venerdì 1 marzo 2019

Oil, il Lavoro è povero. Figuriamoci lavoratori e lavoratrici.

Quando Marx, quello “vero”, dei testi letti direttamente dall’originale in tedesco e non tramite compendi terzi, carenti in termine di comprensione; ebbene quando fece il suo ingresso in Italia, lo fece per mezzo della penna di Antonio Labriola negli ultimissimi anni del XIX secolo.
 

Questi, fine filosofo prima ancora che socialista della primissima ora, era solito insistere su un punto fondamentale: la praxis, ossia il lavoro come energia, è l’essenza dell’essere umano («l’uomo», scriveva in realtà Labriola…). L’individuo è il suo lavoro, e poiché sono le azioni dell’essere umano che fanno la storia (la cui scrittura, poi, è un capitolo a parte), quest’ultima va intesa come la storia del lavoro, ossia dell’insieme delle attività del genere umano.
A livello «concreto», ne consegue che le condizioni in cui è dato all’essere umano di esprimere la propria natura sono quelle, nel modo di produzione capitalistico, del mondo del lavoro propriamente detto, e dello “stato sociale” in cui queste si esprimono.
Se così stanno le cose, allora il World employment and social outlook, “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo” rilasciato pochi giorni fa dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil, Ilo nella versione internazionale), riveste un’importanza decisiva, al netto della retorica istituzionale e del linguaggio tendente al neutro, come rilevanza-accademica-vuole, per avere un quadro più ordinato del mondo nel suo insieme.
Senza remore, possiamo affermare che il documento rilasciato è un bollettino di guerra, per come questa è intesa al giorno d’oggi nei confronti del mondo del lavoro.
Come riassume l’«executive summary» dello studio, che di seguito vi riportiamo nella traduzione italiana, sono molti i dati allarmanti di cui nel futuro difficilmente saremo, o meglio, chi di dovere sarà, in grado di venirne a capo.
La sfida più grande riguarda le «cattive condizioni di lavoro» in cui svolgono la loro attività la maggior parte dei 3,3 miliardi di lavoratrici e lavorati in tutto il mondo. Questo significa che, una grossa fetta di coloro che un lavoro ce l’hanno, sperimentano comunque una «carenza di benessere materiale, sicurezza economica, pari opportunità o possibilità di sviluppo umano». Addio dunque, se ancora se ne avesse avuto il dubbio, al lavoro come garante di un prospettiva di vita almeno sostenibile (in termini materiali), e benvenuta “working poor generation”.

In questa, i più colpiti mediamente sono donne, giovani (15-24) e migranti nei paesi a reddito alto, e tutta la fascia più povera in quegli altri. Più in generale, nel 2018 in questo sistema-mondo un lavoratore su quattro (occupato quindi, escludendo i disoccupati e i Neet) viveva sotto la soglia di povertà estrema o moderata, e dunque in pericolo di esclusione sociale, mentre due su tre degli occupati in una attività produttiva, lo sono stati senza avere riconosciuti diritti e tutele (lavoro informale).
La competizione globale – incertezze macroeconomiche, come si legge nel testo –, passaggio susseguente alla fine dell’espansione della globalizzazione dei mercati, non potrà che inasprire le condizioni del Lavoro. Per far fronte a una crisi sistemica che si protrae oramai da più decenni, il Capitale non ha altra soluzione che spremere fino in fondo il tempo della classe lavoratrice.
La «trappola della precarietà», ossia di quella flessibilità lavorativa scorporata da un sistema di tutele che sperimentiamo in maniera sempre più aggressiva nel nostro paese (come nel resto dell’Ue d’altronde), corrisponde alla necessità delle imprese si avere grande libertà d’azione (e cioè, di licenziamento) nei confronti dei lavoratori, sia per rispondere «just in time» al fluttuare della domanda, sia per far fronte alle congiunture economiche, sempre più tendenti alla recessione.
Di questo schizzo, allora, l’outlook e le tendencies di breve periodo riportate dall’Oil, ne sono la prevedibile conferma. Le deboli riprese segnalate nel documento, come quello della disoccupazione in calo, sono tuttavia ammorbidite dai criteri di conteggio della stessa (che non include chi non svolge attività di ricerca di un lavoro, ed è calcolata sul totale della forza lavoro disponibile) come di quelli del tasso di occupazione (per esserlo, basta aver svolto una attività produttiva per anche solo un’ora nella settimana di riferimento).
Come ammette l’Oil stessa, il traguardo di una «parità di remunerazione per un lavoro di ugual valore continua ad essere disatteso». La svolta neoliberista e la continua retrocessione, in termini di rapporti di forza, di lavoratori e lavoratrici nei confronti del mondo delle imprese, registra qui il “naturale” risultato della logica che spinge il “capitalismo”.
D’altra parte, che le cose non andassero un gran che era già chiaro a chi ha a che fare con i regimi di sopravvivenza dettati dagli ultimi governi, in questo a paese e non. A questo proposito, le prossime elezione europee saranno la certificazione dell’intuito di classe che si esprime contro le élite protagoniste della mattanza europeista di almeno l’ultimo ventennio.
Purtroppo, per passare dall’intuito alla coscienza, nonostante le condizioni materiali ne riscontrerebbero tutte le caratteristiche, c’è ancora molto lavoro da fare.
Qui è possibile scaricare il documento per intero (in inglese).
Qui è possibile visionare i dati raccolti.
Qui un breve video riassuntivo (in inglese)

*****

Un mercato del lavoro inclusivo e ben funzionante è fondamentale per lo sviluppo del lavoro dignitoso e la realizzazione della giustizia sociale che sono il fulcro del mandato del l’OIL. Il lavoro retribuito è la principale fonte di reddito per la maggior parte del le famiglie in tutto il mondo. L’organizzazione del lavoro può rafforzare i principi fondamentali di uguaglianza, democrazia, sostenibilità e coesione sociale. Questo concetto è stato riaffermato con forza in occasione del Centenario del l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) che si celebra quest’anno.
Il Rapporto della Commissione Mondiale sul Futuro del Lavoro[1] evidenzia la centralità della persona nell’agenda per il futuro del lavoro. Il Rapporto attribuisce una rinnovata attenzione alle capacità delle persone, al potenziale delle istituzioni del mercato del lavoro e sottolinea l’urgenza di investire in settori dell’economia che sono stati trascurati sia dai paesi ad economia avanzata che da quelli in via di sviluppo. In linea con questa nuova visione, è necessario che l’analisi delle tendenze del mercato del lavoro si focalizzi sul l’uguaglianza, la sostenibilità e l’inclusione.
I nuovi dati raccolti dall’OIL per il 2018 indicano che sono stati fatti dei progressi ma, allo stesso tempo, rivelano la persistenza di ampi deficit di lavoro dignitoso in varie regioni del mondo. A cento anni dalla sua creazione, l’OIL continua ad avere un ruolo guida essenziale nell’affrontare le carenze di lavoro dignitoso e per favorire un dibattito informato sulle ambiziose raccomandazioni della Commissione Mondiale sul Futuro del Lavoro.
Il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro continua ad essere significativo
Nel 2018, il tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro è stato pari al 48 per cento, molto più basso rispetto agli uomini che rappresentavano il 75 per cento della forza lavoro. Nello stesso anno, circa tre persone su cinque dei 3,5 miliardi di persone nella forza lavoro globale erano uomini. A seguito di un periodo di miglioramenti, durato fino al 2003, il progresso nel colmare il divario di genere rispetto alla partecipazione alla forza lavoro si è arrestato. Il divario considerevole — pari a una media a livello globale di 27 punti percentuali nel 2018, dovrebbe spingere l’azione delle politiche al fine di migliorare l’uguaglianza di genere nei mercati del lavoro nel mondo e di massimizzare le capacità umane.
Complessivamente, i tassi di partecipazione della forza lavoro tra gli adulti sono diminuiti negli ultimi 25 anni; il calo è ancora più evidente tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Si prevede che questa tendenza negativa continui in futuro. Alcuni dei fattori alla base di questa tendenza — come l’aumento della partecipazione scolastica, maggiori opportunità di pensionamento e una maggiore aspettativa di vita — sono ovviamente positivi. Tuttavia, l’aumento del rapporto di dipendenza (cioè la proporzione di persone economicamente inattive rispetto a quelle attive) pone nuove sfide in termini di organizzazione del lavoro e di distribuzione delle risorse nel la società.
La mancanza di lavoro dignitoso è piuttosto diffusa
Nel 2018, la maggior parte dei 3,3 miliardi di lavoratori nel mondo ha sperimentato una carenza di benessere materiale, sicurezza economica, pari opportunità o possibilità di sviluppo umano. Avere un lavoro non sempre garantisce una vita dignitosa. Molti lavoratori sono spesso costretti a svolgere lavori poco gratificanti nell’economia informale, caratterizzati da bassi salari e con scarse possibilità di beneficiare de la protezione sociale e dei diritti sul lavoro.
Nel 2018, circa 360 milioni di persone hanno lavorato come coadiuvanti familiari e 1,1 miliardi di persone hanno lavorato per conto proprio, spesso in attività di sussistenza dovute alla mancanza di opportunità lavorative nell’economia formale e/o all’assenza di un sistema di protezione sociale. Nel 2016, oltre due miliardi di lavoratori (pari al 61 per cento della forza lavoro globale) erano occupati in lavori informali. La scarsa qualità di molti lavori è anche causata dal fatto che oltre un quarto dei lavoratori nei paesi a basso e medio reddito viveva, nel 2018, in condizioni di povertà estrema o moderata. La riduzione notevole dell’incidenza della povertà lavorativa negli ultimi tre decenni, specialmente nei paesi a reddito medio, rappresenta una nota positiva. Nei paesi a basso reddito, tuttavia, la riduzione della povertà non va di pari passo con la crescita dell’occupazione. Questa tendenza produrrà un incremento del numero effettivo di lavoratori poveri in questi paesi .
Nonostante la diminuzione costante del tasso di disoccupazione a livello globale, oltre 170 milioni di persone sono disoccupate
Nel 2018, circa 172 milioni di persone nel mondo erano disoccupate. Il tasso di disoccupazione era pari al cinque per cento. È sorprendente che il peggioramento del tasso di disoccupazione sia passato dal cinque al 5,6 per cento tra il 2008 e 2009 e che ci siano voluti nove anni per ripristinare il tasso del periodo precedente alla crisi finanziaria globale. La prospettiva attuale rimane comunque incerta. Presumendo condizioni economiche stabili, il tasso di disoccupazione in molti paesi dovrebbe diminuire ulteriormente. In alcuni paesi, tuttavia, i rischi macroeconomici sono aumentati e stanno avendo un impatto negativo sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione globale dovrebbe rimanere all’incirca al lo stesso livello durante il 2019 e il 2020. A causa dell’aumento della forza lavoro, si prevede che il numero di persone disoccupate aumenterà di un milione all’anno fino a raggiungere 174 milioni entro il 2020.
La sottoutilizzazione del lavoro ha un’incidenza maggiore sulle donne
Oltre ai disoccupati, altri 140 milioni di persone erano nella «forza lavoro potenziale» — ossia nella manodopera sottoutilizzata — nel 2018. Questa categoria di persone — alla ricerca di lavoro ma non disponibili a lavorare, oppure disponibili ma in cerca di lavoro — comprende molte più donne (85 milioni ) che uomini (55 milioni ). Il tasso di sottoutilizzazione del lavoro è quindi molto più alto tra le donne (11 per cento) che tra gli uomini (7,1 per cento). Inoltre, è molto più probabile che le donne lavorino a tempo parziale. Una percentuale significativa di queste lavoratrici dichiara di essere sottooccupata in quanto preferirebbe lavorare più ore al giorno.
Le sfide del mercato del lavoro cambiano a seconda dei paesi e delle regioni
Nonostante le sfide del mercato del lavoro legate alla qualità del lavoro, la disoccupazione e le disuguaglianze di genere siano universali, il loro carattere specifico e il loro grado di priorità variano secondo la regione e il livello di sviluppo di un paese. Nei paesi a basso reddito, i lavoratori vivono spesso al disotto della soglia di povertà. Mentre la povertà lavorativa generalmente diminuisce con lo sviluppo economico, altre determinanti del mercato del lavoro (come, ad esempio, l’incidenza del lavoro formale, l’accesso alla sicurezza sociale, la sicurezza del lavoro, la contrattazione collettiva e il rispetto delle norme e dei diritti sul lavoro) possono sfuggire a questa logica. Garantire tali benefici è una sfida importante che i responsabili delle politiche devono affrontare. Inoltre, alcuni nuovi modelli di business legati alle nuove tecnologie minacciano di compromettere i risultati ottenuti. Negli ultimi anni, i tassi di disoccupazione sono diminuiti considerevolmente nei paesi ad alto reddito. Al lo stesso tempo, sono aumentati (o sono in aumento) in alcuni paesi a reddito medio-alto a causa del rallentamento economico che espone gran parte dei lavoratori al rischio di povertà. Nonostante le disparità di genere nel mercato del lavoro rappresentino un fenomeno globale, queste disparità sono più acute nel le regioni degli Stati arabi, dell’Africa settentrionale e dell’Asia meridionale.
Il progresso nel raggiungimento dei traguardi fissati nell’Obiettivo 8 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è stato più lento del previsto
L’Obiettivo 8 dell’Agenzia 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, invita la comunità internazionale a «promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, una piena occupazione produttiva e il lavoro dignitoso per tutti». La realizzazione di questo obiettivo richiederà sforzi molto più importanti, viste le attuali tendenze dei mercati del lavoro a livello globale.
I paesi meno sviluppati hanno registrato una crescita annuale del Prodotto Interno Lordo (PIL) inferiore al cinque per cento negli ultimi cinque anni, il che significa che non hanno registrato gli almeno sette punti percentuali di crescita all’anno che sono previsti dall’Obiettivo 8. Inoltre, i recenti tassi di crescita del PIL pro-capite e della produttività del lavoro sono inferiori ai livelli riportati nei decenni precedenti in molte parti del mondo.
Lo sviluppo sostenibile dovrebbe essere realizzato attraverso la promozione di attività produttive, l’innovazione e la formalizzazione del lavoro e, al contempo, attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse per la produzione e il consumo. Il fatto che nella maggior parte dei paesi più della metà del lavoro non agricolo sia informale, da un’idea del percorso necessario affinché l’economia globale sia totalmente formalizzata. Nonostante il progresso raggiunto nei paesi ad alto reddito in termini di efficienza nell’utilizzo delle risorse, il consumo pro-capite di materie prime è in aumento a livello globale. Dal 2011, tale tasso di crescita è comunque rallentato e il consumo di materie prime per unità di PIL si è addirittura stabilizzato.
Il traguardo da raggiungere per «un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti … e la parità di remunerazione per un lavoro di ugual valore» continua ad essere disatteso. Nonostante il tasso di disoccupazione sia diminuito a livello globale, oltre 170 milioni di persone sono ancora disoccupate. Le donne, i giovani (di età compresa tra i 15 e i 24 anni ) e le persone con disabilità continuano ad avere meno probabilità di essere occupate. Altrettanto preoccupante è che più di un giovane su cinque non lavori e non partecipi all’istruzione o alla formazione (NEET). Questa condizione non permette loro di acquisire le competenze necessarie per entrare nel mercato del lavoro e ciò riduce, a sua volta, le loro possibilità di occupazione future. A lungo termine, un alto tasso di NEET ostacola la crescita economica. Il tasso globale di NEET è diminuito di soli due punti percentuali tra il 2005 e il 2018, il che significa che il traguardo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile di ridurre sostanzialmente i tassi di NEET entro il 2020 verrà quasi certamente disatteso. Infine, la maggior parte dei paesi si confronta con divari di retribuzione di genere «ponderati» che vanno dal 10 al 25 per cento. Questi dati evidenziano che il mondo è ancora lontano dalla realizzazione del principio che il lavoro di ugual valore debba essere remunerato in misura eguale.
L’obiettivo 8 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile abbraccia i diritti fondamentali che tutte le persone dovrebbero godere nel mondo del lavoro. Nel 2016, erano ancora 114 milioni i bambini di età compresa tra 5 e 14 anni che lavoravano e, sebbene il loro numero sia in diminuzione, ciò avviene ad un ritmo troppo lento per raggiungere il traguardo di porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025. La Convenzione sulla libertà d’associazione e protezione del diritto sindacale del 1948 (n. 87) e la Convenzione sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva del 1949 (n. 97) — entrambe convenzioni fondamentali dell’OIL — sono state ratificate dalla stragrande maggioranza degli Stati membri dell’OIL (155 per la prima e 166 per la seconda).
Per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro, vi sono ampie variazioni nei tassi d’infortuni mortali e non mortali in tutti i paesi. Inoltre, il tasso di infortuni sul lavoro tende ad essere molto più alto tra gli uomini che tra le donne. Nella maggior parte dei paesi, i migranti sono esposti ad un rischio maggiore d’infortuni sul lavoro rispetto ai lavoratori non migranti.

Note
[1] OIL: Work for a brighter future – Global Commission on the Future of Work (Geneva, 2019).

Nessun commento:

Posta un commento