Le imprese non mostrano la stessa perplessità della politica.
Si può, anzi conviene, giocare in casa, in trasferta e anche in Paesi terzi, ma in tutti e tre gli scenari l'esito deve essere quello del win-win: tutti vincono, nessuno perde. L'importante è giocare, farlo con i player migliori e puntare al massimo profitto. Soprattutto lontano dai timori, espressi dall'Europa e da una parte del governo italiano, su una colonizzazione del Belpaese per mano dei cinesi. Gli imprenditori italiani che guardano al Dragone dicono sì a tutto questo. Le ragioni del profitto superano, e di gran lunga, le perplessità della politica. Non è un caso che l'espressione "win-win" sia stata quella più utilizzata al Business Forum Italia-Cina, palcoscenico che nella cornice di Palazzo Barberini è servito a marcare il grado di compenetrazione delle due economie, ma che è stata anche sede di stanze chiuse e faccia a faccia riservati per tirare giù accordi, con dentro i numeri dei profitti. Dieci accordi, a cui si aggiungono 19 di tipo istituzionale, finiranno sulla scrivania di Villa Madama, dove sabato si terrà una cerimonia alla presenza del premier Giuseppe Conte e del presidente cinese Xi Jinping.
La legge del
mercato e del profitto imporrebbe una prevaricazione di un competitor
sull'altro, ma gli imprenditori di Roma e Pechino hanno concordato di
giocare seguendo uno schema il più possibile condiviso perché a entrambi
conviene così. La Cina sa che l'Italia è un trampolino di lancio per il
mercato europeo, oltre che per quello italiano, dove ha investito più
di 15 miliardi dal 2000 a oggi. Le imprese italiane, che hanno già
potuto toccare con mano quanto sia redditizio investire nel Paese
asiatico, sono motivate a penetrare sempre più in quel tessuto. Una
cornice solida, che si sostanzia di un supporto di non poco conto,
l'hanno già strappata con i Panda-bond,
cioè soldi che metteranno gli investitori istituzionali cinesi
sottoscrivendo parte del debito italiano attraverso le obbligazioni
emesse dalla Cassa depositi e prestiti. Questi soldi, una volta
raccolti, finiranno nei bilanci delle imprese italiane.
Scendendo
dentro la modalità win-win si trova la mappa dei luoghi dove Italia e
Cina hanno deciso di operare insieme e soprattutto gli attori che
vogliono essere protagonisti di un'integrazione ancora maggiore rispetto
a quella attuale. Al Business Forum si sono presentati i rappresentanti
di 70 tra imprese e banche italiane e 30 del versante cinese. C'erano,
tra i tanti, gli uomini operativi di Pirelli, Snam, Saipem, Sace,
Ansaldo, mentre per gli istituti di credito a palazzo Barberini si sono
visti Mps, Bnl, Intesa e UniCredit.
L'evoluzione
del quadro attuale vede alcuni player italiani muoversi più degli
altri. Tre sono i settori al centro del maggior numero di trattative e
affari: infrastrutture e trasporti, energia e manifattura. È intorno a
queste tre direttrici che il sistema Italia prova a stringere con
Pechino. Una delle aziende più attive è sicuramente Eni. La
multinazionale energetica sarà una delle 10 imprese che siglerà sabato
un memorandum per nuove esplorazioni in Cina. Già oggi Eni opera nel
Paese asiatico e con la compagnia petrolifera Cnpc collabora dal 2013 a
Kashagan, e in Mozambico, dove investe nel settore del gas. La
prospettiva è quella di puntare sull'industria dell'oil e gas cinese. Il
vicepresidente di Cnpc, Wang Zhongcai, ha suggellato l'avanzamento
della collaborazione, sottolineando l'importanza dei progetti offshore.
"Il mare - ha detto - sta diventando sempre più importante, ci conviene
approfondire la collaborazione".
C'è
poi Snam, che non si espone sui contenuti, ma sabato firmerà anch'essa
un accordo di peso con il fondo Silk Road Fund. Molto attive sono anche
Atlantia e Ansaldo, che già collaborano con lo stesso fondo Silk.
Ansaldo Energia dovrebbe firmare due accordi, rispettivamente per la
fornitura di una turbina a Shangai Electric e Benxi Steel e per una
collaborazione con Ugtc sulle turbine a gas. Si muove anche il gruppo
Danieli, la multinazionale con sede a Buttrio per la produzione di
impianti siderurgici: nel memorandum che siglerà con China Camc
Engineering si prevede la riattivazione di un progetto in Azerbaijan,
messo in cantieri ma rimasto al palo, per la creazione di un complesso
siderurgico.
Tra chi è risultato più
attivo al Business Forum anche Pirelli che ha in pancia, e con un peso
del 45%, ChemChina: punta a incrementare la quota del mercato nel
settore dei pneumatici, ma non solo. Il gruppo ha anche in ballo
l'integrazione tra la sua Prometeon, dedicato alla produzione di
pneumatici industriali, e Aelous, che è attiva nello stesso comparto ma è
controllata da CheChina. Italia-Cina, si "gioca". E sul serio.
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