Prendiamo
per esempio la notizia apparsa qualche giorno fa sui giornali della
Valle d’Aosta in merito alle cooperative sociali.
In pratica, di punto
in bianco salta fuori che il fronte delle cooperative valdostane – che
gestisce gran parte dei servizi sociali della Regione – disdice
l’accordo integrativo sulla busta paga dei propri lavoratori.
Una media
di 200 euro a dipendente per oltre 1.000 lavoratori, impiegati in decine
di cooperative. I sindacati per fortuna reagiscono, denunciano,
ventilando uno sciopero generale del settore e azioni legali.
Capita
così, che in mezzo a notizie bomba – come il rischio di
commissariamento del Comune di Aosta per infiltrazioni mafiose e la
condizione di esercizio provvisorio del bilancio regionale, a seguito
dell’inchiesta aperta dalla magistratura sul Presidente della regione e
altri assessori e consiglieri per voto di scambio mafioso – una piccola
notizia destinata a passare in secondo piano si trasformi in uno
strumento d’aiuto per mettere in luce una tendenza generale non facile
da riassumere in poche parole.
Affrontare
l’argomento delle esternalizzazioni dei servizi pubblici in maniera
schietta e arrivare a mostrarne i limiti e soprattutto le conseguenze
negative che questa tendenza sempre più diffusa produce nella nostra
società e nella difesa dei nostri diritti, infatti, non è cosa da poco.
Può diventare un’impresa ardua, far notare a chi guarda soltanto alla
soddisfazione di un bisogno immediato, che le privatizzazioni sono un
male. Terribile.
“In fondo” – rispondono sempre alcuni – “se il servizio c’è, che importa, che differenza fa, cosa cambia se è pubblico o privato?”
E potrebbero persino aver ragione, dato che quando ci rivolgiamo ai
servizi sanitari, educativi e sociali, ormai dobbiamo essere davvero
bravi per capire se siamo di fronte a un’impresa pubblica o privata,
talmente le due si confondono e procedono in parallelo.
E poi, sempre in
fondo, è anche vero che ormai quello che interessa ai più non è tanto sapere, ma ottenere.
“Colpa della legge di stabilità” e “Ce lo chiede l’Europa”
– si giustificano normalmente gli amministratori, sostenendo che questa
sia l’unica via per sopravvivere e andare incontro ai bisogni dei
cittadini.
Probabilmente anche nelle loro scuse c’è del vero. Ma senza
dubbio ci sono delle scelte politiche a monte, che fanno sì che non ci
siano soldi per mantenere pubblici questi servizi e che si decida di
affidarli ai privati.
Purtroppo però, e questo non lo dicono, perché
quello che interessa a loro non è tanto assumersi delle responsabilità politiche ma fare bella figura come persone.
Eppure
ci deve essere un margine di possibilità di intervento – da parte di
chi governa – per spostare l’ago della bilancia un po’ più verso il
pubblico che verso il privato.
O dobbiamo escluderlo a priori? Perché se
così è, vuol dire che la loro attività politica – e quella di tutto
l’apparato istituzionale – è veramente ridotta a nulla, a ordinaria
amministrazione di una macchina che non sanno o non vogliono cambiare.
Sarebbe come ammettere la resa della politica di fronte a un
sistema economico che tiene appese a un cappio le nostre libertà, ossia
la capacità di scegliere e di agire collettivamente.
Perché quindi insistere nel sostenere che le privatizzazioni sono un male?
E perché un fatto di portata così minore come quello delle cooperative
valdostane dovrebbe darci una mano a mostrarne i limiti e le conseguenze
negative?
Ci sono almeno due motivi.
Il primo, è che trasferire i servizi ai privati significa trasformare tout court i diritti in beni di consumo,
merci sottoposte alle leggi del mercato.
Perché sappiamo bene che,
nella sfera del privato, non è l’interesse collettivo a prevalere, ma il
profitto economico individuale.
Che
politica è, quella che permette che questo accada?
Che Stato è, quello
che non è in grado di garantire con le proprie risorse almeno i diritti
fondamentali ai suoi cittadini e li affida al mercato?
Il
secondo motivo è contenuto nel 1° articolo della nostra Costituzione.
È
quello su cui si fonda la nostra Repubblica, il lavoro umano.
Quello
che fa la dignità della persona e che lo Stato è tenuto a tutelare,
anche e soprattutto quando delega il privato allo svolgimento delle sue
funzioni.
E
da parte loro, le imprese che si assumono l’incarico di sostituirsi
allo Stato, dovrebbero garantire di non lucrare sulla pelle dei
lavoratori. Soprattutto se si tratta di società cooperative, dovrebbero
tenere a mente i valori di solidarietà, giustizia sociale e contrasto
allo sfruttamento intorno ai quali sono nate, e rispettare la propria
funzione senza fini di speculazione privata.
Qui,
il piccolo caso delle cooperative valdostane che disdicono l’accordo
integrativo sulla busta paga dei lavoratori si commenta da solo, e ci
aiuta a capire che le privatizzazioni non sono belle come ci raccontano da decenni e non sono un bene.
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