giovedì 9 gennaio 2020

Vietato stupirsi se gli Usa, popolo eletto, calpestano i diritti

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Usa morteGli Usa, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia di soprusi, di omicidi e di vio­lazioni dei diritti dell’uomo nonché del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli Usa hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma metodico. Bombarda­vano frequentemente quartieri residenziali e persino scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e vittime. Ricordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio stra­tegicamente inutile; i circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli Usa ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie.

Naturalmente nessuna di queste azioni fu processata a Norimberga né figura nei libri di storia per le scuole. Vae victis, disse Brenno, gettando la spada sul piatto della bilancia. Praticavano anche la guerra biologica, lanciando insetti e ragni infestanti per distruggere le colture e affa­mare i civili. Lanciavano mine antiuomo nei campi per mutilare gli agri­coltori, e persino matite esplosive e giocattoli esplosivi per colpire i bambini. Nel dopoguerra, militarmente occupati mediante oltre cento basi (lo siamo ancora oggi, a 75 anni dalla pace), e legati da un trattato di soggezione politica, militare ed econo­mica, abbiamo voluto o dovuto costruirci l’immagine, il mito, per molti la fede, degli Usa come benevoli, umanitari e benvenuti guardiani della democrazia, motivati da valori umanitari etc. etc. Ma gli Usa niente hanno in realtà a che fare con tutto ciò: come spiega Allan Bloom nell’introduzione del suo bestseller “La chiusura della mente americana”, la loro po­litica e la loro cultura accademica non sono guidate dall’etica, dagli ideali di giu­stizia, eguaglianza, libertà, democrazia. Essi sono la potenza egemone, custode ed esecutrice di interessi finanziari impersonali, e prettamente amo­rale (non immorale). Quindi la loro condotta è obbligata dalla posizione che occupano nel sistema globale, dal loro deficit commerciale e di bilancio, dal profluvio di dollari e T-bonds che hanno riversato nel mondo, e che ri­chiede la forza delle armi per essere gestito.
GuantanamoLa logica e la sostenibilità economico-finanziaria, nella rincorsa competitiva del profitto, preclude assolutamente la libertà morale agli statisti: per sostenere il dollaro e i T-bonds traballanti, gli Usa sempre più abbisognano di conquistare le risorse di qualche paese importante. Per questo non ha senso essere moralmente antiamericani: sarebbe come essere contro le leggi naturali; ha invece senso aspirare a cambiare l’assetto globale. Tuttavia molte delle atrocità commesse da tutti gli Stati, soprattutto contro i civili e i prigionieri, come quelle sopra accennate, non sono utili tecnicamente, bensì manifestazioni di menti psicopatiche al comando. La lista delle imprese violente degli Usa che nel secondo dopoguerra parla chiaro, in termini di governi rovesciati e di leader assassinati – in quanto si opponevano agli interessi finanziari in pa­rola (sovente si giustificava l’operazione accusandoli di “comunismo”, ma al contempo regimi non meno dittatoriali di quelli comunisti venivano messi su o difesi). ­Per non parlare delle guerre scatenate da Washington creando falsi casus belli, come quella contro la Spagna e come quella contro il Vietnam del Nord; e sorvolando sui molti colpi di Stato orditi da Washington contro governi legittimi, come quello cileno; e risparmiando la menzione delle varie operazioni di “false flag”, per i leaders politici uccisi dalla Cia, rinviamo alla lunga lista che trovate in “Killing Hope: U.S. Military and Cia interventions Since World War II” di William Blum.
A dire il vero, è una lista alquanto gonfiata e ispirata dall’eresia dell’antiamericanismo; e in certi casi non si trattò di assassinii, ma di uccisioni formalmente legali. Sarebbero però da aggiungere alla lista le extraordinary renditions, eseguite a scopo di tortura e talora anche di omicidio, e ovviamente anche il fosforo bianco sui civili e Guantanamo senza habeas corpus – il tutto contro le leggi internazionali, da cui gli Usa si considerano esenti, a torto o a ragione, per li motivi che sotto esporrò. Alla luce delle recenti guerre contro Iraq, Libia e Afghanistan, che sono state giustificate dai governi con menzogne da essi costruite circa armi di distruzione di massa e legami con gli autori dell’attacco dell’11 Settembre, nonché con interventi umanitari e di aiuto economico, i fatti oggettivi e ripetuti hanno confermato altresì la qualificazione degli Usa non come arsenale della democrazia ma, assai diversamente, come piattaforma bellico-finanziaria per la strategia di imperialismo globalizzato delle grandi corporations: le invasioni dell’Iraq e della Libia erano finalizzate a difendere il ruolo del dollaro come moneta obbligatoria per pagare il petrolio (Iraq e Libia volevano scalzare quest’esclusiva), e quella dell’Afghanistan (come pure l’intervento di regime change in Ucraina) ad accerchiare la Russia e a rilanciare la produzione di oppio ed eroina assicurando al sistema bancario Usa il riciclaggio dei relativi narcodollari, senza i quali entrerebbe in crisi.
Abu GhraibL’Italia ha partecipato a tutte quelle campagne belliche, contro i propri interessi e contro la propria Costituzione, in quanto paese vassallo e ancora occupato militarmente. Intanto, l’Europa imbelle e imbecille dei banchieri, unione finanziaria ma non politica, quindi politicamente impotente e buona solo a incravattare i propri membri deboli, sta a guardare passivamente l’azione non solo degli Usa, ma della Cina che si espande nell’Africa nera, nonché della Russia che, con la Turchia, si spartisce il Nord Africa. Nell’ambito di un conflitto geostrategico per l’egemonia, in cui l’azione contro l’Iran fa parte della strategia di accerchiamento e assedio contro la Russia, è semplicemente ovvio che avvengano azioni di attacco e killeraggio dall’una e dall’altra parte, più o meno asimmetricamente. Anche Teheran e Mosca perseguono strategie di potenza comprendenti l’uso della forza: mondiale la prima, regionale la seconda. In particolare, dopo la sconfitta subita nel teatro siriano da parte della Russia alleata di El Assad, gli Usa semplicemente ed evidentemente dovevano prendere l’iniziativa su qualche altro fronte della regione mediorientale. E forse c’era anche un’esigenza di Trump di rafforzare la propria immagine e distogliere l’attenzione dal Russiagate.
Bandiere Usa in fiamme al funerale di SoleimaniLa storia della politica è tutta così. Meravigliarsi e scandalizzarsi per la milionesima azione di questa sorta, è naif. Allibire per l’uccisione del generale Qassem Soleimani e dei suoi sette compagni di viaggio, o per gli innumerevoli altri atti consimili compiuti dal governo Usa, è da persone incapaci di guardare in faccia alla realtà e di apprendere dalla storia. In generale – ripeto – è irrazionale aspettarsi che la natura o l’azione dello Stato incarni o attui principi etici, se non per convenienza dei suoi gestori di turno. Tuttavia è anche ragionevole che la gran parte della gente si aspetti ed “esiga” proprio questo. Quindi, politicamente, è necessario tenere conto di questa inclinazione della mente collettiva. Ma ora, per alleggerire l’attesa della rappresaglia iraniana, della controrappresaglia americana e della possibile escalation a seguire, concediamoci un intermezzo farsesco, raccontando quel mito yankee, creduto oggi da quasi metà della popolazione, che consente agli Usa, perlomeno davanti alla loro opinione pubblica, di esimersi dall’osservanza del diritto internazionale: il mito fondativo-legittimante dell’American Exceptionalism, che infatti oggi la stampa internazionale richiama, collegandolo al caso Qassem Soleimani. Esso appare risibile all’europeo smaliziato, ma oltre Atlantico ha credito e convince ampie fette del popolo, aiutando l’establishment a governarlo. E l’establishment Usa, come descritto in “The Power Elite” da Charles Wright Mills, è una trinità di grande capitalismo, alta politica e vertici militari, che insieme decidono a porte chiuse la politica a stelle e strisce.
L’American Exceptionalism è in primo luogo l’idea che gli Usa abbiano in esclusiva la missione di trasformare il mondo garantendo “il governo del popolo, per il popolo, da parte del popolo” (esportazione della democrazia). In secondo luogo, è l’idea che abbiano una superiore qualità di giustizia e legittimità (la liquidazione dei pellerossa non conta). In terzo luogo, è il convincimento che siano al disopra, per loro storia e missione, delle altre nazioni e della legge internazionale, quindi esenti e immuni da essa e dalle sue corti di giustizia. Il mito in esame è palesemente derivato dall’idea veterotestamentaria e monoteista, rectius monolatrista, del ‘popolo eletto’, che ha uno status superiore agli altri e può permettersi ciò che gli altri non possono. Un mito, quindi, per essenza nazionalistico ed escludente, a differenza di quello imperiale romano, concretamente politeista, multinazionale e includente. Il mito in parola si radicalizzò nel secolo scorso, in appoggio all’ascesa egemonica di Washington, ed è stato affermato, sia pure in forme e perifrasi mutevoli, da molti uomini politici e da tutti i presidenti, quindi esso è chiaramente vivo. Nel 2013 Putin, commentando Obama sulle sue minacce di intervenire unilateralmente in Siria, osservò: «E’ pericolosissimo incoraggiare un popolo a considerarsi come un’eccezione, quale che sia la motivazione».
(Marco Della Luna, estratto da “Ragion di Stato e ‘business, as usual’”, post pubblicato sul blog di Della Luna il 5 gennaio 2020).

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