L’11marzo 2017 il movimento politico “Noi con Salvini”, organizzò a Napoli, nei locali della Mostra D’Oltremare, una manifestazione intitolata “STOP INVASIONE – BASTA EURO – PRIMA GLI ITALIANI” che prevedeva la partecipazione di Matteo Salvini, leader della Lega, non ancora Ministro degli Interni.
Il dissenso politico nei confronti di una tale manifestazione a Napoli fu ampio e trasversale.
La percezione diffusa era quella di una provocazione voluta da chi, poco tempo prima, si dilettava nel canto di “Vesuvio lavali col fuoco”, tra le risa dei suoi commensali. Anche il sindaco, Luigi De Magistris, si dichiarò contrario
all’organizzazione di eventi razzisti e antimeridionali in una città medaglia d’oro della Resistenza.
L’acceso dibattito politico e le varie proteste organizzate nei giorni antecedenti all’evento voluto dalla Lega, condussero la Mostra D’Oltremare (ente fieristico a partecipazione statale) a recedere dal contratto stipulato con gli esponenti di “Noi con Salvini”.
Fu direttamente l’allora ministro degli Interni del PD, Minniti, con atto autoritario, a ordinare alla Prefettura di “garantire lo svolgimento della convention leghista”.
L’ 11 marzo, nei pressi della Mostra, c’era uno schieramento di forze dell’ordine incredibile che si manifestò in tutto il suo splendore quando il corteo si avvicinò a piazzale Tecchio, e fu subito lancio fitto di lacrimogeni e uso smodato di idranti.
Quella giornata ebbe due diversi epiloghi: nell’immediatezza, due arrestati con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale; a distanza di un anno, nove manifestanti rinviati a giudizio con varie accuse, le più gravi delle quali sono devastazione e resistenza pluriaggravata.
Il 16 gennaio, dopo varie udienze filtro, si aprirà il dibattimento.
È assurdo che il dissenso politico venga ancora processato e chi manifesta le proprie idee venga condotto innanzi ai giudici con accuse gravissime quali quelle contestate ai nove imputati.
Il reato di devastazione e saccheggio, previsto nel codice Rocco e disciplinato dall’art. 419 c.p., riecheggia tempi fascisti nei quali il regime doveva difendere se stesso reprimendo moti di piazza e sommosse. Quasi inutilizzato in tutto il dopoguerra (nel 1948 per gli scontri seguiti all’attentato a Togliatti), tale reato viene “riscoperto” nel 1960 a seguito dei moti esplosi in tutto il Paese per via della formazione del Governo Tambroni (in cui la DC riportava i fascisti al governo, alleandosi con l’MSI). Gli scontri si moltiplicarono in tutte le città d’Italia, ci furono arresti e violenze da nord a sud, vari morti in tutta Italia, tra cu morti di Reggio Emilia. Poi cadde praticamente nel dimenticatoio fino al 1998, anno in cui la Procura di Torino lo rispolverava per punire chi aveva partecipato alla manifestazione organizzata a seguito della morte di Baleno (Edoardo Massari).
È il 2001 che segna il punto di svolta. Dopo il G8 e i fatti di Genova, il reato di devastazione e saccheggio sarà utilizzato più frequentemente per punire fenomeni di piazza anche diversi tra loro. Sarà applicato non solo in contesti politici ma anche per la repressione dei movimenti ultras.
L’art. 419 c.p. recita “Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285,commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da 8 a 15 anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito ”.
Essendo preesistente alla Costituzione, per poter essere applicato in linea con i principi che regolano il nostro ordinamento, deve essere interpretato in modo da essere “costituzionalmente orientato”. Qual è la pericolosità di un tale articolo ancora in vigore nel nostro ordinamento? La sua indeterminatezza: la norma punisce il fatto “di devastazione” o il fatto “di saccheggio”, non ci dice cosa dobbiamo intendere per devastazione o saccheggio. Per intenderci, il principio di legalità ha come suo corollario il principio di determinatezza cioè il principio secondo cui è la legge che deve determinare con chiarezza e precisione estreme le fattispecie di reato, nonché le pene cui assoggettare il reo.
Ad esempio, leggendo l’art. 624 c.p. si capisce subito qual è la condotta di furto, è la norma stessa che lo dice, si ha il furto quando “ chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto”.
Tornando al reato ex art. 419 c.p., questo compito, dare un contenuto al fatto punito dalla norma, spetta all’interprete. In ciò la pericolosità di tale norma.
Di recente inoltre il reato di devastazione e saccheggio, insieme con altri reati tra cui violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, ha subito delle modifiche. Il decreto sicurezza bis ha introdotto una specifica circostanza aggravante laddove questi reati siano commessi “nel corso di manifestazioni che si svolgono al pubblico o in luogo aperto al pubblico”. Onestamente, ho cercato di immaginare come si fa a devastare o saccheggiare in un luogo chiuso e difficilmente accessibile al pubblico, ma non riesco ancora a capirlo.
Sicuramente il legislatore è stato più lungimirante di chi scrive.
Appare chiaro invece come tali politiche abbiano come risvolto la criminalizzazione della figura del manifestante e inducano a credere che le manifestazioni stesse possano considerarsi dei luoghi pericolosi. Uno Stato che vuole essere democratico non teme il dissenso politico, non lo reprime.
Il conflitto non è antitetico alla democrazia, ma ne dovrebbe costituire la linfa vitale. Se l’unica risposta che viene fornita a chi dissente è repressione in tutte le sue forme, amministrativa (misure di prevenzione e sanzioni pecuniarie) e penale (pene più aspre e carcere), se si rispolverano norme fasciste e si applicano norme caratterizzate dall’indeterminatezza, allora è chiaramente in crisi la tenuta stessa del sistema democratico.
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