Dipenderà sicuro dai giochi delle tre carte che costringono l’elettore a dare la preferenza non alla forza politica e al candidato che potrebbe meglio interpretare i suoi bisogni e le sue aspettative, ma ai meno peggio, ai meno remoti rispetto ai suoi valori con l’unico obiettivo e l’unico auspicio di impedire il successo degli altri.
E infatti le analisi delle autorità statistiche in materia di flussi elettorali registrano come in Emilia Romagna chi in precedenza aveva votato Cinque Stelle ha deciso di appoggiare Bonaccini e il Pd pur di battere Salvini. Avrebbero dato credito a chiunque, a uno spaventapasseri, a una sagoma di cartone incuranti delle prove offerte in passato, pur di penalizzare la Lega e confermare l’utilità conclamata della letteratura sul voto inutile, necessaria alla sopravvivenza degli equilibri vigenti e dell’ideologia cui si ispirano.
Allo stesso modo la regione più criminalizzata, trascurata, penalizzata del Mezzogiorno, ha votato contro chi ha permesso e promosso il suo status di vittima della globalizzazione e del suo caporalato europeo, indirizzando la sua protesta contro territori e popolazioni che si accreditano come una sussiegosa aristocrazia laboriosa, acculturata e dunque meritevole di conservarsi prerogative e privilegi, mettendo i suoi numeri elettorali al servizio di chi persegue le stesse politiche di discriminazione degli stessi poveracci di ogni latitudine, di esproprio e svendita dei beni comuni, di repressione del malcontento, ma che la risparmia dalla superciliosa riprovazione riservata agli ignoranti marginali.
Ormai il disincanto democratico diagnosticato da Montesquieu libera festosamente dalle responsabilità personali e collettive: così una volta assolto il compito domenicale di andare al seggio, si può godere della delega, della cambiale in bianco sottoscritta prima delle lasagne e del vassoio di pastarelle e augurarsi che politica e governo locale e nazionale diventino magicamente invisibili, auspicando che facciano i minori danni possibili ai nostri interessi e lasciandoci alla cura dei nostri ambiti personali.
Gli elettori emiliani che hanno goduto di una gioiosa astrazione dai problemi dei corregionali che ancora patiscono i danni del sisma del 2012, cui proprio in piena campagna elettorale è stata concessa benevolmente una proroga per la dichiarazione di fine lavori – e non si lamentino che stanno meglio dei terremotati del Centro Italia, ignari del fatto che le loro imprese si contendono con la Lombardia il record di introduzione e adozione dei bracciali elettronici in cantiere al fine di «monitorare la salute e la sicurezza dei lavoratori con strumenti e metodi digitali», una dei più ignominiosi dispositivi di controllo padronale autorizzati dal Jobs Act, estendendoli anche alle attività agricole, e che si disinteressano perfino dei dati del Sole 24 Ore che ammette che il conto della crisi si scarica “non sulla capacità delle imprese di generare ricchezza, ma su salari e stipendi, perfino nelle regioni che reclamano l’autonomia differenziata in nome dell’appartenenza all’avanguardia e al traino della crescita, se nel triennio che va dal 2015, anno di applicazione del Jobs Act, il profitto padronale è cresciuto del 40%, i salari invece di appena il 5%, sembrano essere pacificamente soddisfatti di aver battuto l’increscioso buzzurro, appagati dall’assoldamento nelle geografie economiche e sociali del pingue nord europeo che costa e costerà lacrime e sangue alle propaggini africane del Mezzogiorno, anche se ormai anche le élite mafiose le hanno abbandonate per scegliere piazze e brand settentrionali più moderne e profittevoli.
Forse qualcuno dovrebbe aggiungere ai sospetti ingenerati dalle cattive frequentazioni delle loro sardine, immortalate a fianco di inveterati speculatori con un qualche trascorso criminale, la considerazione che nessuno è esente. Che è rischioso lasciare mandati e procure in mani inaffidabili senza esercitare il doveroso controllo, che a volte a forza di votare contro si vota contro se stessi.
Perché aver trionfato sugli urli e gli urti maleducati della “pancia” è un lusso che si possono permettere quelli che provvisoriamente ce l’hanno piena, perché l’appartenenza a una classe che ancora gode di di qualche “rendita” anche morale, non è “per sempre”, come non possono e non devono essere “per sempre” i lavoretti dei figli e nipoti che sognano di mettere su una improbabile strat up, e intanto si sentono creativi perchè progettano un sito per l’amico che affitta il rustico di nonno come B&B, o consegnano pizze a domicilio, sentendosi esenti dallo sfruttamento perché si scelgono percorsi e orari, come non è per sempre avere i mezzi per pagarsi un’assicurazione privata in sostituzione dei un’assistenza pubblica sempre più ridotta, come non è per sempre potersi concedersi qualche sfoggio e qualche piacere, in vista di una vecchiaia senza cure, senza dignità, senza sicurezze.
A guardarsi intorno siamo proprio nel pieno di quella fase segnata dalla onnipotenza virtuale che ci consola e anestetizza permettendoci la licenza a parole e dall’impotenza reale che ci condanna all’accidiosa rinuncia e inazione perfino nella difesa delle nostre vite, del passato, del presente e del futuro.
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