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Gli Usa, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia
di soprusi, di omicidi e di violazioni dei diritti dell’uomo nonché
del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del
diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a
seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli Usa
hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma
metodico. Bombardavano frequentemente quartieri residenziali e persino
scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di
civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e
vittime. Ricordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un
bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio strategicamente inutile; i
circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli Usa
ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla
Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra
e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di
sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie.
Naturalmente nessuna di queste azioni fu processata a Norimberga né figura nei libri di storia per le scuole. Vae victis, disse Brenno, gettando la spada sul piatto della bilancia. Praticavano anche la guerra biologica, lanciando insetti e ragni infestanti per
distruggere le colture e affamare i civili. Lanciavano mine antiuomo
nei campi per mutilare gli agricoltori, e persino matite esplosive e
giocattoli esplosivi per colpire i bambini. Nel dopoguerra, militarmente
occupati mediante oltre cento basi (lo siamo ancora oggi, a 75 anni
dalla pace), e legati da un trattato di soggezione politica, militare ed
economica, abbiamo voluto o dovuto costruirci l’immagine, il mito, per
molti la fede, degli Usa come benevoli, umanitari e benvenuti guardiani della democrazia, motivati da valori umanitari etc. etc. Ma gli Usa
niente hanno in realtà a che fare con tutto ciò: come spiega Allan
Bloom nell’introduzione del suo bestseller “La chiusura della mente
americana”, la loro politica e la loro cultura accademica non sono
guidate dall’etica, dagli ideali di giustizia, eguaglianza, libertà, democrazia.
Essi sono la potenza egemone, custode ed esecutrice di interessi
finanziari impersonali, e prettamente amorale (non immorale). Quindi la
loro condotta è obbligata dalla posizione che occupano nel sistema
globale, dal loro deficit commerciale e di bilancio, dal profluvio di
dollari e T-bonds che hanno riversato nel mondo, e che richiede la
forza delle armi per essere gestito.
La logica e la sostenibilità economico-finanziaria, nella rincorsa
competitiva del profitto, preclude assolutamente la libertà morale agli
statisti: per sostenere il dollaro e i T-bonds traballanti, gli Usa
sempre più abbisognano di conquistare le risorse di qualche paese
importante. Per questo non ha senso essere moralmente antiamericani:
sarebbe come essere contro le leggi naturali; ha invece senso aspirare a
cambiare l’assetto globale. Tuttavia molte delle atrocità commesse da
tutti gli Stati, soprattutto contro i civili e i prigionieri, come
quelle sopra accennate, non sono utili tecnicamente, bensì
manifestazioni di menti psicopatiche al comando. La lista delle imprese
violente degli Usa
che nel secondo dopoguerra parla chiaro, in termini di governi
rovesciati e di leader assassinati – in quanto si opponevano agli
interessi finanziari in parola (sovente si giustificava l’operazione
accusandoli di “comunismo”, ma al contempo regimi non meno dittatoriali
di quelli comunisti venivano messi su o difesi). Per non parlare delle
guerre scatenate da Washington creando falsi casus belli, come quella
contro la Spagna e come quella
contro il Vietnam del Nord; e sorvolando sui molti colpi di Stato
orditi da Washington contro governi legittimi, come quello cileno; e
risparmiando la menzione delle varie operazioni di “false flag”, per i
leaders politici uccisi dalla Cia, rinviamo alla lunga lista che trovate
in “Killing Hope: U.S. Military and Cia interventions Since World War
II” di William Blum.
A dire il vero, è una lista alquanto gonfiata e ispirata dall’eresia
dell’antiamericanismo; e in certi casi non si trattò di assassinii, ma
di uccisioni formalmente legali. Sarebbero però da aggiungere alla lista
le extraordinary renditions, eseguite a scopo di tortura e talora anche
di omicidio, e ovviamente anche il fosforo bianco sui civili e
Guantanamo senza habeas corpus – il tutto contro le leggi
internazionali, da cui gli Usa
si considerano esenti, a torto o a ragione, per li motivi che sotto
esporrò. Alla luce delle recenti guerre contro Iraq, Libia e
Afghanistan, che sono state giustificate dai governi con menzogne da
essi costruite circa armi di distruzione di massa e legami con gli
autori dell’attacco dell’11 Settembre, nonché con interventi umanitari e
di aiuto economico, i fatti oggettivi e ripetuti hanno confermato
altresì la qualificazione degli Usa non come arsenale della democrazia
ma, assai diversamente, come piattaforma bellico-finanziaria per la
strategia di imperialismo globalizzato delle grandi corporations: le
invasioni dell’Iraq e della Libia erano finalizzate a difendere il ruolo
del dollaro come moneta obbligatoria per pagare il petrolio (Iraq e
Libia volevano scalzare quest’esclusiva), e quella dell’Afghanistan
(come pure l’intervento di regime change in Ucraina) ad accerchiare la
Russia e a rilanciare la produzione di oppio ed eroina assicurando al sistema bancario Usa il riciclaggio dei relativi narcodollari, senza i quali entrerebbe in crisi.
L’Italia ha partecipato a tutte quelle campagne belliche, contro i
propri interessi e contro la propria Costituzione, in quanto paese
vassallo e ancora occupato militarmente. Intanto, l’Europa
imbelle e imbecille dei banchieri, unione finanziaria ma non politica,
quindi politicamente impotente e buona solo a incravattare i propri
membri deboli, sta a guardare passivamente l’azione non solo degli Usa,
ma della Cina che si espande nell’Africa nera, nonché della Russia che,
con la Turchia, si spartisce il Nord Africa. Nell’ambito di un
conflitto geostrategico per l’egemonia, in cui l’azione contro l’Iran fa
parte della strategia di accerchiamento e assedio contro la Russia, è
semplicemente ovvio che avvengano azioni di attacco e killeraggio
dall’una e dall’altra parte, più o meno asimmetricamente. Anche Teheran e
Mosca perseguono strategie di potenza comprendenti l’uso della forza:
mondiale la prima, regionale la seconda. In particolare, dopo la
sconfitta subita nel teatro siriano da parte della Russia alleata di El Assad, gli Usa
semplicemente ed evidentemente dovevano prendere l’iniziativa su
qualche altro fronte della regione mediorientale. E forse c’era anche
un’esigenza di Trump di rafforzare la propria immagine e distogliere
l’attenzione dal Russiagate.
La storia
della politica è tutta così. Meravigliarsi e scandalizzarsi per la
milionesima azione di questa sorta, è naif. Allibire per l’uccisione del
generale Qassem Soleimani e dei suoi sette compagni di viaggio, o per
gli innumerevoli altri atti consimili compiuti dal governo Usa, è da persone incapaci di guardare in faccia alla realtà e di apprendere dalla storia.
In generale – ripeto – è irrazionale aspettarsi che la natura o
l’azione dello Stato incarni o attui principi etici, se non per
convenienza dei suoi gestori di turno. Tuttavia è anche ragionevole che
la gran parte della gente si aspetti ed “esiga” proprio questo. Quindi,
politicamente, è necessario tenere conto di questa inclinazione della
mente collettiva. Ma ora, per alleggerire l’attesa della rappresaglia
iraniana, della controrappresaglia americana e della possibile
escalation a seguire, concediamoci un intermezzo farsesco, raccontando
quel mito yankee, creduto oggi da quasi metà della popolazione, che
consente agli Usa,
perlomeno davanti alla loro opinione pubblica, di esimersi
dall’osservanza del diritto internazionale: il mito
fondativo-legittimante dell’American Exceptionalism, che infatti oggi la
stampa internazionale richiama, collegandolo al caso Qassem Soleimani.
Esso appare risibile all’europeo smaliziato, ma oltre Atlantico ha
credito e convince ampie fette del popolo, aiutando l’establishment a governarlo. E l’establishment Usa,
come descritto in “The Power Elite” da Charles Wright Mills, è una
trinità di grande capitalismo, alta politica e vertici militari, che
insieme decidono a porte chiuse la politica a stelle e strisce.
L’American Exceptionalism è in primo luogo l’idea che gli Usa
abbiano in esclusiva la missione di trasformare il mondo garantendo “il
governo del popolo, per il popolo, da parte del popolo” (esportazione
della democrazia).
In secondo luogo, è l’idea che abbiano una superiore qualità di
giustizia e legittimità (la liquidazione dei pellerossa non conta). In
terzo luogo, è il convincimento che siano al disopra, per loro storia
e missione, delle altre nazioni e della legge internazionale, quindi
esenti e immuni da essa e dalle sue corti di giustizia. Il mito in esame
è palesemente derivato dall’idea veterotestamentaria e monoteista,
rectius monolatrista, del ‘popolo eletto’, che ha uno status superiore
agli altri e può permettersi ciò che gli altri non possono. Un mito,
quindi, per essenza nazionalistico ed escludente, a differenza di quello
imperiale romano, concretamente politeista, multinazionale e
includente. Il mito in parola si radicalizzò nel secolo scorso, in
appoggio all’ascesa egemonica di Washington, ed è stato affermato, sia
pure in forme e perifrasi mutevoli, da molti uomini politici e da tutti i
presidenti, quindi esso è chiaramente vivo. Nel 2013 Putin, commentando
Obama sulle sue minacce di intervenire unilateralmente in Siria,
osservò: «E’ pericolosissimo incoraggiare un popolo a considerarsi come
un’eccezione, quale che sia la motivazione».
(Marco Della Luna, estratto da “Ragion di Stato e ‘business, as usual’”, post pubblicato sul blog di Della Luna il 5 gennaio 2020).
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