domenica 31 marzo 2019

Flat tax, la più neoliberista delle riforme

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di Mauro Gallegati, dal Manifesto del 21.3.2019
La flat tax, un’aliquota unica per la tassazione del reddito – come c’era in Italia 100 anni fa – è un provvedimento neo-liberista, screditato dai fatti e senza giustificazione economica. Nei desiderata dei proponenti, la flat tax dovrebbe ridurre la pressione fiscale e, contemporaneamente, il debito pubblico poiché fa aumentare i consumi, gli investimenti – e quindi la crescita e l’occupazione – ed emergere una quota delle attività che resterebbe altrimenti sommersa. Eppure storicamente non ha mai funzionato e anzi, quando le disuguaglianze di reddito tra ricchi e poveri sono state massime – oggi e nel 1929: l’1% della popolazione possiede il 50% del reddito – si sono verificate la Grande Crisi e la Grande Recessione. Il fatto che i più ricchi hanno la parte del leone nella distribuzione del reddito e dei risparmi non implica che questi ultimi si trasformino automaticamente in investimenti.


La flat tax produce un impatto redistributivo a favore delle classi più agiate, ma i suoi benefici restano limitati ai più ricchi. La redistribuzione del reddito in senso egualitario genererebbe – secondo gli ortodossi della austerità espansiva – un impatto negativo su imprese e consumatori. Quando il sistema fiscale favorisce le classi più ricche, i redditi (i profitti e le rendite) di questi aumentano e, di conseguenza, il risparmio e l’investimento, e quindi il PIL e l’occupazione. Grazie alla “curva di Laffer”, le entrate fiscali aumenterebbero con beneficio anche dei meno abbienti. Le riduzioni fiscali per i più ricchi sarebbero quindi passate “a doccia” al resto della società, e l’aumento della diseguaglianza porterebbe ad un aumento di benessere per tutti: cioè proprio il contrario di quanto è accaduto da 30 anni a questa parte quando la distribuzione a favore dei ricchi è aumentata ma non la crescita.
Le riduzioni fiscali saranno finanziate, almeno nel breve periodo e nelle intenzioni del governo, da un mix di riduzione d’imposte e di tagli di spesa. Questi tagli vanno però a colpire soprattutto chi beneficia dello stato sociale. E per l’Italia che ha una dinamica demografica che porta all’invecchiamento della popolazione (cioè a maggiore spese sanitarie e pensionistiche), ed ha già una spesa per lo stato sociale tra le più basse d’Europa ed un debito pubblico asfissiante, il passaggio verso l’insostenibilità sociale si farebbe drammatica.
La ricerca recente mostra che l’eccessiva disuguaglianza frena la crescita economica e che non esiste alcun fondamento empirico per l’ipotesi di aumento del PIL “a doccia”. Come si sapeva dagli anni Trenta del secolo scorso, una maggiore disuguaglianza del reddito abbassa il valore del moltiplicatore: l’aumento della disuguaglianza riduce i consumi, senza aumentare gli investimenti. Negli ultimi anni si è per di più instaurato una sorta di circolo vizioso per cui il peso sempre più crescente del settore finanziario ha causato la crescente disuguaglianza e all’accumulazione di ricchezza – spesso generato da rendite – nei portafogli dell’1%. Queste ricchezze a loro volta sono state reinvestite nella finanza e non in capitale produttivo, cioè all’economia reale che solo genera occupazione, perché i profitti cercano altre opportunità profittevoli, incuranti della sostenibilità ambientale e sociale.
L’aumento delle disuguaglianze ha quindi ridotto il benessere e creato distorsioni economiche che il mercato non sana. La flat tax porterà a sostanziali riduzioni di imposta per i più ricchi, senza recupero alcuno dell’evasione né a stimoli per investimento reale. La forte riduzione del gettito fiscale associata all’aliquota unica, porterà alla ulteriore contrazione della spesa sociale e degli investimenti pubblici, ad un aumento del debito pubblico e dei suoi oneri finanziari, e quindi ad un trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi attraverso più alti tassi di interesse, meno investimenti e lavoro. Se poi si dovesse verificare l’ulteriore diminuzione della spesa in istruzione ci troveremo anche alle prese con il blocco dell’ascensore sociale, già oggi assai malfunzionante. Insomma speriamo che il governo che ci vuol riportare al regime fiscale di Crispi non ci doni un altro Bava Beccaris.

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