Giorno della memoria e giorno del ricordo, olocausto e foibe, sembrano divenuti indistinguibili. Trattare il passato come una pappa indifferenziata non è un fenomeno solo italiano: è il segreto del successo del populismo di destra in tutta Europa.
Decidendo di fare la caricatura di sé stesso,
giocare sull’isterismo collettivo legato al coronavirus, e confermarsi
un nostalgico del fascismo, il vicepresidente del Senato Ignazio Benito
Maria La Russa ha postato il tweet
più surreale del 2020: per evitare di essere contagiati, suggerisce,
fate il saluto romano invece di dare la mano.
Uno scherzo che, nel
contesto di un paese che continua a rimuovere il proprio passato
fascista, diventa amarissimo.
Secondo un sondaggio realizzato da
Eurispes, circa un italiano su sei pensa che l’olocausto non sia mai avvenuto, mentre il falso mito del generoso welfare fascista
impazza dentro e fuori i social media.
Giorno della memoria e giorno
del ricordo, olocausto e foibe, diventano spezzoni in bianco e nero che
si sovrappongono fino a diventare indistinguibili, il passato come pappa indifferenziata.
Ora, chiudete gli occhi e immaginatevi un politico tedesco che si
sveglia e fa la stessa identica battuta di La Russa. Oppure,
immaginatevi una nipote o un pronipote di Hitler candidati al parlamento
europeo. Non ci riuscite, vero? Perché in Germania sarebbe impensabile: portare il cognome Hitler o «scherzare» sull’olocausto stroncherebbe carriere politiche anche a livello locale, figuriamoci ai vertici delle istituzioni nazionali. In Italia, a Forlì, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini teneva comizi dal balcone che si affaccia sulla piazza dove quattro partigiani vennero impiccati. Iris Corbari, dopo aver ucciso un soldato nazifascista, preferì togliersi la vita piuttosto che essere catturata. Venne appesa, insieme ai suoi tre compagni, ai lampioni di Piazza Saffi. Il genius loci sanguina alla vista di Salvini ripercorrere le orme di Mussolini.
Non basta. Una senatrice sopravvissuta ai campi di concentramento, Liliana Segre, riceve insulti e minacce di morte, tanto da costringerla a usare la scorta per proteggere la propria incolumità. Una signora di quasi novant’anni, sopravvissuta ad Auschwitz, l’orrore per definizione, il buco più nero del ventesimo secolo, quando esce per strada deve essere accompagnata da due carabinieri perché i fascisti sono tornati a essere una minaccia concreta. E via di questo passo: aggressioni, minacce, violenza. La mappa interattiva degli attacchi offre una panoramica da groppo in gola.
La memoria collettiva italiana è stata tagliata (col machete) e ricucita (col filo spinato) così tante volte, che anche l’equazione più assurda è diventata un assioma quasi scontato: Foibe = Auschwitz. Ci si è arrivati una fallacia logica alla volta, rimozione dopo rimozione, attraversando la strada maestra della memoria condivisa, insistendo su cliché tipo «il fascismo ha fatto anche cose buone», aggiungendo un po’ di fiction spacciata per saggio storico in stile Pansa, il tutto condito dall’immancabile grido di battaglia: «e allora le foibe?». Viene da ridere – giusto per un momento – ripensando alla Vichi di CasaPound impersonata da Caterina Guzzanti. Se non fosse che proprio CasaPound, negli ultimi giorni ha attaccato Eric Gobetti, storico accusato di essere un negazionista delle foibe. Il gruppo identitario Aliud aveva aperto le macabre danze.
Eppure non ha senso limitarsi a constatare quanto la memoria collettiva italiana sia basata su una amnesia selettiva che ha come obiettivo quello di presentarci come vittime del regime fascista e della storia, mentre ci nascondiamo dietro al movimento di resistenza per provare la nostra buona fede. Bisogna fare un passo avanti, e rendersi conto di due cose. La prima: l’intera Europa sta perdendo la memoria storica di quanto successo durante la Seconda guerra mondiale. La seconda: l’Italia non è l’unico paese che cerca di lavarsi la coscienza.
Pochi giorni fa è uscito un libro dal titolo Populismo e Memoria Collettiva in cui spiego come il successo del populismo di destra sia legato proprio al tipo di memoria collettiva. L’Italia, da paese vittimista per eccellenza, è un caso di studio su come i conti con il passato fascista non siano mai stati fatti, e questo spiega perché il populismo di destra sia socialmente accettato: da Berlusconi alla Lega, passando per Alleanza Nazionale e Fratelli d’Italia, da decenni in Italia questi partiti ottengono risultati elettorali importanti e ottengono ruoli istituzionali. Ma anche nel resto d’Europa, fare i conti col proprio passato (Aufarbeitung der Vergangenheit, come diveca Adorno) non è un’operazione particolarmente diffusa.
La maggioranza dei britannici, per esempio, non sa quante sono state le vittime dell’olocausto. Il paese si rappresenta, sempre (Dunkirk) e comunque (Where Eagles Dare), come il bastione democratico che ha resistito al fascismo. Retorica da «our finest hour» e indomita albione, che però non ha mai prodotto gli anticorpi contro l’ideologia fascista, finchè non si sono ritrovati Boris Johnson come primo ministro e sbattuti fuori dall’Unione europea. I francesi, dal canto loro, non hanno mai superato la sindrome di Vichy, come l’ha chiamata Henry Rousso: decenni di ossessione volti a dissociare la Francia dal regime del maresciallo Philippe Pétain hanno prodotto scorie tossiche, fino al punto in cui Marine Le Pen ha potuto sostenere che la Francia non è responsabile per il rastrellamento di 13.000 ebrei, a Parigi, nel 1942. La colpa, è sempre e comunque degli altri, dei cattivi tedeschi.
Infatti, l’unica cosa su cui tutti, nessuno escluso, hanno deciso di mettersi d’accordo dopo la Seconda guerra mondiale, era il capro espiatorio su cui scaricare tutte le accuse: la Germania. Questo ha fatto partire un processo di rimozione e silenzi ovunque, armadi della vergogna fisici e simbolici. La Svizzera ha chiuso un occhio sulla propria neutralità opportunista e sull’oro che ne è fruttato. La Svezia ha deciso di ignorare il cruciale aiuto bellico dato ai nazisti. L’Olanda si è ricordata solo recentemente di essere stato il paese più efficiente nello sterminio degli ebrei, finchè nel 2019 la compagnia ferroviaria nazionale ha rimborsato con 50 milioni di euro i parenti di coloro che trasportò fino ai campi di concentramento. E così via dimenticando, omettendo, pacificando. Finchè ci saremo scordati tutto.
Questo excursus non vuole ridimensionare la gravità di quanto sta succedendo in Italia, dove siamo campioni mondiali di smemoria collettiva, ma serve per mettere a fuoco un processo più ampio e fornire un contesto. Le istituzioni europee, d’altro canto, stanno tracciando una linea ben chiara. Per esempio, il parlamento europeo ha approvato la risoluzione «sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa» (2019/2819). Con questo documento, l’Europa nega il ruolo che il comunismo ha avuto nella liberazione dal nazifascismo, proprio in linea con le operazioni tanto in voga in Italia, volte a delegittimare il movimento resistenziale. Annoverare l’Unione Sovietica tra i colpevoli, oltre a essere una clamorosa mistificazione, è anche una vergognosa falsità storica. Nell’Est del continente i fantasmi del passato tornano con ancora più forza, al punto che il primo ministro ungherese Viktor Orban può celebrare il regime di Miklós Horthy, alleato di Hitler e responsabile della deportazione di ebrei ungheresi nei campi di concentramento, nel nome di una pappa memoriale indistinta che ha come unico scopo quello di fornire una mitologia nazionale.
In Germania, paese che fino a pochi anni fa sembrava costituire l’esempio perfetto di come si rielabora il passato, costruendo una memoria collettiva che non rifiuta colpe e responsabilità, la situazione sta cambiando velocemente, soprattutto nell’est del paese. Il movimento anti-islamico Pegida ha riempito le piazze per buona parte del 2014 e 2015, poi il partito di estrema destra Afd ha cominciato a ottenere risultati clamorosi alle elezioni regionali e infine nazionali, diventando il terzo partito più votato nel 2017. In questi giorni, un argine simbolico ma molto significativo è caduto in Turingia: il presidente della regione è stato eletto grazie ai voti dell’Afd, che alle elezioni dello scorso ottobre aveva preso quasi un quarto dei voti (23,4%). La linea rossa di quel che si può dire e fare, come spesso accade, era stata spostata proprio dall’Afd: alcuni suoi membri hanno fatto dichiarazioni sul passato nazista del paese che fino a poco tempo fa sarebbero state inaccettabili.
La Spagna, un paese che aveva provato a seppellire il proprio passato sotto strati di silenzio e cemento armato, negli ultimi anni è tornata a fare i conti con i propri fantasmi, fino alla clamorosa esumazione della salma di Francisco Franco, l’unico dittatore europeo sepolto in un mausoleo monumentale. Dalla Valle dei Caduti, che Franco stesso aveva fatto costruire per onorare i caduti della guerra civile ma dove non voleva essere sepolto, il feretro è stato trasportato in un cimitero nella periferia di Madrid, accolto da uno stuolo di nostalgici che inneggiavano al passato fascista con saluti e canti. Come a Predappio, ogni 20 novembre – anniversario della morte di José Antonio Primo de Rivera e di Francisco Franco – il mausoleo diventava luogo di pellegrinaggio per nostalgici e neofascisti. Mentre in Spagna si cerca di evitare questo tipo di manifestazioni, in Italia si cerca di costruirci intorno un museo e centro studi sul fascismo. Il fenomeno è europeo, se non mondiale, ma purtroppo in Italia si raggiungono le vette più inverosimili e surreali.
L’Italia, infatti, rimane all’avanguardia per quanto riguarda ogni genere di capriola memoriale che ci consenta di ritrarci come brava gente, vittime, e fondamentalmente innocenti. Fino al punto che nel 2019, in occasione delle commemorazioni per le vittime delle foibe, l’allora presidente del parlamento europeo Antonio Tajani ha pensato bene di urlare al vento: «viva l’Istria italiana, viva la Dalmazia italiana, viva gli esuli italiani». Queste sue improvvide dichiarazioni hanno scatenato una serie di accuse di revisionismo storico e reazioni risentite in tutti i Balcani.
A questo punto, l’equazione Foibe = Auschwitz comincia ad apparire sotto una luce diversa. Non tanto come provocazione, o tentativo maldestro di revisionismo storico, ma come approdo di un percorso pluridecennale di erosione della memoria collettiva, sostituita da un solerte lavoro di riscrittura, sovrimpressione, falsificazione. Un percorso sancito anche dalle istituzioni europee, per le quali comunismo e fascismo sono da condannare allo stesso identico modo. E allora, il fatto che il sindaco di Predappio non conceda i fondi per il treno della memoria, che avrebbe dovuto portare due studenti in visita ad Auschwitz, viene giustificato con il fatto che Auschwitz è «di parte». Solo che una «parte» è il delirio nazista, il razzismo di stato, Hitler. L’altra «parte» è la resistenza, la libertà, la memoria. Non dovrebbe esserci bisogno di ricordare che celebrare il nazifascismo è contro la Costituzione italiana. E invece no. Auschwitz e Basovizza, olocausto e foibe come Giano Bifronte, immagini simmetriche, facce della stessa medaglia. Garantisce Salvini con la benedizione dell’Europa. Anzi, rincara il direttore di Libero Vittorio Feltri, le foibe sono addirittura peggio di Auschwitz.
L’impressione è che la memoria condivisa non sia più l’obiettivo, ma che abbia raggiunto il suo obiettivo: rendere il fascismo di nuovo appetibile, utilizzabile. Rimuovere l’aura di tabù per riposizionarlo nella variegata offerta politica come una delle tante opzioni, come un gusto di gelato fra i tanti. E alla fine, suggerire di fare il saluto romano per evitare un virus, verrà presentato come l’ennesimo, innocuo scherzo.
* Luca Manucci è un ricercatore. Fa parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki. Si occupa di populismo, fascismo e memoria collettiva, temi su cui ha un blog.
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