martedì 23 luglio 2013

Il capitalismo malato non si cura in tribunale

di Guido Rossi, da Il Sole 24 Ore
La depressione economica che ha colpito prezzi, interessi, profitti, e che ha assunto sempre più l'aspetto di una deflazione, la quale tende a ridurre i consumi e quindi la domanda effettiva e in conseguenza l'offerta e l'occupazione, non sembra trovare soluzione.

Nessuna politica monetaria sull'euro è apparsa salvifica per l'Europa, i cui tentativi di ribaltare questo generalizzato andamento negativo sembrano naufragare di fronte a una sfibrante incapacità della politica, vittima a sua volta di una sempre più sconfortante sfiducia. Tale incapacità sembra la conseguenza di costanti urgenze elettorali, con scadenze vicine, come sta avvenendo in Germania, o con minacce costanti, come in Italia, Grecia, Spagna e altrove, o ancora con inquiete incertezze come in Francia. Ma per quel che riguarda il nostro Paese v'è di più. L'aggravarsi della crisi economica globalizzata ha prodotto, insieme alla diffusione di fenomeni di criminalità economica, dalla quale peraltro nessun Paese sembra andare esente, uno squilibrio delle nostre istituzioni e dei poteri dello Stato. 

Già da molti anni la democrazia italiana ha dovuto far fronte a una domanda di giustizia di proporzioni inusitate. Ciò a seguito di repentini cambiamenti, non solo economici, bensì anche sociali, e di conseguenza ha subìto un processo di "giuridicizzazione", con una macchina della giustizia inadeguata. Non a caso l'Italia è ai primi posti nelle condanne della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo per la barbara situazione delle carceri sovraffollate, nonché per gli abnormi ritardi della giustizia civile, che la rende il più delle volte inutile e solo dispendiosa.


Intanto, nella totale prolungata inettitudine degli altri poteri dello Stato, cioè di inconcludenti poteri esecutivi e nella avvilente condotta di quelli legislativi, i magistrati, giudici o procuratori, vanno sempre più assumendo un ruolo ingiustamente centrale, come sostituti effettivi di una facilmente criticabile assente politica, assumendone a volte anche rilevanti ruoli come protagonisti.

Come ha scritto prima di me Sabino Cassese: «I magistrati, siano essi giudici o procuratori (…), da un ruolo marginale, sono passati a giocare un ruolo centrale. Non c'è questione importante che non abbia un risvolto giudiziario. (…) Essi non si limitano ad assicurare il rispetto della legge, dànno anche indicazioni positive. Entrano nel campo una volta riservato alla politica» (Il mondo nuovo del diritto, Il Mulino, 2008, p. 21).

Questa centralità si è naturalmente estesa anche al settore dell'economia, dove talvolta la magistratura tende, non si capisce in base e in ossequio a quali principi, a dettare imperativamente comportamenti imprenditoriali, giustificandoli con veri, o financo anche solo sospetti, atti di mal governo dell'impresa.
La conclusione è che i magistrati - giudici o procuratori - sono ormai diventati i soli incontestati rappresentanti del popolo e dello Stato.

Insomma, la cosiddetta «supplenza giudiziaria» è andata a sostituirsi agli altri poteri che non hanno saputo produrre ordinamenti adeguati.
E così, aldilà di ogni discorso sulla legittimazione delle pene e sulla loro proporzionalità con il reato, un'autorevole dottrina insegna che il diritto penale, rivolto a rassicurare la collettività e a placarne le insicurezze, laddove mostri soltanto che lo Stato funziona con severità nell'esercizio del monopolio della violenza, dà purtroppo prova di inefficienza nel contenere la devianza economica e costituire un autentico strumento di deterrenza. Aggiungo che la cultura della vergogna non si è radicata in Italia, a causa di costumi storicamente rilassati, sicché la sanzione di vergogna è caduta nell'indifferenza collettiva.

Ne deriva che un ordinamento composto di una inutile e continua alluvione di norme contraddittorie aggrava la situazione generale del Paese conducendo spesso le imprese a uno stato di paralisi e di forzata rinuncia alla loro funzione di strumento dello sviluppo economico.
Quando poi le decisioni punitive personali, che presumono responsabilità penali, tendono a essere recepite come strumento di intimidazione generale, la situazione non può che peggiorare.

In definitiva, il capitalismo malato non si riforma certo con la supplenza giudiziaria, che pur deve servire a punire i colpevoli, bensì con una reale modifica non solo delle strutture di governo dell'impresa, ma anche della stessa democrazia.
La soluzione dei problemi accennati all'inizio sta allora principalmente nel ripensare - se non vuol perire - a nuove forme di democrazia, la quale riapra le porte alla difesa dei diritti fondamentali e al rispetto della dignità umana in un nuovo contratto sociale che ripristini i corretti poteri dello Stato.

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