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di Mauro Gallegati, dal Manifesto del 21.3.2019
La flat tax, un’aliquota unica per la
tassazione del reddito – come c’era in Italia 100 anni fa – è un
provvedimento neo-liberista, screditato dai fatti e senza
giustificazione economica. Nei desiderata dei proponenti, la
flat tax dovrebbe ridurre la pressione fiscale e, contemporaneamente, il
debito pubblico poiché fa aumentare i consumi, gli investimenti – e
quindi la crescita e l’occupazione – ed emergere una quota delle
attività che resterebbe altrimenti sommersa. Eppure storicamente non ha
mai funzionato e anzi, quando le disuguaglianze di reddito tra ricchi e
poveri sono state massime – oggi e nel 1929: l’1% della popolazione
possiede il 50% del reddito – si sono verificate la Grande Crisi e la
Grande Recessione. Il fatto che i più ricchi hanno la parte del leone
nella distribuzione del reddito e dei risparmi non implica che questi
ultimi si trasformino automaticamente in investimenti.
La flat tax produce un impatto
redistributivo a favore delle classi più agiate, ma i suoi benefici
restano limitati ai più ricchi. La redistribuzione del reddito in senso
egualitario genererebbe – secondo gli ortodossi della austerità
espansiva – un impatto negativo su imprese e consumatori. Quando il
sistema fiscale favorisce le classi più ricche, i redditi (i profitti e
le rendite) di questi aumentano e, di conseguenza, il risparmio e
l’investimento, e quindi il PIL e l’occupazione. Grazie alla “curva di
Laffer”, le entrate fiscali aumenterebbero con beneficio anche dei meno
abbienti. Le riduzioni fiscali per i più ricchi sarebbero quindi passate
“a doccia” al resto della società, e l’aumento della diseguaglianza
porterebbe ad un aumento di benessere per tutti: cioè proprio il
contrario di quanto è accaduto da 30 anni a questa parte quando la
distribuzione a favore dei ricchi è aumentata ma non la crescita.
Le riduzioni fiscali saranno finanziate,
almeno nel breve periodo e nelle intenzioni del governo, da un mix di
riduzione d’imposte e di tagli di spesa. Questi tagli vanno però a
colpire soprattutto chi beneficia dello stato sociale. E per l’Italia
che ha una dinamica demografica che porta all’invecchiamento della
popolazione (cioè a maggiore spese sanitarie e pensionistiche), ed ha
già una spesa per lo stato sociale tra le più basse d’Europa ed un
debito pubblico asfissiante, il passaggio verso l’insostenibilità
sociale si farebbe drammatica.
La ricerca recente mostra che
l’eccessiva disuguaglianza frena la crescita economica e che non esiste
alcun fondamento empirico per l’ipotesi di aumento del PIL “a doccia”.
Come si sapeva dagli anni Trenta del secolo scorso, una maggiore
disuguaglianza del reddito abbassa il valore del moltiplicatore:
l’aumento della disuguaglianza riduce i consumi, senza aumentare gli
investimenti. Negli ultimi anni si è per di più instaurato una sorta di
circolo vizioso per cui il peso sempre più crescente del settore
finanziario ha causato la crescente disuguaglianza e all’accumulazione
di ricchezza – spesso generato da rendite – nei portafogli dell’1%.
Queste ricchezze a loro volta sono state reinvestite nella finanza e non
in capitale produttivo, cioè all’economia reale che solo genera
occupazione, perché i profitti cercano altre opportunità profittevoli,
incuranti della sostenibilità ambientale e sociale.
L’aumento delle disuguaglianze ha quindi
ridotto il benessere e creato distorsioni economiche che il mercato non
sana. La flat tax porterà a sostanziali riduzioni di imposta per i più
ricchi, senza recupero alcuno dell’evasione né a stimoli per
investimento reale. La forte riduzione del gettito fiscale associata
all’aliquota unica, porterà alla ulteriore contrazione della spesa
sociale e degli investimenti pubblici, ad un aumento del debito pubblico
e dei suoi oneri finanziari, e quindi ad un trasferimento di ricchezza
dai poveri ai ricchi attraverso più alti tassi di interesse, meno
investimenti e lavoro. Se poi si dovesse verificare l’ulteriore
diminuzione della spesa in istruzione ci troveremo anche alle prese con
il blocco dell’ascensore sociale, già oggi assai malfunzionante. Insomma
speriamo che il governo che ci vuol riportare al regime fiscale di
Crispi non ci doni un altro Bava Beccaris.
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domenica 31 marzo 2019
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