Ripercorrere i territori
teorici e storici del mutualismo di base vuol dire attingere ad un’ampia
cassetta di attrezzi per il presente, le pratiche della Rap dimostrano
che l’intervento sociale dal basso permette di parlare al popolo della
crisi frammentato, nella sua composizione, dalle trasformazioni di venti
anni di globalizzazione neoliberista. Il terreno della crisi può essere
terreno di sperimentazione e creatività perché impone di ripensare a
tempi e forme dell’agire politico, il mutualismo permette la
ricostruzione di un’agibilità materiale del conflitto e anche una
rilegittimazione della “politica” in quanto immediatamente connessa ad
un’utilità, solidale e demercificato. L’idea della messa in rete delle
forme di resistenze auto organizzate ha trovato il consenso dei
sindacati presenti per cui la “confederalità sociale” è l’approccio
condiviso per provare a ribaltare il tavolo, per scardinare la
ricattabilità dei lavoratori. Come importante è l’esperimento tentato a
Reggio di costruire una Mag che, viste le attuali difficoltà di accesso
al credito, potrebbe rappresentare un canale importante per il
finanziamento di progetti sociali dal basso.
Si è poi discusso di come mettere a valore quelle resistenze che il modello di capitalismo “predatorio” e “parassitario”, che ha caratterizzato il sud dal dopoguerra ad oggi, ha sollecitato nei subalterni meridionali. Come posto da un compagno dei comitati locali, nei territori non urbani la pratica dell’autoproduzione agricola ancora resiste e rappresenta una fetta importante del reddito di tanti meridionali: rafforzare queste reti informali costruendo sbocchi di mercato più ampii, permettendo il superamento della soglia produttiva di sussistenza, potrebbe favorire un circuito alternativo ai canali della grande distribuzione, che spesso sono il principale terreno di valorizzazione del capitale criminale. Con la consapevolezza che non è possibile costruire un altrove pacificato fuori da questo capitalismo in cui esistono nicchie di buon consumo e buona produzione, ma che tutto questo può immediatamente favorire la riorganizzazione di pezzi di popolazione da agire contro questo sistema.
L’assemblea si è conclusa con l’obiettivo di costruire due linee d’intervento:
1) creare spazi di distribuzione per la produzione informale
2) Iniziare un percorso di inchiesta sulla situazione agricola calabrese finalizzato a verificare la fattibilità di un proposta (articolabile anche come proposta di legge popolare) per un rilancio occupazionale in questo settore attraverso cooperative di disoccupati e precari.
Si è poi discusso di come mettere a valore quelle resistenze che il modello di capitalismo “predatorio” e “parassitario”, che ha caratterizzato il sud dal dopoguerra ad oggi, ha sollecitato nei subalterni meridionali. Come posto da un compagno dei comitati locali, nei territori non urbani la pratica dell’autoproduzione agricola ancora resiste e rappresenta una fetta importante del reddito di tanti meridionali: rafforzare queste reti informali costruendo sbocchi di mercato più ampii, permettendo il superamento della soglia produttiva di sussistenza, potrebbe favorire un circuito alternativo ai canali della grande distribuzione, che spesso sono il principale terreno di valorizzazione del capitale criminale. Con la consapevolezza che non è possibile costruire un altrove pacificato fuori da questo capitalismo in cui esistono nicchie di buon consumo e buona produzione, ma che tutto questo può immediatamente favorire la riorganizzazione di pezzi di popolazione da agire contro questo sistema.
L’assemblea si è conclusa con l’obiettivo di costruire due linee d’intervento:
1) creare spazi di distribuzione per la produzione informale
2) Iniziare un percorso di inchiesta sulla situazione agricola calabrese finalizzato a verificare la fattibilità di un proposta (articolabile anche come proposta di legge popolare) per un rilancio occupazionale in questo settore attraverso cooperative di disoccupati e precari.
Nessun commento:
Posta un commento