venerdì 17 gennaio 2020

Libro. Calzando la scarpa della libertà.

In libreria la raccolta di poesie “Epicrisi” di Ashraf Fayadh, condannato a morte in Arabia Saudita per apostasia e diffusione di idee blasfeme. Dopo una grande campagna internazionale a suo sostegno, la sua pena è stata commutata in 8 anni di reclusione e 800 frustate. I suoi versi palpitano di esistenza e dignità, di un’arte intesa come “la bugia che abbiamo inventato per credere a questo mondo”.




micromega Adele Orioli

È finita la nostra storia (…) Non possiamo sminuire la cosa ad una leggera differenza nei nostri gusti musicali, scrive Ashraf Fayadh all’entità femminile con la quale dialoga, o meglio monologa, per tutto il corso della raccolta di versi, “Epicrisi”, pubblicata in Tunisia e in Italia dalla Di Felice Edizioni con la coinvolgente traduzione di Sara Darghmouni.
Entità femminile a tratti molto concreta, dai seni aristocratici ai brufoli, dal lungo collo da misurare con i baci ai graffi lasciati sulla schiena, ma al contempo evanescente, multi identitaria e allusiva.
Una lei lontana, comunque. Perché, in ogni caso e a prescindere appunto dalle affinità di coppia, Ashraf è in carcere.
Carcere che non nomina mai direttamente, che appare di sfuggita (una cassa di cemento sostenuta da barre fredde di metallo, il padre visto per l’ultima volta prima della sua morte attraverso un vetro massiccio) ma che al di là di facili connessioni con la biografia dell’autore, permea molte delle poesie di una sottile inquietudine, di una soffocante consapevolezza mai arrendevole e non del tutto arresa.

Artista di origini palestinesi, figlio di un rifugiato dalla striscia di Gaza, Fayadh è nato in Arabia Saudita nemmeno quarantant’anni fa e nel sud ovest del paese è rinchiuso, ad Abha, dal gennaio del 2014.
Non solo poeta e scrittore, ma anche fotografo e regista, tra le altre espositore alla Biennale di Venezia, ha visto in suo sostegno una mobilitazione internazionale quando è stato condannato a morte, pena poi graziosamente commutata in otto anni di carcere e 800 frustate. Il suo reato? La blasfemia e l’apostasia, l’aver promosso addirittura l’ateismo nella sua prima raccolta di poesie, Instructions Within, prontamente ritirata dal commercio in lingua araba.

Versi come Io continuo a inseguire la luce, ma non è desiderio di vedere… Le tenebre rimangono spaventose anche se ad esse ci si abitua sono state considerate dai giudici sauditi prova dell’aver dubitato dell’esistenza di Dio e bastevoli per una condanna detentiva e corporale.

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