L'Espresso da Marta Fana, economista e autrice di diversi libri su lavoro e precariato, riceviamo e pubblichiamo:
Caro direttore,
Molti di noi dormivano mentre Carola Rackete veniva arrestata dalla guardia di Finanza per aver forzato il blocco marittimo, incostituzionale, ma imposto dalla legge voluta da Matteo Salvini e varata dall’attuale governo.
Ci siamo svegliati guardando quel video, ascoltando gli insulti sessisti e le minacce raccapriccianti verso una donna di 31 anni che ha anteposto la responsabilità di salvare vite umane a quella molto più pavida del rispetto di leggi illegali e ingiuste.
Ma il punto non è Carola Rackete, né le 42 persone che ha portato in salvo. Il punto è che da più di un anno il Ministro dell’Interno usa casi come questo - nel frattempo molti più migranti dei 42 a bordo della Sea Watch sono arrivati in Italia - per canalizzare su se stesso e sulla sua persona tutta l’attenzione pubblica, per intrappolarci in una discussione che ci divide, perché le regole del gioco sono le sue e noi appariamo incapaci di fare un altro gioco.
Continua a ripetere di essere il Ministro del popolo, di non scendere a compromessi con nessuno finché la disoccupazione non scenderà al 5%.
L’occupazione è cresciuta anche questo mese, lo ribadiscono i dati pubblicati oggi dall’Istat, ma per noi c’è poco da festeggiare. Ma mentre esultate per il dato statistico - l’aumento del tasso di occupazione - noi continueremo a guardare al dato politico - il come quanto e dove si lavora. Lavoriamo e siamo sempre più poveri: i lavoratori poveri sono più del 14% in Italia; la quota di chi è obbligato ad accettare un lavoro part-time perché non ne trova uno a tempo pieno è la più alta d’Europa.
Non so se qualcuno si è accorto che questa “nuova” occupazione da anni si concentra nella fascia d’età over 50, mentre rispetto al 2009 abbiamo un milione di occupati in meno tra i 35 e 49 anni. E poiché il governo si dovrebbe occupare di politica, questi sono i nodi e le questioni da affrontare. Una politica per i lavoratori implica scelte per il miglioramento delle loro condizioni materiali.
Ma poteva pure eliminare uno dei protocolli che impongono il lavoro gratuito a tutti quelli che si trovano in condizione di vulnerabilità economica. Invece ha dato il consenso e anzi portato al ribasso la legge su reddito di sudditanza che obbliga i lavoratori e lavoratrici italiani a lavorare gratis in cambio di una manciata di spiccioli.
Oppure poteva non opporsi alla già pavida proposta di salario minimo per aiutare più di tre milioni di lavoratori e lavoratrici a guadagnare più di 6 euro l’ora. Invece continua ad opporsi perché poi il suo elettorato di riferimento storico - le aziende che vivono di commesse pubbliche e sgravi fiscali - avrebbero avuto meno soldi da evadere.
Non a caso mentre Matteo Salvini scaglia la guarda di Finanza contro la Sea Watch, in molti applaudono, in silenzio o urlando. Tra di loro ci sono anche quelli presso cui la Guardia di Finanza dovrebbe metter le tende, quelli che ogni anno evadono sei miliardi di contributi ai propri dipendenti ma poi son lesti a sostenere che siano gli immigrati a rubarci salari, pensioni e lavoro. Mentre di fatto loro rubano a noi e agli immigrati, cioè a tutti i lavoratori e le lavoratrici.
Poteva rafforzare le misure di controllo per la sicurezza nei luoghi di lavoro perché in Italia muoiono tre lavoratori al giorno, non per mano di un immigrato, ma per mano dello sfruttamento capitalistico, dell’incuria, della foga all’accumulazione sulla pelle nostra, dei lavoratori. Proprio sabato mentre discutevamo dell’arresto della Comandante della Sea-Watch, mentre lui urlava “Giustizia è fatta”, è morto un operaio a causa di un colpo di calore.
Mentre noi moriamo, lui dice che il riscaldamento climatico è una sciocchezza. Continua a dirci che "ci stanno invadendo", mentre quello che viviamo noi nella realtà è una fuga dall’Italia: ogni anno siamo in più di centomila a partire, il doppio se consideriamo quanti ( la maggioranza) lo fanno senza trasferire formalmente la residenza.
E no, non partiamo per colpa degli immigrati, partiamo per colpa dei governi di cui la Lega fin dagli anni Novanta fa parte, di quelli che si son succeduti e di quello attuale che hanno come vero nemico noi i lavoratori, quelli che potremmo alzare la testa e dire che “no, a noi non ci sta bene che no”. E infatti, si è premurato a zittirci, inserendo nel decreto sicurezza misure repressive contro tutti quelli che protestano per condizioni di vita migliori.
E gli effetti di quel decreto ce li abbiamo sulla pelle, come a Prato, a Cremona, a Modena dove i lavoratori in sciopero vengono violentemente aggrediti dalle forze dell’ordine, a Siracusa, dove si nega il diritto di manifestare.
“Prima gli italiani” continua a urlare Salvini, ma quali italiani se le imprese prendono i soldi e scappano oppure continuano a licenziare, italiane e non.
Perché Il problema non sono gli immigrati e gli italiani non sono tutti uguali. Altrimenti non avremmo avuto quel Ddl Crescita che riduce le tasse ai pensionati stranieri che si trasferiscono al Sud pagando solo il 7 o 9 percento per cinque anni, mentre avrebbe potuto usare il gettito fiscale, che ora viene meno, per creare posti di lavoro per i giovani al Sud, dove manca tutto: dai medici agli insegnanti.
Quelli che rimangono saranno allora chiamati a fare da camerieri ai turisti stranieri che cominceranno a lamentarsi come gli imprenditori del Nord che a volte, troppo poco spesso purtroppo, ci si rifiuta di lavorare per una miseria.
La solidarietà che noi esprimiamo alla Sea-Watch e i migranti che erano lì sopra, non è buonismo, è giustizia sociale. Non è umanità, è lotta di classe: quella che ci viene fatta dall’alto dei condoni e sgravi fiscali e quella a cui noi ci opponiamo.
E forse il problema sta proprio qui, che mentre loro continuano a farci la guerra, noi abbiamo smesso sia di opporci sia di gettare la palla più avanti, di attaccare i privilegi che continuano a garantire a una minoranza sulla nostra pelle e quella dei migranti.
E forse da qui ripartiremo, perché il punto non è la Sea Watch, è un sistema di cui Salvini è referente politico e che "a noi non sta bene che no".
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