È
possibile, mentre il XXI secolo avanza e una grave crisi sconvolge
economie e società di mezzo mondo, riuscire a fabbricare beni e servizi
ad alti livelli di produttività e mantenere al tempo stesso fermi i
diritti che i lavoratori hanno conquistato in una generazione di lotte e
sacrifici? A questo interrogativo l’ad Fiat Sergio Marchionne ha
risposto più volte di no.
Luciano Gallino Repubblica
Per contro giorni fa la Consulta ha
stabilito in sostanza che sul terreno dei diritti acquisiti non si può
tornare indietro, per cui una soluzione andrà comunque trovata. A sua
volta la presidente della Camera (diciamolo: una delle poche voci alte e
forti sortite dalle elezioni di febbraio) ha risposto, parlando nella
sua lettera all’ad Fiat, di lavoro da reinventare e ripensare sotto
nuove forme e in chiave di innovazione e produttività, decisamente di
sì: deve essere possibile.
Sostenendo con le sue azioni dal 2004
in avanti il principio che per produrre come si deve bisogna oggi
ridurre i diritti dei lavoratori, principio che la Consulta ha ora
bocciato, Marchionne non ha ovviamente inventato nulla di nuovo. Ha
deciso di seguire la polverosa strada bassa delle relazioni industriali,
progettata e costruita in Usa e nel Regno Unito dai governi Reagan e
Thatcher degli anni 80, poi percorsa attivamente in Francia e in
Germania anche da governi sedicenti socialisti o socialdemocratici, o
comunque con l’appoggio dei partiti così denominati. Si veda, nella
prima, la legge sulla modernizzazione del diritto del lavoro, e nella
seconda la sequela delle leggi Hartz — dal nome di un ex capo del
personale cui il governo ritenne di affidare, nientemeno, che il compito
di insegnare ai lavoratori ad essere più responsabili. Il che ha
significato accettare senza discutere salari “moderati”, potere e
rappresentatività dei sindacati in picchiata, condizioni di lavoro
sempre più pesanti.
Parrebbe giunto il momento di riconoscere che
la strada bassa delle relazioni industriali è stata una pessima
costruzione. Ha compresso in misura iniqua quanto economicamente
insensata la quota salari in Europa come in America; ha contribuito a
produrre milioni di disoccupati; ha favorito la scomparsa di interi
settori produttivi. Peggio che mai in Italia, dove la generalizzazione
della ricetta Marchionne a tutto il settore industriale non sarà stata
la sola causa, ma di fatto si è accompagnata a crolli paurosi della
produzione: in un decennio scarso la costruzione di auto è scesa della
metà, non si fabbricano più grandi navi, sono in crisi tessili ed
elettrodomestici, l’aerospaziale ha i problemi suoi, la chimica è un
nano rispetto a quello che era tempo addietro.
In questo quadro
più nero che grigio, che cosa significa reinventare e ripensare il
lavoro in chiave di innovazione e produttività, per usare le parole
della presidente della Camera? Significa varie cose. Che bisognerebbe
smetterla di concepire la produttività come lavorare sempre più in
fretta sotto il controllo di un computer, come vorrebbe la metrica Fiat
imposta dal cosiddetto accordo di Pomigliano: con il risultato ultimo,
osservabile in tutti i comparti produttivi, che nel momento in cui
finalmente gli operai lavorano come robot, vengono subito sostituiti da
robot nuovi di zecca (come ho ricordato altre volte, l’Italia è da anni
il secondo maggior acquirente europeo di robot industriali).
La
produttività andrebbe invece correttamente vista come valore aggiunto
per ora lavorata, un risultato che si ottiene innovando, contando
sull’intelligenza dei lavoratori invece che sulla loro disciplinata
obbedienza, riconoscendo che nelle critiche che essi ed i sindacati
fanno all’organizzazione del lavoro – e perché no ai prodotti – c’è più
produttività da ricavare che non imponendo ritmi forsennati di lavoro.
Per
tacere della ricetta di Henry Ford, che non era precisamente il
titolare di un’opera pia, ma all’incirca un secolo fa scoprì una formula
che i manager di oggi sembrano avere dimenticato: raddoppiò il salario
giornaliero agli operai contando sul fatto – allora puntualmente
verificatosi – che essendo pagati meglio potevano acquistare i prodotti
che fabbricavano. Al fine di concretare questi contenuti della
produttività, la tutela dei diritti di rappresentanza, di parola, di
partecipazione dei lavoratori attraverso i sindacati riveste più che mai
un ruolo fondamentale.
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