Ci portano via quanto abbiamo di più prezioso, il nome e il destino scritto nel vento.
Rubano senza ritegno la nostra sabbia di savana e di deserto che si accatasta con pazienza in ogni angolo incustodito della città.
Rubano quanto le viscere della nostra terra hanno generato e custodito nei secoli e millenni passati.
Estratto in fretta lasciando tracce contaminate di uranio, impronte di petrolio e miniere d’oro che finisce altrove nelle gioiellerie o in lingotti per le riserve delle monete.
Ci derubano dei sentieri che gli antenati hanno camminato e dei proverbi che hanno trasmesso.
Rapinano soggetti idonei per intervistare, prendere appunti, confezionare articoli, produrre dati, film e documentari sui migranti e i bambini di strada. Espropriano saperi e sottraggono ai guaritori antichi rimedi contro le malattie dello spirito.
Prendono senza poi rimborsare le danze e ritmi che la vita ha ricamato nelle nostre carni vendute ai mercanti di uomini.
Arrivano per derubarci delle frontiere che hanno loro stessi create. Ci portano via la dignità che è quanto di più prezioso vorremmo insegnare nelle nostre scuole chiuse.
Rubano la giustizia che distribuiva a tutti il necessario e la sostituiscono con l’accumulazione che divide i mondi con muri e fili spinati.
Ci rubano il tempo che mai abbiamo messo da parte nei calendari o nelle banche e lo trasformano in denaro contante da investire nelle azioni delle multinazionali.
Rapinano alberi, foreste, fiumi e paesaggi per la grande trasformazione del creato in mercanzia da commerciare.
Rapinano i giovani del futuro che immaginano differente da quello che si vorrebbe loro imporre confinandoli, perché poveri, dove le politiche di sviluppo li designano.
Espropriano senza compensazione il mistero che della vita costituisce l’identità principale e impongono di misurare tutto con l’apparenza e il profitto.
Prendono e portano via le stelle per sostituirle con pannelli solari e carnevali di militari e droni armati.
Arrivano per derubarci del Dio che per tanto tempo ci aveva guidato e accompagnato. Lo hanno sostituito col denaro, il potere, la dominazione e lo sfruttamento dei deboli.
Portano via i migliori di noi per arruolarli come mano d’opera a buon mercato e mettono sulle loro strade le nostre donne e riducono i loro corpi a oggetti vendibili.
Rubano le spiaggie, i tramonti e riducono le dune a scenari per le rassegne cinematografiche di cui sono specialisti ed esportatori.
Rapinano opere d’arte che, svuotate dei riti e dei soffi vitali, giacciono solitarie e perdute nei musei che hanno convertito in templi.
Espropriano con arroganza stili e forme di vita pensando di sostituirli con le biopolitiche necrofile di cui nutrono le loro democrazie.
Impongono attori umanitari che rubano la creativa povertà che mai è stata monetizzata per classificare i nostri Paesi secondo i dollari consumati al giorno. Prendono le nostre maschere che sono il ponte con l’invisibile, per nascondere il vuoto che gli schermi televisivi cercano inutilmente di colmare.
Arrivano per derubarci la libertà di andare lontano per scoprire quanto tutto è vicino.
Portano via il sapore delle cose fatte a mano e le sostituiscono con artefatti di plastica da buttare.
Hanno usato la nostra terra come una pattumiera e una discarica di quanto non erano in grado di eliminare.
Continuano a razziare tanti di noi per farne gli schiavi dell’epoca contemporanea.
Hanno pazientemente protetto, scelto e formato i politici del posto perché, come loro, diventassero ladri del popolo. Questi hanno imparato bene la lezione e con paziente determinazione mettono in pratica gli insegnamenti ricevuti. Rubano quanto non è di loro proprietà e dimenticano che la politica è la difesa dei diritti dei poveri.
Derubano le casse dei beni comuni e mettono i loro capitali nei conti sicuri dei paradisi fiscali.
Espropriano coloro che avrebbero dovuto servire e prendono in ostaggio gli anni di permanenza al potere.
Per tutti i ladri del Sahel sarà forse tardi accorgersi che da questa sabbia saranno sepolti: unico silenzioso testimone il vento.
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