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In una intervista su “The Times of Israel” dello scorso ottobre, il
capo del Mossad, Yossi Cohen, ha dichiarato: l’assassinio del generale
Soleimani non è impossibile. Il vero motore dell’attacco all’Iran è
proprio Israele, nella persona del primo ministro Netanyahu e della sua
politica di questi anni. Insieme a Ntanyahu e Israele c’è una potente
lobby ebraica sionista, che controlla una buona metà del Senato degli
Stati Uniti e della Camera dei Rappresentanti. Sono calcoli forniti da
autorevoli esperti. Questa lobby è quindi in grado di determinare anche
il destino di Donald Trump. Non dimentichiamo che il senatore
repubblicano Lindsay Graham ha detto esplicitamente e pubblicamente che,
se ci fosse una decisione di Trump di ritirare le sue truppe dal Medio
Oriente, non potrebbe garantire che una importante quota dei
parlamentari repubblicani non possa votare a favore dell’impechment.
Quindi a Trump è stato detto con tutta chiarezza: o procedi sulla linea
che ti viene dettata, da Israele e dagli amici americani di Israele,
oppure noi ti facciamo perdere l’impeachment e facciamo saltare la tua
rielezione a presidente degli Stati Uniti. Per Trump questo è un colpo
drammatico: per il suo destino. E non credo che riuscirà a recuperare,
perché comunque sarà sotto accusa da ogni parte.
Trump ha perduto nettamente tutto il Medio Oriente: non solo gli
sciiti, che ormai si sono compattati interamente. Il problema è che
anche una parte dei sunniti non potrà reggere a questa situazione: in
caso di aggravamento della situazione, anche
forze sunnite importanti del Golfo Persico possono sentirsi minacciate.
Cinque importanti rappresentanti governativi del Qatar hanno chiesto il
passaporto di Malta. Molte cose si stanno muovendo, nel campo islamico.
Il Parlamento
iracheno ha chiesto l’uscita delle truppe americane dal paese, e il
problema non verrà risolto se non con l’uscita delle truppe. Trump nel
frattempo sta già cercando di non parlare più dell’accaduto, come se non
fosse successo nulla: è chiaro che il presidente americano è in piena
ritirata, ma non credo che potrà rititarsi. L’atto è stato compiuto, e i
rapporti politici, emotivi e istituzionali sono profondamente cambiati.
Credo che la questione non si chiuda adesso, non c’è neanche da
pensarci. Non credo che l’Iran farà azioni di grande portata. Credo
invece che Trump dovrà cercare di tenere a freno la situazione, e mi
auguro che gli europei siano in grado di capirlo: perché se le forze che
vogliono la guerra (che non sono l’Iran) non saranno fermate dagli Stati Uniti, da Trump, dagli europei, io credo che andremo incontro a una crisi di proporzioni gigantesche.
Non sottovalutiamo questa situazione: è in mano a veri e propri
irresponsabili e criminali. Sono convinto che ci saranno dei gravi
avvenimenti, nell’immediato futuro. Un punto importante è il ruolo della
Russia:
Putin è andato a Damasco a parlare con Assad, poi ad Ankara per
inaugurare con Erdogan il Turkish Stream. Cioè, Putin sta dicendo che la
Russia
è in Medio Oriente, proprio nel momento in cui l’America viene invitata
ad andarsene. Io credo che il destino della pace, in questo momento,
sia in gran parte nelle mani della Russia e della Cina. Ritengo che la Russia
dovrebbe dire, esplicitamente, che non accetterà in nessun modo un
attacco contro l’Iran. Dovrebbe dirlo ora, perché ci sono forze che a
questo attacco stanno pensando. Farebbe capire a tutti che oggi la pace è
sotto il controllo della Russia e della Cina. I primi a sapere di poter sfidare militarmente gli Usa sono
proprio i dirigenti iraniani. Nello stesso tempo, l’Iran è troppo forte
per essere considerato un paese sconfiggibile: l’Iran non può vincere,
ovviamente, ma non può neppure essere sconfitto. O meglio: potrebbe
essere sconfitto solo con una gigantesca catastrofe internazionale,
mondiale, nella quale noi europei saremmo coinvolti.
Le cifre parlano chiaro: dallo Stretto di Hormuz passa il 22% del petrolio che è necessario alla vita quotidiana dell’intera Europa. Se attaccato, l’Iran può impedire l’uscita di quel petrolio, che è vitale anche per la Cina. Gli Stati Uniti, per quanto forti, sono in grado di imporre una catastrofe economica che si abbattesse sull’Europa e sulla Cina?
Ne dubito. E quindi, la questione dovrebbe essere sul tavolo di tutti i
paesi europei. Bisognerebbe riuscire a stabilire che gli interessi
dell’Europa
non coincidono più con quelli di un’America che non rispetta più le
regole della convivenza internazionale. In qualche misura, bisogna che
l’Europa
agisca ora. Riteniamo che non succederà niente? Questa è una visione
inaccettabile, di una miopia e di una stupidità assoluta, perché il
mondo non è più quello di 25 anni fa: non capirlo, significa esporsi a
gravi pericoli. Quindi, l’Europa e l’Italia dovrebbero essere capaci di dire agli americani: noi non vi seguiremo, non siamo d’accordo di andare a una rottura con l’Iran,
bisogna ricucire. Se non siamo capaci di dire almeno questo, ci
rendiamo complici dell’assurda pretesa di consegnare il pianeta a un
gruppo di irresponsabili.
Un giurista come Ugo Mattei dice che i diritti umani, insieme al
diritto internazionale, sono stati usati essenzialmente come foglia di
fico per il nostro colonialismo? Direi così: le foglie di fico servono
per governare e ingannare le masse. Ma ci sono momenti in cui, se queste
foglie di fico te le togli di dosso, le masse non saranno più
governabili. Questo è il vero problema che sta di fronte a questa crisi,
in Iran: quando vedi l’immensa partecipazione popolare ai funerali di
Soleimani, e quando vedi piangere i due leader del paese, l’ayatollah
Khamenei e il presidente Rohani – se li vedi piangere, di fronte al loro
popolo che piange – tu non puoi ignorare che la foglia di fico è stata
tolta, brutalmente. Conosciamo la durezza della realpolitik, e abbiamo
avuto dirigenti che hanno corso il pericolo di essere uccisi – e sono
stati uccisi (come Enrico Mattei) perché hanno avuto di coraggio e dire e
fare quello che andava detto e fatto. I nostri politici devono fare il
nostro interesse nazionale. Non si può esporre il nostro popolo a un
rischio così grave, senza avere il coraggio di dire – nel modo giusto –
che non si è d’accordo. Bisogna capire il momento. De Gaulle e altri
grandi leader europei hanno saputo dire dei “no”, in certi momenti. Lo
stesso Craxi pagò un caro prezzo per il suo “no” a Sigonella. Oggi però
non abbiamo più un dirigente capace di dire, con garbo e fermezza: noi
non siamo d’accordo. Non è giusto, e non lo faremo: perché è contro
l’interesse del popolo italiano. Ci sarà qualcuno capace di dire almeno
questo?
(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate l’8 gennaio 2020 alla trasmissione web-streaming su YouTube “Speciale #TgTalk”, condotta su “ByoBlu” da Claudio Messora e Francesco Toscano).
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