martedì 7 gennaio 2020

“Devastazione e saccheggio”, un reato indeterminato.

L’11marzo 2017 il movimento politico “Noi con Salvini”, organizzò a Napoli, nei   locali   della   Mostra   D’Oltremare,   una   manifestazione   intitolata   “STOP INVASIONE   –   BASTA   EURO   –   PRIMA   GLI   ITALIANI”   che   prevedeva   la partecipazione di Matteo Salvini, leader della Lega, non ancora Ministro degli Interni.

Il dissenso politico nei confronti di una tale manifestazione a Napoli fu ampio e trasversale.


La  percezione   diffusa   era  quella   di  una  provocazione   voluta   da   chi,   poco tempo prima, si dilettava nel canto di “Vesuvio lavali col fuoco”, tra le risa dei suoi commensali. Anche il sindaco, Luigi De Magistris, si dichiarò contrario
all’organizzazione di eventi razzisti e antimeridionali in una città medaglia d’oro della Resistenza.

L’acceso   dibattito   politico   e   le   varie   proteste   organizzate   nei   giorni antecedenti all’evento voluto dalla Lega, condussero la Mostra D’Oltremare (ente fieristico a partecipazione statale) a recedere dal contratto stipulato con gli   esponenti   di   “Noi   con   Salvini”.   
Fu   direttamente   l’allora   ministro   degli Interni   del  PD,  Minniti,   con  atto  autoritario,   a ordinare   alla Prefettura  di “garantire lo svolgimento della convention leghista”.


L’   11   marzo,   nei   pressi   della   Mostra,   c’era   uno   schieramento   di   forze dell’ordine incredibile che si manifestò in tutto il suo splendore quando il corteo si avvicinò a piazzale Tecchio, e fu subito lancio fitto di lacrimogeni e uso   smodato   di   idranti.   
Quella   giornata   ebbe   due   diversi   epiloghi: nell’immediatezza, due arrestati con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale; a distanza di un anno, nove manifestanti rinviati a giudizio con varie accuse, le più   gravi   delle   quali   sono   devastazione   e   resistenza   pluriaggravata.   
Il  16 gennaio, dopo varie udienze filtro, si aprirà il dibattimento.

È  assurdo che il dissenso politico venga ancora processato e chi manifesta le proprie idee venga condotto innanzi ai giudici con accuse gravissime quali quelle contestate ai nove imputati.

Il reato di devastazione e saccheggio, previsto nel codice Rocco e disciplinato dall’art. 419 c.p., riecheggia tempi fascisti nei quali il regime doveva difendere se stesso reprimendo moti di piazza e sommosse. Quasi inutilizzato in tutto il dopoguerra (nel 1948 per gli scontri seguiti all’attentato a Togliatti), tale reato viene “riscoperto” nel 1960 a seguito dei moti esplosi in tutto il Paese per via della formazione del Governo Tambroni (in cui la DC riportava i fascisti al governo, alleandosi con l’MSI). Gli scontri si moltiplicarono in tutte le città d’Italia, ci furono arresti e violenze da nord a sud, vari morti in tutta Italia, tra cu morti di Reggio Emilia. Poi cadde praticamente nel dimenticatoio fino al 1998, anno in cui la Procura di Torino lo rispolverava per punire chi aveva partecipato alla manifestazione organizzata a seguito della morte di Baleno (Edoardo Massari).
È  il 2001 che segna il punto di svolta. Dopo il G8 e i fatti di Genova,   il   reato   di   devastazione   e   saccheggio   sarà   utilizzato   più frequentemente per punire fenomeni di piazza anche diversi tra loro. Sarà applicato   non   solo   in   contesti   politici   ma   anche   per   la   repressione   dei movimenti ultras. 
L’art.   419   c.p.   recita   “Chiunque,   fuori   dei   casi   preveduti   dall’art.   285,commette fatti di devastazione o di  saccheggio è punito con la reclusione da 8 a   15   anni.   La   pena   è   aumentata   se   il   fatto   è   commesso   nel   corso  di manifestazioni   in   luogo   pubblico   o   aperto   al   pubblico   ovvero  su   armi, munizioni   o   viveri   esistenti   in   luogo   di   vendita   o   di   deposito ”.   
Essendo preesistente alla Costituzione, per poter essere applicato in linea con i principi che   regolano   il   nostro ordinamento,   deve   essere   interpretato   in   modo   da essere “costituzionalmente orientato”. Qual è la pericolosità di un tale articolo ancora in vigore nel nostro ordinamento? La sua indeterminatezza: la norma punisce il fatto “di devastazione” o il fatto “di saccheggio”, non ci dice cosa dobbiamo intendere per devastazione o saccheggio. Per intenderci, il principio di legalità ha come suo corollario il principio di determinatezza cioè il  principio  secondo cui è la legge che deve  determinare con chiarezza e precisione estreme le fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo.
Ad esempio, leggendo l’art. 624 c.p. si capisce subito qual è la condotta di furto,   è   la   norma   stessa   che   lo   dice,   si   ha   il   furto   quando   “ chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne  profitto”.
Tornando al reato ex art. 419 c.p., questo compito, dare un contenuto al fatto punito dalla norma, spetta all’interprete.  In ciò la pericolosità di tale norma.

Di recente inoltre il reato di devastazione e saccheggio, insieme con altri reati tra cui violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, ha subito delle modifiche.  Il  decreto  sicurezza  bis ha introdotto  una specifica  circostanza aggravante  laddove questi reati siano commessi “nel corso di manifestazioni che si svolgono al pubblico o in luogo aperto al  pubblico”. Onestamente, ho cercato di immaginare come si fa a devastare o saccheggiare in un luogo chiuso e difficilmente accessibile al pubblico, ma non riesco ancora a capirlo.
Sicuramente il legislatore è stato più lungimirante di chi scrive.

Appare   chiaro   invece   come   tali   politiche   abbiano   come   risvolto   la criminalizzazione della figura del manifestante e inducano a credere che le manifestazioni stesse possano considerarsi dei luoghi pericolosi. Uno Stato che vuole essere democratico non teme il dissenso politico, non lo reprime.

Il conflitto non è antitetico alla democrazia, ma ne dovrebbe costituire la linfa vitale. Se l’unica risposta che viene fornita a chi dissente è repressione in tutte   le   sue   forme,   amministrativa   (misure   di   prevenzione   e   sanzioni pecuniarie) e penale (pene più aspre e carcere), se si rispolverano norme fasciste e si applicano norme caratterizzate  dall’indeterminatezza, allora è chiaramente in crisi la tenuta stessa del sistema democratico.

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