Malgrado i democratici facciano asse fisso con l'Udc, Sel continua – a parte qualche dichiarazione – ad essere un fedele alleato. Eppure dentro il partito si iniziano a sentire i primi malcontenti per questa alleanza morbosa con Bersani. Per Vendola è l'ora di decidere.
di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
La corda è tesa, talmente tesa che alla fine potrebbe pure strozzarti. Ma Nichi Vendola proprio non vuole tagliarla, come se il suo rapporto col Pd fosse legato da un fatto ancestrale.
La scena è questa: Pierluigi Bersani che corre – dalla parte sbagliata, ma corre – verso Pierferdinando Casini, l’ex alleato di Silvio Berlusconi (ci ha governato assieme cinque anni, dal 2001 al 2006, casomai ve lo foste scordati. Anzi, ci governa ancora diverse regioni italiane). Un rapporto politicamente contro natura; lo pensano in molti, lo pensa lo stesso Vendola. Pazienza. Il Pd continua la sua marcia, fedele al teorema di Massimo D’Alema: alleanza con l’Udc, a tutti i costi; sostegno al governo di Mario Monti, a tutti i costi. Di sfondo, il governatore della Puglia che rincorre il segretario Pd, gli chiede di ripensarci, di tornare sui suoi passi. Gli ricorda di Vasto, gli ricorda di Milano, Genova, Cagliari. Niente da fare. Bersani non si schioda. La priorità è l’Udc. E poi Vendola: se ci sta bene, altrimenti ciao.
Fuori l’Italia dei Valori del populista Antonio Di Pietro, fuori i pericolosi comunisti della Federazione della Sinistra, fuori il nuovo soggetto politico Alba, fuori la Fiom, fuori chi non si rassegna al mero governo dell’esistente.
Fossimo in amore, tutto sarebbe più chiaro e anche più plausibile. Per amore ci si va anche a perdere. Ci si abitua a tutto. Si piega la testa e se necessario ci si fa trattare pure da amanti. La politica, però, dovrebbe essere un’altra cosa.
E allora, per capire le ragioni di Vendola, del suo insistere imperterrito in un fantomatico «centrosinistra» che così chiama ma che in un «centro» tout court si traduce, bisogna tornare indietro di qualche anno. Al congresso di Rifondazione Comunista di Chianciano del 2008, perso da Vendola, e alla conseguente scissione e nascita di Sinistra Ecologia e Libertà.
La nascita di Sel altro non fu che un progetto di questo tipo: abbandonare l’intransigenza neocomunista per far nascere qualcosa di nuovo a sinistra. Una sinistra meno ideologica, colorata, vivace, movimentista, radical ma responsabile. Non un partito, ma «una partita da aprire». Per questo Vendola ha sempre lavorato in un’ottica di «centrosinistra» insistendo in maniera martellante sulle primarie quali strumento di democrazia. E magari come mezzo per l’obiettivo più ambizioso: cioè il big bang del centrosinistra. Riuscire a “rompere” il Pd, creando un soggetto nuovo, moderno, postcomunista, a metà in Europa tra i socialisti e il gruppo della sinistra alternativa del Gue. Una sinistra con vocazione maggioritaria, di governo.
Due anni fa, Vendola aveva il vento in poppa, era il nuovo che avanzava. In caso di primarie avrebbe veramente dato del filo da torcere a Bersani. E infatti il Pd non le convocò.
Poi arrivò la foto di Vasto: un’alleanza tra Pd, Sel e Idv. Con la promessa delle primarie. E invece cade Berlusconi e arriva il governo dei tecnici. Che poco hanno di tecnico e molto di ideologico: sorretti dal Pd, assieme a Udc e Pdl, si sono finora contraddistinti per delle politiche di destra e neoliberiste.
Perché in mezzo al caos e alle incertezze della politica italiani, gli ultimi anni sono stati quelli della crisi economica. Che di fatto ha messo in luce le contraddizioni di un sistema capitalistico poggiato sulla finanza e non più sul lavoro. Un’occasione unica per rispolverare e rendere appetibili – dopo decenni di continui cedimenti, politici e culturali alle ragioni del dio mercato – le ricette di una sinistra ancora tale.
In Rete gira – condiviso da migliaia di utenti – un appello di due giovani militanti di Sinistra Ecologia e Libertà. Chiedono un’inversione di rotta. Basta Pd. «Nichi, ripeti spesso che c'è bisogno di sinistra – si legge – ma quale sinistra si può costruire con chi ha portato l'età pensionistica a 67 anni, con chi ha manomesso l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori («Un esempio di riformismo», ha affermato Anna Finocchiaro), con chi vuole il TAV in Val di Susa, con chi ha votato in ogni occasione il rifinanziamento delle missioni militari in Afghanistan, con chi, sui diritti degli omosessuali, attua la politica del cilicio, con chi ha sostenuto il sì al fiscal compact e al pareggio di bilancio, con chi si è pericolosamente diviso su Marchionne e sul reddito minimo garantito, con chi in Sicilia ha appoggiato Lombardo per anni, con chi ha avuto (ed ha tuttora) una posizione ondivaga sui beni comuni, sui temi etici e sulla laicità dello Stato?».
Alle prossime elezioni per Sel trovare un programma nazionale comune col Pd sarà sempre più difficile, soprattutto se di mezzo c’è anche l’Udc. Eppure Vendola sembra vivere una schizofrenia: dice cose di “sinistra” ma politicamente non ha il coraggio né di rompere (sarebbe troppo, un’auto sconfessione rispetto alle scelte di qualche anno fa) né di alzare la voce col Pd. Tanto che il “destro” Enrico Letta («Tra Pdl e Grillo meglio il Pdl», disse al Corriere della Sera) continua a considerare Sel roba sua. La dà per ovvia come alleata alle prossime elezioni. A differenza dell’Idv, che dopo la richiesta di spiegazioni a Giorgio Napolitano sulla trattativa stato-Mafia è sempre più lontana dal Pd.
Gennaro Migliore, tra i fedelissimi di Vendola, non ha perso tempo per bacchettare Di Pietro, il quale in un’intervista al Manifesto difendeva il non aver voluto la commissione d’inchiesta su Genova 2001. Giusto, ma perché con la stessa celerità non si rimproverano Bersani e co. che votano un giorno sì e l’altro pure l’indifendibile in Parlamento?
Il 2013 si avvicina. Se la parola “sinistra” ha un senso, e non è invece un bollino da appiccicarsi addosso il giorno delle elezioni per accaparrarsi voti, allora per Sel la strada è obbligata: o riuscire a concordare con Pd e Udc almeno due o tre impegni di governo precisi, chiari, in caso di vittoria alle elezioni – conoscendo i due soggetti, si rasenta l’utopia; oppure «riaprire la partita» per una sinistra allargata, vera, riconoscibile, concreta e autonoma capace di rendere fattibile un’alternativa di governo. Perché il coraggio, in politica (come in amore), paga.
PS. Oggi il sito Linkiesta pubblica un commento sul bilancio di Sel. Lo fa in toni entusiastici. Un bilancio «pulito e trasparente», scrive Alberto Crepaldi. Segno che la buona politica, fatta con onestà e correttezza, può esistere anche senza i vaffanculo. Sicuri che portare una dote del genere agli amici e compagni dei tanti Lusi, Penati e Cesa, ai parenti dei palazzinari ecc., non rischi di far finire anche Sel nel calderone mediatico della “Casta”?
Nessun commento:
Posta un commento