venerdì 3 gennaio 2020

Non si sblocca fino al 4 giugno. L'effetto distorsivo dello sbloccacantieri.






SbloccaIntanto il Paese reale – almeno quello fatto di investimenti e spesa pubblica, appalti e opere da realizzare – sa già che  
per i prossimi sei mesi resterà fermo. Comunque. 

Solo il prossimo giugno il Consiglio di Stato deciderà una questione all’apparenza cavillosa, ma che di fatto impedisce di assegnare i lavori per gare pubbliche fino a 5 milioni di valore (cioè al di sotto della soglia di “rilievo comunitario”).
Sembra incredibile, ma è tutto incredibilmente vero. 
Ogni gara al minor prezzo con almeno 15 concorrenti ammessi e aggiudicazione con esclusione automatica (obbligatoria per appalti fino a 5.350.000 euro) rischia di essere soggetta a ricorso in tutto il Paese, quale che sia l’amministrazione pubblica appaltante e quale che sia stata l’interpretazione adottata nelle fasi dei giudizi pendenti.

Il decreto legge 18 aprile 2019, n. 32 (il cosiddetto “sblocca cantieri”: il paradosso delle parole!) ha espressamente previsto per gli appalti di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario (dal 2 gennaio 2020 la soglia è definita in 5.350.000 euro) nel caso in cui siano presenti almeno dieci offerte ammesse, l’obbligo di esclusione automatica delle offerte anomale in presenza del criterio del minor prezzo.
Ma i funzionari pubblici come dovrebbero valutare se un’offerta è anomala o meno? 
Ed è qui che si entra nelle sofisticherie della burocrazia, quel fantasma contro cui da tempo ogni Governo dice di voler sparare, finendo per colpire i mobili di casa, invece dell’ectoplasma. 
Sofisticheria essenziale per i bandi pubblici e per la loro assegnazione: si tratta di un procedimento di calcolo al termine del quale le offerte “anormalmente” basse, ossia quelle che presentano un ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia, possono essere escluse automaticamente - ossia senza prima chiedere agli offerenti di fornire spiegazioni – e si individua l’aggiudicatario della gara.

Il decreto “sblocca cantieri” ha modificato l’articolo 97 del codice dei contratti pubblici in tema di offerte anomale, intervenendo proprio sul calcolo della soglia di anomalia, sostituendo i precedenti cinque metodi di calcolo con due distinte modalità di calcolo utilizzabili a seconda del numero delle offerte ammesse (rispettivamente pari o superiore a 15, oppure inferiore a 15). 
Lo scopo dichiarato dal legislatore, nella sempiterna lotta alla corruzione, era quello di introdurre delle variabili tese a impedire che fossero predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia.  

Si capisce che, trattandosi di calcolo fondamentale per l’esclusione di imprese dalla possibilità di aggiudicarsi appalti milionari, l’esigenza primaria era quella di scrivere la norma nella maniera più chiara possibile, cercando di evitare che si potesse prestare a molteplici interpretazioni e, così, dare la stura all’ennesima conferma dell’adagio latino: summus ius, summa iniuria.
Auspicio sacrosanto. 
Risultato opposto alle attese, dal momento che la norma non ha chiarito se, nel criterio di calcolo della soglia di anomalia, ci si dovesse riferire a una “percentuale” oppure a un “valore assoluto”
Ed è così che nel dubbio interpretativo si è aperto il festival dei ricorsi amministrativi promossi dagli esclusi. 
La norma è scritta in modo così maldestro che gli stessi giudici amministrativi si sono divisi tra Montecchi e Capuleti o, se si preferisce, guelfi e ghibillini. 
Da un lato, i giureconsulti in esercizio presso i Tar Sicilia, Emilia-Romagna e Lombardia i quali, con il conforto dell’Anac, hanno sostenuto la tesi del valore assoluto, dall’altro i magistrati delle Marche che hanno sentenziato in modo esattamente opposto e contrario, invocando il criterio della “percentuale”.
Di fronte a tanta confusione, ai funzionari pubblici addetti alle gare in corso in migliaia di Comuni italiani non restava che confidare nel pronunciamento del Consiglio di Stato. 
Tuttavia anche i magistrati di Palazzo Spada non hanno saputo diradare le nebbie. Anzi, a ben vedere, la V sezione nel breve volgere di 48 ore ha ingarbugliato ulteriormente la matassa, emanando tra il 19 e il 20 dicembre 2019 due ordinanze di tenore diametralmente opposto.
Con quella del 19 ha sospeso gli effetti della sentenza del Tar che accreditava la tesi del “valore assoluto” mentre con quella del 20 ha congelato l’efficacia del provvedimento che si era sbilanciato in favore della “percentuale”. 

Come dire: “non ha ragione nessuno” e tutto rinviato al 4 giugno con buona pace degli appalti in attesa di assegnazione. L’eterogenesi dei fini è completa. Lo “sblocca cantieri” diventa “blocca cantieri”.
Insomma il caso degli appalti di valore fino a 5 milioni conferma che, almeno per quanto riguarda gli investimenti pubblici, la burocrazia è un mostro a più teste che si alimenta, sempre, della scarsa qualità delle norme e, molto spesso, della contraddittorietà delle interpretazioni della magistratura amministrativa. A sindaci e funzionari pubblici, spesso sul banco degli imputati, va riconosciuta l’esimente connessa al fatto di dover operare scelte importanti in un paesaggio giuridico pieno di buche, insidie e trabocchetti. In questo quadro desolante il Paese, condannato all’immobilismo anche e soprattutto per inadeguatezza del “sistema nervoso centrale”, assomiglia sempre più a un colibrì. 
L’uccello che, come ci ricorda Sandro Veronesi, sbatte settanta volte le ali al secondo per restare fermo.

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