lunedì 1 luglio 2019

Classe dirigente. Autostrade, l’unica gallina dalle uova d’oro dei Benetton.

A volte viene da ringraziare il “giornale dei padroni” per antonomasia – IlSole24Ore, organo di Confindustria – per il solo fatto di esistere. Perché fare informazione utile per le imprese significa, al contrario di quel che avviene per altri media, molto più “ideologici”, dare notizie vere, numeri, percentuali. Dati, insomma.
 
 
L’articolo pubblicato oggi sulla galassia dei Benetton, che sotto vi riproponiamo, dà un quadro preciso sia della struttura dei bilanci delle varie società, sia della natura reale di quelli che un tempo erano degli industriali del “golfino” trendy. Al di fuori del chiacchiericcio tra Di Maio (“azienda decotta, non si può occupare di Alitalia”) e il suo trasudante sodale di governo.
Dal quadro emerge che Atlantia – la società che gestisce in concessione Autostrade per l’Italia – pesa per più del 50% del fatturato della holding di famiglia. 
Ma soprattutto rappresenta tutti gli utili (profitti) dei soci di Edizione (il gruppo ristretto degli azionisti “familiari). La citazione è meritata:
Atlantia produce per i suoi azionisti profitti netti per 818 milioni, ai soci di Edizione – che detiene il 30,25% del capitale della società infrastrutturale – ne spettano 197.  
In altre parole, senza Atlantia gli utili sparirebbero, perché gli 86 milioni di competenza dei soci di Autogrill non basterebbero nemmeno a compensare le perdite dell’attività storica, con Benetton e la sua costola Olimpias che hanno chiuso in perdita rispettivamente per 115 e 11 milioni (il gruppo dei maglioncini è in rosso costante dal 2013).”

Anche l’attività da pochissimo acquisita (la spagnola Abertis, gruppo multinazionale spagnolo che si occupa di gestione e sfruttamento delle infrastrutture di trasporto e di telecomunicazioni, facente capo anche alla spagnola Acs) non è industriale, ma pura gestione di infrastrutture costruite dalla mano pubblica e poi ceduta ai privati.
Idem anche per le altre attività rilevanti (aeroporti di Roma, Costa Azzurra e Saint Tropez), nonché per la partecipazione in Getlink (il tunnel sotto la Manica).
In pratica, ci dice Antonella Olivieri, se viene ritirata dallo Stato la concessione di Autostrade per l’Italia, per Atlantia è notte fonda. I Benetton, infatti, fanno i soldi soltanto così ormai: gestendo al risparmio infrastrutture a pedaggio (in Germania le autostrade sono gratuite o con abbonamento annuo inferiore alla tariffa di una sola corsa Roma-Milano), costruite con i soldi degli Stati e poi “privatizzate”.
In omaggio, ricordiamo, a quell’adagio assolutamente ideologico che recita: “i privati lo fanno meglio”.
Come abbiamo visto con il ponte Morandi a Genova.
La concessione è datata 1999, ma i Benetton si sono ben guardati dall’intervenire su una struttura che già allora mostrava seri segni di usura. “Meglio” incassare i soldi al casello, finché sta in piedi, vero?
Fuori da ogni “logica di mercato”, al riparo da ogni “concorrenza” (nessuno costruirà mai un’autostrada su un percorso dove già ne esiste una), con la garanzia di aumenti annuali delle tariffe ben al di sopra del tasso di inflazione, ecc.
Atlantia (e i Benetton) sono il paradigma di cosa è diventata la “grande imprenditoria italiana”: capitalismo “bollettaro” (che fa i soldi con bollette e pedaggi) in stile Ghino di Tacco, parassitario, socialmente irresponsabile, ma abilissimo a sfruttare gli “agganci” con le cordate politiche momentaneamente al potere.
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Perché il business di Autostrade è cruciale per i Benetton

di Antonella Olivieri
La minaccia per il gruppo Benetton è seria. Il bilancio consolidato di Edizione – i dati del 2018 sono stati elaborati con l’ausilio di R&S-Mediobanca – dipende infatti ancora in larga misura da Atlantia, tanto che, rispetto a un giro d’affari complessivo di 12.587 milioni, l’utile netto della holding della famiglia di Ponzano Veneto – 1.083 milioni – è spiegato interamente dalla società infrastrutturale che fattura 6.384 milioni al netto del canone di concessione di 532 milioni.
Tolte le quote di competenza terzi, Atlantia produce per i suoi azionisti profitti netti per 818 milioni, ai soci di Edizione – che detiene il 30,25% del capitale della società infrastrutturale – ne spettano 197.
In altre parole, senza Atlantia gli utili sparirebbero, perchè gli 86 milioni di competenza dei soci di Autogrill non basterebbero nemmeno a compensare le perdite dell’attività storica, con Benetton e la sua costola Olimpias che hanno chiuso in perdita rispettivamente per 115 e 11 milioni (il gruppo dei maglioncini è in rosso costante dal 2013).
Per contro sparirebbe anche il 98,5% del debito finanziario che assomma per Edizione a 47,99 miliardi.
Atlantia non può certo dirsi un’attività decotta, con un margine operativo lordo di 4.149 milioni, che sfiora il 65% dei ricavi netti. A sua volta, in Atlantia è preponderante il peso di Autostrade per l’Italia (Aspi) che, con 3.489 milioni, contribuisce al 54,7% delle entrate, e, con 1.765 milioni, al 64,2% del margine operativo netto.
A livello di risultato netto, dei 1.083 milioni di Atlantia, 622 (il 57,4%) vengono dai pedaggi italiani.
I conti del 2018 consolidano solo per due mesi la neo acquisita Abertis (50% più un’azione) che, a partire dal prossimo anno, avrà l’effetto di diluire il peso dell’Italia. Pro-forma – se cioè il gruppo spagnolo fosse stato consolidato dall’inizio del 2018 – il fatturato netto di Atlantia quasi raddoppierebbe, passando da 6.384 a 11.344 milioni e il margine operativo lordo salirebbe da 4.149 a 7.307 milioni.
Le attività aereoportuali – il 99,38% di Aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino), il 64% di Costa Azzurra e il 99,94% dell’Aeroporto di Saint Tropez – pesano ancora relativamente poco: appena il 12% dell’intero fatturato consolidato di Atlantia, con un apporto di 834 milioni al netto delle rettifiche infragruppo.
Un altro pizzico di estero nel portafoglio di Atlantia è il 15,49% di Getlink (che esprime però il 26,64% dei diritti di voto), società che gestisce il collegamento sottomarino della Manica, per un valore a patrimonio netto di 1.041 milioni. Ma complessivamente, tra autostrade e aeroporti, oltre il 70% del giro d’affari di Atlantia – nei conti 2018 – ha origine ancora nella Penisola.
Al piano superiore, quello di Edizione, la diversificazione al momento è poco più che un accenno. Dall’operazione Abertis il gruppo ha ereditato anche il 29,9% di Cellnex (detenuto tramite Connect), un ritorno alle tlc, ma nel business meno volatile delle torri per la telefonia mobile (la società catalana ha rilevato in Italia buona parte della rete di Wind). Cellnex, che nel bilancio di Edizione è consolidata a patrimonio netto, è comunque ancora una realtà relativamente piccola con 867 milioni di fatturato netto, un margine operativo lordo di 516 milioni, un margine operativo netto di 113, un risultato netto di 18 milioni e utile di competenza dei soci di 15 milioni.
Gli unici investimenti finanziari – oltre al neo acquisto di poco meno del 3% di Prysmian – sono quelli della filiera Mediobanca-Generali. Il 2,1% di Piazzetta Cuccia (in carico a 181 milioni, ma contabilizzato al fair value di 141 milioni) e il 3,33% di Generali (valore di carico 811 milioni, fair value di 757 milioni) contribuiscono per poco meno di 900 milioni al capitale netto della holding che è di 21,8 miliardi.
In conclusione, il gruppo Benetton è ancora fortemente italocentrico e Atlantia-dipendente. Destabilizzare Atlantia significa colpire anche il 70% degli investitori di mercato e i 13.388 dipendenti del gruppo in Italia, dei quali 6.846 lavorano per Autostrade. Può sembrare un ricatto morale, ma occorre rifletterci.

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