Riccardo Noury all'Huffpost: "È un dovere proteggere Patrick", sottoposto a detenzione e torture in Egitto. "Ma cambiamo strategia, basta chiedere la verità su Giulio come se fosse una cortesia tra amici".
“L’Italia
ha il dovere di proteggere Patrick. Rischia una detenzione lunga,
maltrattamenti e torture”.
Sono rivolte al governo di Roma le parole di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. All’esecutivo chiede non un impegno generico, non un interesse di facciata, ma azioni concrete a tutela dello studente egiziano che frequentava un master a Bologna e che è stato bloccato di ritorno nel suo Paese.
”È necessario che il Governo si rivolga al Cairo con un obiettivo. Che chieda il rilascio di Patrick Zaky. La sua azione può essere determinante per dare una svolta a questa vicenda”, dice Noury ad HuffPost.
Il suo arresto è avvenuto pochi giorni dopo l’anniversario dell’omicidio di Regeni: “I suoi aguzzini sono gli stessi di Giulio”, ha detto a Repubblica l’ avvocato Mohamed Lotfy, che sostiene la famiglia friulana.
L’avvocato di Zaky ha affermato che il ragazzo è stato bendato e torturato per ore, anche con l’uso dell’elettroshock.
Patrick è nelle mani del regime di al Sisi, ma può essere salvato.
L’attenzione che è stata creata sul suo caso può fare la differenza.
Ma, è l’appello di Amnesty, bisogna agire il prima possibile.
La Farnesina ha fatto sapere di seguire da vicino il caso del giovane, fermato in aeroporto al Cairo e poi sparito per 27 ore, fino a quando l’Egitto non ha ammesso di averlo arrestato.
Basterà? “Purché non sia una dichiarazione di circostanza. Purché ci siano contatti costanti con le autorità egiziane, l’esercizio del diritto di visita, la presenza di rappresentanti italiani all’udienza. Noi siamo convinti che l’azione del Governo italiano possa fare la differenza”.
È una questione, oltre che di dovere, di volontà. E di rapporti tra Roma e il Cairo, che tornano a essere oggetto di critiche, così come è successo a più riprese negli ultimi quattro anni, dalla morte di Giulio Regeni in poi.
Nell’ultima conferenza stampa i genitori del ricercatore friulano hanno accusato l’ambasciatore italiano in Egitto di “non cercare la verità” e puntato il dito contro le “zone grigie” che esistono anche “da parte italiana”.
Sulla questione Noury dice: “Quattro diversi governi italiani hanno portato avanti in questi anni la stessa strategia. Quella di mantenere ottimi rapporti con l’Egitto (salvo il breve periodo in cui è stato ritirato l’ambasciatore) sotto il profilo economico, politico e militare. E, nel contempo, chiedere, quasi come se fosse una cortesia da fare in nome dell’amicizia, di avere i nomi dei mandanti e di coloro che hanno coperto l’omicidio di Giulio. È una strategia che non ha funzionato. Mi auguro che ci sia consapevolezza di ciò. Ma, alla luce delle recenti vicende (la valutazione della vendita di due navi militari italiane all’Egitto,ndr) temo che la lezione non sia stata appresa”.
Le accuse nei confronti di Zaki, continua il portavoce di Amnesty Italia, sono “quelle che in Egitto colpiscono persone che svolgono attività del tutto legittime secondo il diritto internazionale. E che hanno raggiunto in questi anni centinaia di attivisti, ricercatori, avvocati, esponenti di organizzazioni per i diritti umani. Sono accuse che hanno l’obiettivo di dare un alibi criminale a una persecuzione che è chiaramente di natura politica”.
E le colpe di Patrick, secondo chi lo ha fermato, sono aver pubblicato “voci e false notizie che puntano a disturbare la pace sociale e a seminare il caos”, aver istigato “alla protesta allo scopo di minare l’autorità statale”, e ancora “chiedere il rovesciamento dello Stato”, “gestire un account di social media che ha lo scopo di minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica”.
Il riferimento in quest’ultimo caso è ad alcuni post fatti dallo studioso sui social. “Istigazione a commettere violenze e crimini terroristici”, è l’ultima imputazione.
Accuse per le quali Patrick potrebbe rimanere in carcere per molto tempo. Senza un’azione incisiva sul regime, anche per tutta la vita. Rischia “dai cinque anni all’ergastolo”, avverte Amr abd al-rahman, il direttore dell’ong Egyptian Initiative for Personal rights, con cui Patrick collabora. La custodia cautelare, invece, “potrebbe essere rinviata in modo indefinito”.
successo in altri casi, e potrebbe accadere anche a Patrick.
Sono rivolte al governo di Roma le parole di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. All’esecutivo chiede non un impegno generico, non un interesse di facciata, ma azioni concrete a tutela dello studente egiziano che frequentava un master a Bologna e che è stato bloccato di ritorno nel suo Paese.
”È necessario che il Governo si rivolga al Cairo con un obiettivo. Che chieda il rilascio di Patrick Zaky. La sua azione può essere determinante per dare una svolta a questa vicenda”, dice Noury ad HuffPost.
Il suo arresto è avvenuto pochi giorni dopo l’anniversario dell’omicidio di Regeni: “I suoi aguzzini sono gli stessi di Giulio”, ha detto a Repubblica l’ avvocato Mohamed Lotfy, che sostiene la famiglia friulana.
L’avvocato di Zaky ha affermato che il ragazzo è stato bendato e torturato per ore, anche con l’uso dell’elettroshock.
Patrick è nelle mani del regime di al Sisi, ma può essere salvato.
L’attenzione che è stata creata sul suo caso può fare la differenza.
Ma, è l’appello di Amnesty, bisogna agire il prima possibile.
La Farnesina ha fatto sapere di seguire da vicino il caso del giovane, fermato in aeroporto al Cairo e poi sparito per 27 ore, fino a quando l’Egitto non ha ammesso di averlo arrestato.
Basterà? “Purché non sia una dichiarazione di circostanza. Purché ci siano contatti costanti con le autorità egiziane, l’esercizio del diritto di visita, la presenza di rappresentanti italiani all’udienza. Noi siamo convinti che l’azione del Governo italiano possa fare la differenza”.
È una questione, oltre che di dovere, di volontà. E di rapporti tra Roma e il Cairo, che tornano a essere oggetto di critiche, così come è successo a più riprese negli ultimi quattro anni, dalla morte di Giulio Regeni in poi.
Nell’ultima conferenza stampa i genitori del ricercatore friulano hanno accusato l’ambasciatore italiano in Egitto di “non cercare la verità” e puntato il dito contro le “zone grigie” che esistono anche “da parte italiana”.
Sulla questione Noury dice: “Quattro diversi governi italiani hanno portato avanti in questi anni la stessa strategia. Quella di mantenere ottimi rapporti con l’Egitto (salvo il breve periodo in cui è stato ritirato l’ambasciatore) sotto il profilo economico, politico e militare. E, nel contempo, chiedere, quasi come se fosse una cortesia da fare in nome dell’amicizia, di avere i nomi dei mandanti e di coloro che hanno coperto l’omicidio di Giulio. È una strategia che non ha funzionato. Mi auguro che ci sia consapevolezza di ciò. Ma, alla luce delle recenti vicende (la valutazione della vendita di due navi militari italiane all’Egitto,ndr) temo che la lezione non sia stata appresa”.
Le accuse nei confronti di Zaki, continua il portavoce di Amnesty Italia, sono “quelle che in Egitto colpiscono persone che svolgono attività del tutto legittime secondo il diritto internazionale. E che hanno raggiunto in questi anni centinaia di attivisti, ricercatori, avvocati, esponenti di organizzazioni per i diritti umani. Sono accuse che hanno l’obiettivo di dare un alibi criminale a una persecuzione che è chiaramente di natura politica”.
E le colpe di Patrick, secondo chi lo ha fermato, sono aver pubblicato “voci e false notizie che puntano a disturbare la pace sociale e a seminare il caos”, aver istigato “alla protesta allo scopo di minare l’autorità statale”, e ancora “chiedere il rovesciamento dello Stato”, “gestire un account di social media che ha lo scopo di minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica”.
Il riferimento in quest’ultimo caso è ad alcuni post fatti dallo studioso sui social. “Istigazione a commettere violenze e crimini terroristici”, è l’ultima imputazione.
Accuse per le quali Patrick potrebbe rimanere in carcere per molto tempo. Senza un’azione incisiva sul regime, anche per tutta la vita. Rischia “dai cinque anni all’ergastolo”, avverte Amr abd al-rahman, il direttore dell’ong Egyptian Initiative for Personal rights, con cui Patrick collabora. La custodia cautelare, invece, “potrebbe essere rinviata in modo indefinito”.
successo in altri casi, e potrebbe accadere anche a Patrick.
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