giovedì 9 gennaio 2020

Più di un quarto dei morti sul lavoro nel 2019 erano ultrasessantenni

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L’allungamento dell’età pensionabile ha portato, un risultato aberrante, nel 2019 oltre un quarto (oltre 25%) dei morti sul lavoro sono ultrasessantenni. Lavoratori che avrebbero potuto stare in pensione e invece per ridurre gli anni di godimento della pensione si arriva a mettere in pericolo la loro vita.
Tra la riduzione dei diritti c’è anche quello alla sicurezza che insieme ai ritmi e ai carichi di lavoro diventano insopportabili per un lavoratore anziano. Come se questo dato non bastasse inventano l’invecchiamento attivo, vale a dire spingere al lavoro anche dopo il pensionamento.

La progressiva riduzione della copertura delle pensioni rispetto ai salari, l’attacco ai diritti come la pensione di reversibilità, l’invalidità civile, le necessità familiari spingono i pensionati a lavorare anche dopo la pensione. Ma chi può lavorare e quale lavoro può essere svolto dopo il pensionamento, chiaramente ci si rivolge ai professionisti e non certamente a chi ha svolto lavoro usurante e faticoso.
La possibilità di cumulo del reddito da lavoro e della pensione apre sicuramente un nuovo mercato del lavoro che consente al pensionato di riprendere l’attività lavorativa o cambiarla scivolando nel lavoro nero. Quanti pensionati sanno che i contributi versati per il lavoro dopo il pensionamento danno diritto ad un incremento della pensione che viene però riconosciuto solo su richiesta dell’interessato. Così pensando di perdere eventuali contributi e incappando nella voracità dei datori di lavoro si accetta lavoro nero e grigio sottopagato.
Il vero invecchiamento attivo è l’impegno sociale a difesa dei propri diritti e alla conquista di nuove garanzie per i nostri bisogni.

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