Il progetto dell'Italian Entertainment Group di Luigi Abete, sta per prendere forma. Ristoranti piscine e alberghi sorgeranno al posto degli storici set cinematografici sulla via Tuscolana
ilfattoquotidiano di Gabriele Paglino
Da quando furono inaugurati – era il 28 aprile 1937 – divennero subito sinonimo di cinema italiano, oggi però i più antichi e famosi movie studios nostrani, quelli di Cinecittà in via Tuscolana a Roma, sono destinati a far posto ad un altro tipo di intrattenimento e svago: alberghi, ristoranti, palestre, beauty farm, piscine. Un progetto avviato già tre anni fa da Luigi Abete, numero uno di Bnl e patron della IEG, Italian Entertainment Group – la holding che controlla la Cinecittà Studios Spa –, e che adesso sta per diventare realtà. Non è finita, perché a Castel Romano, dove Dino De Laurentiis costruì i suoi teatri di posa, sorgerà un grande parco divertimenti a tema. Si chiamerà Cinecittà World, “un mondo – dice il video spot, lanciato dalla società nata in vista della realizzazione del nuovo progetto (Cinecittà Parchi Spa) – dove potrai incontrare le emozioni che hai sempre sognato” il primo e più grande parco a tema in Italia dedicato al cinema, inserito dal Comune di Roma nelle priorità del II° Polo Turistico della Capitale. Sorgerà a Castel Romano, uno dei due principali centri produttivi di Cinecittà, dove negli anni ‘60 Dino De Laurentiis costruì i suoi studi (Dinocittà).
E che adesso il nipote Aurelio, produttore di cinepanettoni, insieme ai suoi soci (Abete, Della Valle e la famiglia Haggiag), ci porterà un mega luna park. Montagne russe, scivoli d’acqua e tante altre attrazioni – non mancheranno locali e ristoranti –, lì dove un tempo venivano girati capolavori come “Barabba”, “La Bisbetica domata, “La voce della luna”.
Per rilanciare il settore e l’azienda, con un buco di bilancio di oltre 4 milioni di euro – avrebbero problemi anche a pagare il canone di locazione degli studi di via Tuscolana alla Cinecittà Luce, cioè lo Stato – ecco il nuovo piano industriale di Abete & Company: far sorgere proprio nell’area degli studi di via Tuscolana un complesso immobiliare dotato di un albergo 5 stelle, centri wellness, parcheggi, punti di ristorazione, insieme a un nuovo teatro di posa. Il secondo step del progetto prevede invece la costruzione di un “DCM”, Distretto del cinema e del multimediale. Tutti servizi rivolti alle troupe e agli operatori del settore. L’imperativo è: “Sviluppare la location e i servizi strettamente connessi”, si legge sul piano della Cinecittà Studios Spa. “In questo modo – confidano i vertici dell’azienda – si riuscirà ad attrarre il cinema internazionale”. Bisogna però “ridurre i costi fissi”. Come? Dismettendo l’attività produttiva: “Una joint venture con la Panalight (ndr. azienda del settore mezzi tecnici televisivi) – riporta il piano alla voce Azioni concrete – che comporterà il conferimento del ramo d’azienda mezzi tecnici di ripresa”. E via 6 lavoratori; “il conferimento del ramo d’azienda scenografie in Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni (ndr. neonata società, anch’essa controllata dal gruppo IEG)”: 52 artigiani delle scenografie saranno messi a disposizione del premio Oscar Dante Ferretti, chiamato per ideare e architettare le attrazioni di Cinecittà World; ci si sbarazzerà anche dell’intero comparto della post-produzione (la Cinecittà Digital Factory).
Per la IEG il cinema sembra non essere più un settore proficuo. Insomma, meglio cimentarsi in altro. Crisi anche nella settima arte? Non proprio. Certo ci sono i tagli al Fus (32 milioni di euro in meno rispetto al 2010), ma il cinema italiano, come dimostra il rapporto “Il Mercato e l’Industria del Cinema in Italia” presentato pochi giorni fa, regge bene: “sono 155 i titoli italiani prodotti nel 2011. La migliore performance più recente del cinema nazionale, seconda soltanto ai successi del 1960”. Di questi 155 film, però, solo sette sono stati girati a Cinecittà. Fare un film lì non conviene: costa molto di più e la struttura cade quasi a pezzi. Si preferisce così puntare su altre regioni, come il Piemonte, la Puglia, la Sicilia (se non addirittura all’estero). Cinema romano e cinema italiano, dunque, non sono più sinonimi. “Negli ultimi anni – dice Alberto Manzini, segretario generale Sic-Cgil – a Cinecittà si fanno, quasi esclusivamente, reality come Grande Fratello, i programmi tv di Maria De Filippi e, di tanto intanto, qualche fiction”.
I 90 lavoratori verranno affittati alla multinazionale statunitense Deluxe. Nessuna collocazione invece per altri 18 “che, nell’ipotesi inizialmente prospettata dalla società, avrebbero potuto essere integrati nel conferimento del ramo d’azienda, ipotesi purtroppo resa impossibile stante l’indisponibilità delle OO.SS”. Colpa dei sindacati insomma, “i peggiori nemici di Cinecittà”, come li definì qualche tempo fa Luigi Abete.
“Svuotarla per poi seppellirla sotto una colata di cemento di quasi mezzo milione di metri cubi. E’ così che Abete e i suoi amici intendono valorizzare Cinecittà? – si domandano le maestranze –. E che ne è di quell’accordo del ’97, secondo cui la gestione di Cinecittà veniva privatizzata ma con l’obbligo per chi la prendeva in affidamento (ndr. la IEG di Abete e soci) di continuare a fare film?”
Sulla questione il Mibac non può intervenire. Così ha lasciato intendere il ministro Lorenzo Ornaghi, in risposta all’interrogazione presentata dai senatori Pd, Della Seta e Ferrante – per i due parlamentari, “trasformare questo gioiello della culturale italiana in un resort ed esternalizzare gran parte dei servizi vorrebbe dire cancellarne la vocazione” –. “Rispetto all’operatività dell’azienda di Abete, che in quanto società privata obbedisce alle logiche o interessi di mercato e di concorrenza in un settore produttivo, il Ministero – chiarisce Ornaghi – non può svolgere interventi di tipo dirigistico”. Al titolare del Mibac, poi, non sembra dispiacere affatto il piano di cementificazione: “un progetto ambizioso, di ampio respiro, che ha avuto un primo avallo da parte di chi mi ha preceduto, che io intendo considerare meglio”.
L’incubo di vedere sparire per sempre quel mondo, ribattezzato fabbrica dei sogni, e nascere un altro “dove la finzione del cinema diventa realtà” si avvicina, dunque, sempre più.
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