Leggete questo ritratto:
propensione narcisistica a vedere il mondo come un’arena nella quale
esercitare potere e ricercare la gloria personale; zelo messianico e
convinzione di essere chiamati a grandi azioni; istrionismo; disprezzo
degli avversari e di chi lavora secondo prassi consolidate; eccessiva
autostima sconfinante col senso di onnipotenza; perdita del senso della
realtà e isolamento; tendenza a parlare di sé in terza persona;
irrequietezza, incoscienza, impulsività.
infosannio.wordpress.com (di Daniela Ranieri Il Fatto Quotidiano)
A chi vi fa pensare?
Sono i sintomi della Sindrome di Hybris, definita dal medico e
politico inglese David Owen e dallo psichiatra Jonathan Davidson sulla
rivista Brain nel 2009, che colpisce maggiormente i politici (ne
soffrivano Neville Chamberlain, Margaret Thatcher, George Bush e Tony
Blair).
Non siamo psichiatri, motivo per cui non ci azzardiamo a fare
diagnosi, ma è evidente che nel caso in questione la dimensione
psicologica, ma diremmo persino ghiandolare, travalica quella politica
(del resto non serve essere Michelangelo per fare un identikit in
commissariato).
Dando per scontato che il soggetto non agisce sulla base di secondi
fini (aumentare il proprio potere per farsi leggi ad personam, per
esempio) e che non abbia bisogno dello stipendio da senatore (come s’è
premurato di informarci), allora deve esserci un impulso interiore che
lo sospinge verso il centro della scena politica, da cui aveva giurato
di ritirarsi e dove del resto non mancherebbe a nessuno.
Potrebbe essere proprio la hybris, per gli antichi greci la
tracotanza che spinge a sfidare gli dèi, la smisurata ambizione già
accertata ai tempi in cui gli riuscì di mettersi a capo del governo
avendo vinto solo le elezioni come sindaco e le primarie del Pd,
situazione legittima e prevista dalla Costituzione attuale, che vuole
ancora modificare (ma ora la priorità è eleggere direttamente un
fantomatico “sindaco d’Italia”, non più riempire il Senato di sindaci e
consiglieri regionali).
Il soggetto non ha alcuna visione politica: è sé stesso la sua
visione politica. Ha portato nella politica italiana lo storytelling, un
dispositivo mutuato dal marketing con cui si crea consenso offrendo una
versione persuasiva, seduttiva e falsa della realtà; lui era lo
sbloccatore, quello che non si faceva fermare dalle minoranze e dai
“ricatti dei partitini”.
Qualcuno parla nel suo caso di delirio narcisistico; ma il narcisismo
non è, come si crede comunemente, l’adorazione di sé, bensì un
dispositivo per il quale “l’amore rifiutato torna a sé sotto forma di
odio” (Christopher Lasch). Egli si sente rifiutato dal popolo di cui
voleva essere un caposcout illuminato, una specie di
condottiero-principe rinascimentale (“Non siamo stati capiti”, ripeteva
all’indomani del referendum perso).
Ha fondato un partito personale insieme ai soliti 4 o 5 adepti,
convinto di avere un consenso stratosferico da sbattere in faccia al
partito che non ha apprezzato la sua reggenza salvifica.
Era una proiezione egotica, la stessa che gli impedisce oggi di guardare
in faccia la realtà del 4% a cui è dato. I sondaggi sulla fiducia nei
leader lo danno sotto a Salvini, Meloni, Conte, Zingaretti, Di Maio,
Santori (!), Berlusconi e persino Calenda e Toti.
Senza nessuna dissonanza cognitiva, trasforma quel 4% e una truppa di
senatori fedeli in un’arma di ricatto. Non gli importa niente della
prescrizione (stanti le note vicende famigliari). Gli importa di finire
nei trend topic del giorno, incutere timore per le sue mosse
imprevedibili, tenere sotto scacco chi è più potente di lui con
rivendicazioni demenziali o assurde.
Gli esperti lo chiamano “delirio scacchistico” (descritto da Reuben
Fine ne La psicologia del giocatore di scacchi): come gli scacchi
“servono come strumenti di gratificazione alle fantasie di onnipotenza”,
così la politica serve ad alcuni come sfogo passionale e mezzo per la
gratificazione personale.
In Tv ha di nuovo attribuito l’ostruzionismo di cui si sente oggetto
al suo “caratteraccio”. Anche questa è una proiezione egotica, oltre che
un vezzo antifrastico. Non gli è ancora chiaro che nel suo caso il
brutto carattere si somma all’inadeguatezza politica e alla provata
inaffidabilità. Ai tempi gloriosi propugnava la disintermediazione: il
rapporto tra il leader e il popolo non doveva conoscere attriti ma solo
progressivi innamoramenti. Da qui le reprimende contro gli intellettuali
e i professoroni, capaci di “defascinare” il leader con l’esercizio del
logos.
Ora che non ha più nessun popolo se non i fan di Twitter, va avanti a
colpi di querele contro chi mette in dubbio il suo equilibrio (dunque
non la sua buona fede) e si gioca la residua reputazione bruciandosi
sull’altare dell’Ego, spaccando tutto quel che gli riesce.
È “l’impulso di Erostrato”, quell’Erostrato di Efeso che appiccò il
fuoco al tempio di Artemide solo per il desiderio di passare alla
storia.
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sabato 22 febbraio 2020
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