazionale delle aree potenzialmente idonee. Secondo le prime
indiscrezioni le scorie non verranno interrate nel sottosuolo, ma
ospitate in una struttura di superficie in grado di resistere per
duecento anni. In questa struttura verrebbero però ospitate in modo
permanente le scorie a bassa e media e “per qualche decennio quelle ad
alta attività, in attesa di trasferirle a un deposito europeo di
profondità”.
I vertici della Sogin hanno depositato in Parlamento un documento con le indicazioni su dove collocare le scorie. La Sogin (il presidente è Zollino, l’amministratore delegato è Casale) nel 2012 ha
speso 2,1 miliardi di euro. Conta di aver bisogno di altri 3,8 miliardi
per il nuovo impianto di stoccaggio in superfice. Occorre poi tenere
conto che in queste cifre non sono compresi deposito e parco
tecnologico, con costi aggiuntivi tra i 700 milioni e 1 miliardo di
euro.
Il costo della Sogin nelle bollette elettriche delle famiglie
italiane è già oggi di circa 220-230 milioni l’anno. La società si
difende con gli argomenti del businnes. Secondo alcune stime, nei
prossimi anni il mercato mondiale dello stoccaggio e smantellamento di
scorie e materiale radioattivo potrebbe portare ad un giro d’affari di
600 miliardi. Se l’Italia ne gestisse anche solo l’1% i conti andrebbero
in pareggio. Un enorme giro di soldi dunque, ma per intercettarli
occorre prendere il proprio pezzo di spazzatura radioattiva. Secondo le
stime contenute nel rapporto che la Sogin
ha consegnato alla Camera (e sul quale sarebbe bene che i parlamentari
facessero sapere qualcosa di più), saranno necessari almeno quattro anni
per arrivare a una localizzazione condivisa del sito di stoccaggio e
all’”Autorizzazione unica”. Altri quattro anni serviranno per la
progettazione esecutiva e la costruzione dell’impianto di stoccaggio. E
qui si aprono i problemi. Ad esempio la Lega
ha già fatto approvare dalla Regione Emilia-Romagna una risoluzione che
dice no all’installazione del deposito nella ex centrale nucleare di
Caorso (Piacenza), il cui materiale radioattivo è stato trasferito in
Francia tra il 2007 e il 2010. A
Trino Vercellese, il combustibile nucleare esaurito è in parte “in
ammollo” nella piscina della centrale (39 elementi di uranio e 8 di mox,
una miscela di uranio e plutonio). Le scorie nucleari del Garigliano si
trovano nel Regno Unito dal 1987, ma 63 elementi sono parcheggiati nel
deposito Avogadro di Saluggia destinati alla Francia. A Saluggia,
tramite l’impianto Eurex (dove si riprocessava l’uranio) è il sito dove
si registra la maggiore attività, all’incirca il 70% della radioattività
registrata in tutti i siti italiani.
Infine all’Itrec di Rotondella, in Basilicata, stazionano ancora 64
elementi di combustibile del ciclo uranio-torio, ritenuto molto tossico e
proveniente dal reattore americano di Elk River. Eredità di un accordo
con gli Usa degli anni ‘70 e che tra mille difficoltà sta lentamente
riprendendo la via del rientro. Bosco Marengo, secondo la Sogin, dovrebbe essere il primo impianto a ritornare alla condizione di “greenfield”.
Italia e Francia nel recente vertice tra Letta e Hollande, hanno
ribadito gli impegni presi in materia di trattamento delle scorie
nucleari previsti dall'Accordo intergovernativo di Lucca . Nell’incontro
bilaterale di Roma di una settimana fa, è stata anche confermata la
prosecuzione del programma di trasporto delle scorie italiane da
trattare in Francia e l'attuazione del calendario di rientro delle
scorie in Italia.
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mercoledì 27 novembre 2013
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