Anna Lombroso
No non era una storia “de paura” anche se quelle rarefatte atmosfere nebbiose sono inquietanti.
No, è che proprio quel giorno avevo letto che all’insaputa di tutti, i consiglieri della regione autonoma siciliana si erano aumentati gli emolumenti come doveroso e meritato riconoscimento per la loro attività al servizio della cittadinanza.
Mentre invece nello sceneggiato la cronista si presenta in un ufficio di relazioni con il pubblico di una istituzione e chiede qualcosa che per noi è inimmaginabile, fantascientifico, utopistico: prendere visione delle ricevute delle carte di credito di un amministratore, a cominciare da quelle che dimostrano la sua frequentazione di un night club di audaci spogliarelliste.
Da lì avrà inizio la sua indagine a conferma che i paesi più civilizzati non sono esenti dall’eleggere cretini pruriginosi e puttanieri che per giunta pagano i loro diletti coi soldi dei contribuenti, pur sapendo che verranno beccati in flagrante o subito dopo.
Pensate se accadesse da noi, pensate che miserabile repertorio di consumi sconcertanti verrebbe messo a disposizione del cittadino, calzini, leccalecca, mignotte e viados, straordinari per guardie del corpo convertite in reggimoccolo durante incontri piccanti, sexy toys, plateau di ostriche, oltre al repertorio tradizionale di cene, festini, gite con amici e famiglia, appartamenti vista mare, restauri delle seconde case e seconde case stesse, promossi grazie a quella riforma della Costituzione che offrì in tempi non sospetti di secessione- era di moda chiamarla risposta a istanze sacrosante di federalismo – una superiore autonomia di spesa alle regioni, senza l’onere e la responsabilità di reperire le risorse necessarie a finanziarle.
La modifica del Titolo V prevedeva inoltre nuove competenze (la più importante fu la gestione della sanità) con un incremento dei costi del 74%, il 23% dei quali destinato a coprire quelli di gestione ordinaria, e una autodeterminazione in materia organizzativa, che permetteva di stabilire quanti consiglieri avere, quanti assessori e come organizzarli.
A beneficiarne furono quelle a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, alla pari nella dissipazione combinata con l’impotenza, l’inadeguatezza e l’inefficienza di scatole vuote, cui è stata affidata gran parte delle competenze delle province mai davvero cancellate e consegnata la loro forza lavoro esuberante.
E siccome tra le affezioni patologiche di queste macchine da traffici illeciti, improduttività, mediatori nell’ambito dei negoziati opachi cui si è ridotta la conservazione del territorio, la sua pianificazione e i servizi connessi come ad esempio la gestione dei rifiuti, si può annoverare anche l’insaziabilità, si va allargando il numero delle regioni che pretendono maggiore “indipendenza” in materia fiscale, tema caro soprattutto a quelle nelle quali è accertata la più elevata evasione, come in Veneto che vanta un primato con 9 miliardi di tasse evase, una cifra enorme, che pesa per l’8,5% sulla quota nazionale, in un territorio che produce il 9,3% del Pil italiano, e Lombardia, (già godono della compartecipazione all’IVA, e dell’addizionale IRPEF e IRAP ma la rivendicazione riguarda la possibilità di conquistare altre roccaforti oltre a quelle già occupate della scuola e dell’università, dell’assistenza e del governo delle politiche ambientali, grazie alla “appropriazione” – legittima a loro dire – del cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto i cittadini versano allo Stato centrale per il pagamento delle tasse e quanto ricevono come trasferimenti dallo stesso Stato centrale.
Figuriamoci se questa operazione avviata da una solida alleanza di governatori leghisti, di presidenti che godono dell’appoggio incondizionate di piazze che chiedono trasparenza e rispetto della Costituzione, di altre che non si accontentano pur potendo approfittare di festose specificità, non è stata preparata da anni limitando per via di legge l’accesso dei cittadini alle informazioni, la possibilità e il diritto a partecipare ai processi decisionali e a prendere visione di capitoli di spesa e di investimenti dai più strategici a quelli apparentemente marginali. Io tanto per fare un esempio inseguo da anni il progetto di venire a conoscenza di quanto spende la Regione Lazio non per la predisposizione del piano regionale dei rifiuti, cimento troppo arduo, ma del più trascurabile impegno generoso e benevolo profuso a sostegno di cinepanettoni e serie Tv magari ambientate in Val d’Aosta o Friuli, o prodotte e girate in paesi esteri.
Infatti in festosa coincidenza con alcuni provvedimenti partoriti dai governi Renzi, come la “legge obiettivo” o il decreto “sblocca Italia”, con le misure straordinarie prodotte per semplificare le procedure riguardanti la Tav escludendo la molesta presenza delle comunità locali in occasione di decisioni cruciali riguardanti il loro habitat, con la revisione della Via mirata alla sistematica estromissione dei cittadini e delle istituzioni interessate dalle decisioni e dal controllo sulla effettiva utilità e sull’iter delle opere, proprio le regioni si sono adoperate nell’ambito delle leggi di governo del territorio e di tutela del paesaggio e anche adottando procedure di consultazione puramente apparenti e fittizie, a limitare i diritti all’informazione dei cittadini, confermando la permanente e totale impermeabilità a richieste, appelli, sollecitazioni ed esposti di istituzioni territoriali, comitati spontanei, tecnici e intellettuali (come nel caso dell’aeroporto di Firenze) e la volontà che protesta e opposizione siano retrocessi a problemi di ordine pubblico demandati al controllo militare.
E’ successo con la sciagurata legge urbanistica dell’Emilia-Romagna o della Sardegna, succede con la Toscana che sulla carta nell’ambito di provvedimenti e addirittura con una legge ad hoc fa mostra di avere a cuore la promozione della partecipazione, ma che da anni non risponde ai quesiti di cittadini, comitati, associazioni e organizzazioni che chiedono di essere messi a parte delle decisioni relative ai piani strutturali, a quelli paesaggistici, all’iter delle opere, delle infrastrutture e dell’urbanizzazione, né più né meno di quanto è avvenuto per il Mose, o di quanto sta avvenendo per gli stadi o per le Olimpiadi.
Se l’esclusione, se la promozione dell’ignoranza e dell’inconsapevolezza sono segnali inequivocabili dell’egemonia di un sistema di potere detenuto da lobby economiche e finanziarie nazionali e sovranazionali e delle istituzioni che così possono disporre senza limiti e senza controlli delle risorse del territorio estromettendo le popolazioni interessate, colpevoli di essere portatrici di interessi particolaristici e campanilistici, allora per questo si deve scendere in piazza insieme a chi combatte ogni giorno senza inni e senza gadget, per i diritti di cittadinanza.
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