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– di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano – Il guaio del dibattito
sulla prescrizione, come su ogni aspetto della giustizia, è che i
politici e gli opinionisti che se ne occupano sono perlopiù dei totali
incompetenti. L’altra sera, a Dimartedì, mi sono permesso di ricordare
che la legge Bonafede riguarda la prescrizione durante il processo:
infatti la blocca dopo la sentenza di primo grado, per evitare che
scatti in appello o in Cassazione. E la prescrizione nel processo
riguarda i colpevoli, non gli innocenti: se il giudice ritiene
l’imputato innocente, ha l’obbligo di assolverlo, non di prescriverlo.
Apriti cielo! Ieri mi sono beccato le lezioncine del Foglio, convinto
che io pensi che gl’innocenti “sono tutti colpevoli non ancora
scoperti”. Ma anche del Riformatorio, con la rediviva Maiolo. E di quel
variopinto carrozzone di garantisti all’italiana formato da ignoranti
patentati, come forzisti, leghisti, pidini, renziani e radicali liberi, e
da competenti in malafede, che sanno benissimo come stanno le cose ma
preferiscono ignorarlo per motivi di bottega, come molti esponenti
dell’avvocatura. Tutta gente che non merita risposte: come diceva Arthur
Bloch, “non discutere mai con un idiota, la gente potrebbe non notare
la differenza”. Ma queste scemenze girano per il web e arrivano
all’orecchio dei nostri lettori, che poi sono gli unici che
m’interessano: un chiarimento mi pare obbligato.
La prescrizione nel processo è diversa da quella nelle indagini
preliminari. Qui il pm investiga sull’esistenza del reato e sulla sua
attribuzione agli indagati, prima di esercitare l’azione penale (cioè di
chiedere il rinvio a giudizio). Se poi, mentre indaga, il reato si
prescrive, molla lì e chiede l’archiviazione per prescrizione,
senz’accertare o attribuire il reato. Tant’è che l’indagato prescritto
non può rinunciare alla prescrizione. Se invece il pm chiede il rinvio a
giudizio e il giudice lo accorda, l’indagato diventa imputato nel
processo. E lì (art. 129 comma 2 del Codice di procedura penale),
“quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta
evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o
che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a
procedere con la formula prescritta”. Cioè: anche se il reato è
prescritto, se il giudice è convinto che l’imputato sia innocente, ha
l’obbligo di assolverlo. Se invece dichiara la prescrizione, è perché
ritiene che sia colpevole o non esistano motivi sufficienti per
assolverlo. Ancor più stringente è l’accertamento di colpevolezza di una
prescrizione in appello o in Cassazione.
È quella che, grazie alla legge Bonafede, non esiste più. E riguarda
indubitabilmente i colpevoli: se la Corte d’appello o la Cassazione
dichiarano la prescrizione, condannano pure l’imputato a risarcire il
danno all’eventuale parte civile e a pagare le spese processuali. Può
mai esistere un innocente condannato alle spese e al risarcimento delle
vittime? Ma vittime di chi e di cosa, se fosse innocente? Infatti la
giurisprudenza della Consulta e della Cassazione è piena di sentenze che
dichiarano la colpevolezza dell’imputato prescritto. Ultimo caso, la
sentenza della Cassazione del 28.3.2019 n. 28911: “Come affermato dalla
Corte costituzionale, tra le sentenze di proscioglimento che possono
rivestire un sostanziale riconoscimento della responsabilità
dell’imputato che, ‘ancorché privo di effetti vincolanti’, è idoneo a
pesare comunque ‘in senso negativo su giudizi civili amministrativi o
disciplinari connessi al medesimo fatto’ ben può rientrare anche la
sentenza di prescrizione”. Tantopiù quando scatta per l’effetto
dimezzante delle attenuanti generiche (riservate al colpevole:
l’innocente non ha nulla da attenuare). Non solo: la vittima può usare
la sentenza di prescrizione per fare causa civile all’imputato e farlo
condannare a risarcire gli altri danni. Perciò l’imputato può sempre
rinunciare alla prescrizione, per essere giudicato oltre i termini nella
speranza di essere assolto. E può ricorrere contro la prescrizione per
ottenere l’assoluzione nel merito.
Lo sapevano persino i due prescritti più famosi d’Italia: Berlusconi e
Andreotti. Il primo, nove volte prescritto, si spacciava ogni volta per
assolto, ma intanto sapeva benissimo di non esserlo: infatti non
rinunciava mai alla prescrizione (mica fesso), ma impugnava regolarmente
le sentenze di prescrizione per essere dichiarato innocente (sempre
respinto con perdite). Il secondo, assolto in primo grado e mezzo
prescritto in appello per associazione per delinquere con Cosa Nostra,
mentre l’avvocata Bongiorno berciava “Assolto! Assolto! Assolto!”, la
invitava amorevolmente a ricorrere in Cassazione per ottenere
l’assoluzione: lo sapeva anche lui che prescrizione e assoluzione sono
l’una l’opposto dell’altra. E l’aveva letta anche lui la sentenza
d’appello sul “reato commesso fino alla primavera del 1980”. Purtroppo,
anche per lui, la Cassazione confermò la prescrizione: cioè la sua
colpevolezza di mafioso doc fino al secondo incontro col boss Bontate
per discutere del delitto Mattarella. Persino lui, padre costituente,
ricordava quello strano articolo 54 che impone a chi ricopre pubbliche
funzioni “il dovere di adempierle con disciplina e onore”. E sapeva
benissimo che non c’è alcun onore nel prendere la prescrizione per reati
infamanti come la mafia. Infatti, se un magistrato accetta la
prescrizione per un reato grave anziché rinunciarvi, viene subito
sottoposto a procedimento disciplinare per esser punito almeno dal Csm.
La qual cosa dovrebbe valere anche per i politici. Che invece si
aggrappano alla prescrizione come se non fosse un’onta indelebile, ma un
diritto inalienabile ed esclusivo. Vergogniamoci per loro.
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