giovedì 2 gennaio 2020

Libia & guerra. Via libera del Parlamento turco all'invio di truppe in Libia.

Secondo gli analisti, la missione inizierà con l'invio di esperti e attrezzature militari. La mossa di Erdogan per proteggere gli interessi turchi nel Paese africano. L'Ue ribadisce: "No a soluzione militare".

Via libera del Parlamento turco all'invio di truppe inTutto come ci si aspettava: il Parlamento turco ha dato il via libera all’invio di un contingente militare turco in Libia a sostegno del governo di Tripoli.
Nel corso di una sessione straordinaria, che ha anticipato di qualche giorno la ripresa dei lavori parlamentari su richiesta della presidenza, i parlamentari turchi hanno approvato la mozione voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan.

Il testo è passato con 325 voti a favore su 600 parlamentari.
Lo speaker dell’Assemblea nazionale, Mustafa Sentop, ha comunicato che contro il testo hanno votato 184 parlamentari.
La mozione fa riferimento a una spedizione militare in Libia della durata di un anno, finalizzata a “garantire un cessate il fuoco, rilanciare un processo politico e favorire un ritorno alla diplomazia”, il tutto anche per “proteggere gli interessi turchi” nel Paese africano.

Una missione che potrebbe anche non svolgersi, se il generale Khalifa Haftar dovesse rinunciare preventivamente alla sua offensiva contro Tripoli e il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, guidato dal premier Fayez al-Serraj. Lo ha detto il vice presidente turco, Fuat Oktay, a poche ore dal voto: “Se l’altra parte adotta una posizione differente e dice ‘Bene, ci ritireremo, arretreremo’, perché dovremmo andare?”, ha dichiarato.
Ma le notizie che arrivano del terreno suggeriscono ben altro. I media locali riferiscono infatti di scontri sempre più intensi alla periferia di Tripoli tra i combattenti del generale della Cirenaica e le milizie che difendono la capitale libica. Le truppe di Haftar, in particolare, avrebbero circondato il quartiere di Abu Salim, a meno di dieci chilometri dal pieno centro di Tripoli.
Lo scorso mese il presidente turco aveva reso noto di aver ricevuto da Serraj la richiesta d’intervento, dopo che i due avevano firmato un accordo militare che consente ad Ankara di dispiegare esperti e personale militare in Libia. Secondo analisti e funzionari citati da Reuters, è probabile che la missione turca in Libia inizi con il sostegno militare, l’addestramento e i droni in volo, piuttosto che con un dispiegamento di truppe a terra. Ankara, in sostanza, potrebbe iniziare inviando consiglieri e attrezzature militari, per poi valutare in itinere se procedere o meno con il dispiegamento di truppe terrestri.
All’accelerazione turca Bruxelles risponde ribadendo l’appello a “rispettare l’embargo Onu sulle armi” e sottolineando che “non c’è una soluzione militare” alla crisi in corso nel Paese nordafricano. “In Libia non c’è una soluzione militare”, ha commentato Peter Stano, portavoce dell’Alto commissario per la politica estera Ue, Josep Borrell. “L’Unione europea”, ha sottolineato Stano, “ribadisce a tutte le parti coinvolte l’appello a cessare le azioni militari e a riprendere il dialogo politico”. “Tutti i membri della comunità internazionale”, ha poi ammonito, “devono osservare e rispettare l’embargo Onu sulle armi. Tutti i nostri sforzi diplomatici si concentrano sull’impedire un’ulteriore escalation in Libia e nel sostenere il processo di Berlino”.
L’Ue ha in calendario una propria missione in Libia per il 7 gennaio, su proposta del ministro degli Esteri Di Maio. Una missione che a questo punto - sottolinea su Twitter la vice ministra Marina Sereni - ”è sempre più importante  per chiedere a tutti gli attori di rispettare l’embargo Onu, far tacere le armi, ridare voce alla politica”.  “Il voto del Parlamento turco sulla Libia aumenta le tensioni in un quadro già drammatico”, scrive Sereni.
A stretto giro arriva la condanna del Cairo, tra i principali sostenitori del generale Haftar. L’Egitto “condanna nei termini più forti” il passo del Parlamento turco con cui è stato deciso di “inviare forze turche in Libia”, si afferma sulla pagina Facebook del ministero degli Esteri egiziano. Il Consiglio per la sicurezza nazionale egiziano, presieduto dal presidente Abdel Fattah al Sisi, si è riunito per discutere gli “sviluppi nel dossier libico e le minacce derivanti dall’intervento militare esterno”. Secondo quanto riportato dal quotidiano Al Ahram, ”è stato definito un insieme di provvedimenti in diversi settori per contrastare ogni minaccia per la sicurezza nazionale egiziana”.
Si attende ora la reazione di Mosca, finora vicina all’uomo forte della Cirenaica. Il presidente russo Vladimir Putin è atteso a Istanbul mercoledì 8 gennaio: entro quella data, tutti gli attori in gioco dovrebbero aver scoperto le loro carte. Nei giorni scorsi il leader russo aveva definito l’iniziativa turca “un’ingerenza che non aiuta”.
Di Libia e Siria il leader turco ha parlato oggi con il presidente americano Donald Trump. Stando al sito del quotidiano ‘Sabah’, durante la telefonata Erdogan ha espresso preoccupazione per gli attacchi contro le forze di sicurezza Usa in Iraq e ha espresso soddisfazione per la cessazione delle azioni contro l’ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad. Il leader turco e Trump hanno anche evidenziato l’importanza della diplomazia per risolvere le questioni regionali e concordato di rafforzare le relazioni bilaterali.
Il conflitto nell’area di Tripoli ha avuto un’escalation nelle recenti settimane, dopo che Haftar ha dichiarato la battaglia “finale” e decisiva. All’escalation il leader turco ha risposto anticipando il normale calendario di ripresa dei lavori del Parlamento. Un’urgenza dettata dalla volontà di difendere il governo di Fayez al-Serraj, con cui il presidente turco ha concluso un accordo lo scorso 27 novembre, che riconosce alla Turchia la giurisdizione su una fetta di Mediterraneo orientale al largo di Cipro. Un tratto di mare che Erdogan non può permettersi di perdere, per evitare che la Turchia resti tagliata fuori da un possibile hub energetico che collegherebbe l’Europa con i giacimenti ciprioti e israeliani. Di qui il riferimento agli “interessi nazionali turchi” esplicitato nel testo della mozione.

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