Dal patriarca ortodosso Dimitri Smirnov (“chi sostiene l’aborto è un cannibale”) alla parlamentare ugandese che vuole la pena di morte per il reato di omosessualità. A Verona il prossimo fine settimana si riunisce il Gotha del fondamentalismo integralista religioso. Una passerella oscurantista e negazionista dei diritti umani, grondante intolleranza e inciviltà.
|
micromega Adele Orioli
Si scrive Congresso mondiale delle famiglie si legge intolleranza e
inciviltà. Molti occhi sono puntati su Verona dove per il prossimo fine
settimana si terrà un apparentemente innocuo consesso dall’altrettanto
apparentemente rassicurante titolo di Congresso mondiale delle famiglie,
organizzato annualmente in varie parti del globo dall’Organizzazione
mondiale per la famiglia (IOF), lobby cristiana statunitense sorta con
il dichiarato scopo di “unire e dotare i leader di tutto il mondo di
strumenti per promuovere la famiglia naturale come sola unità stabile e
fondamentale della società”.
D’altronde la stessa nascita dell’Iof, consacrata a Praga nel 1997
con la prima edizione di questo Congresso, prometteva male: da una
sinergia tra il white nationalism americano e il suo omologo russo, in
particolare dalle prime elaborazioni di Allan Carlson, reganiano di
ferro, Anatoly Antonov e Viktor Medkov che identificano nella
rivoluzione sessuale e femminista la causa della crisi demografica
occidentale, evidentemente non sono nati diamanti.
Le donne (bianche) non sono più le incubatrici di una volta, urge
correre ai ripari e riunire sotto la stessa egida quante più lobbies e
quanto più conservatrici (ultrà conservatori, per usare la definizione
di Ulrika Karlsson, del Forum parlamentare europeo sulla popolazione e
lo sviluppo) possibili. Detto fatto, e anche se con qualche interruzione
e qualche battuta di arresto, grazie anche a ingenti donazioni, si
mormora filogovernative russe, il Wfc è pronto a sfoderare la sua
pletora di oscurantismi questa volta in salsa scaligera.
D’altronde basta buttare un veloce sguardo agli ospiti
internazionali attesi dalla città di Giulietta per capire come tiri una
brutta, bruttissima aria, e come il vento del cambiamento, per citare lo
slogan scelto dallo stesso Wfc sia in realtà un miasma oscurantista e
aberrante nella sua tranquilla sfacciataggine negazionista dei diritti
umani.
Si va dal patriarca ortodosso Dimitri Smirnov (“chi sostiene
l’aborto è un cannibale” e “l’omosessualità è contagiosa come la peste”
tra i suoi aforismi migliori) a Igor Dodov, quel presidente della
Moldavia che per festeggiare la suprema carica ha pensato bene di
chiosare con un “Non ho mai promesso di essere il presidente degli
omosessuali, avrebbero dovuto eleggere il loro presidente”. Dalla croata
Zeljka Markic, promotrice del referendum che ha escluso nel suo paese
il matrimonio samesex e che preferirebbe dare un figlio ad un
orfanotrofio piuttosto che a una coppia omosessuale, alla nigeriana
Theresa Okafor che considera il preservativo “una trappola, esportata in
Africa per soffocare la vita”.
Il Gotha del fondamentalismo integralista religioso, il Circo Barnum del regresso.
Ma ancora non si è detto delle illustri presenze nostrane. In prima
fila la proctologa Silvana de Mari, quella che ritiene il sesso anale
rito iniziatico al satanismo e che è stata condannata per diffamazione
aggravata e continuata a mezzo stampa delle persone Lgbti. Non ultimo,
il portavoce di Pro Vita, Alessandro Fiore casualmente figlio di quel
Roberto leader di Forza Nuova.
Ma, soprattutto, gli esponenti istituzionali. E qui è uno dei veri nodi
del problema, perché il Wfc è un problema. È lecito per uno stato che si
dice democratico, che si suppone laico o quantomeno pluralista,
appoggiare istituzionalmente un gruppo che nega il diritto all’aborto e
in generale all’autodeterminazione sessuale e riproduttiva, che fomenta
l’odio, che pratica l’omofobia, che finanzia falsi studi per dimostrare
la correlazione tra matrimonio egualitario e pedofilia o tra aborto e
cancro al seno, che considera l’emancipazione femminile un danno
sociale?
No, ovviamente. A meno che il suddetto stato non sia il nostro.
E ormai quasi poco importa il ridicolo balletto dei patrocini:
revocato ufficialmente quello della Presidenza del Consiglio, dopo
peraltro migliaia di firme raccolte dalla petizione lanciata da All out e
un coro non indifferente di polemiche, rimane quello del ministro senza
portafoglio Fontana, quello della Regione Veneto, quello della
Provincia di Verona e, in impulso di solidarietà, quello della regione
Friuli Venezia Giulia (che, come ironicamente commentato sul web, d’ora
in poi si chiamerà solo Friuli Venezia che in omaggio ai principi del
Wfc Giulia è rimasta a casa a lavare i piatti).
Una passerella grondante odio e anche letteralmente sangue: nel
mondo, più di dieci i paesi che puniscono con la morte la blasfemia, un
terzo del totale considera a vario titolo l’omosessualità un reato.
Persino la Chiesa Cattolica, dotata di un ottimo livello di
equilibrio egoista, si è smarcata, a suo modo, dal Wfc tramite il
segretario di stato vaticano Parolin, peraltro ospite della passata
edizione. Preoccupati, dicono, dal rischio dell’uso strumentale di
valori per obiettivi politici, condividono la sostanza ma non il metodo.
E sulla sostanza, come smentirli? D’altronde tra un cannibale abortivo o
un sicario alla Bergoglio tanta differenza non sembra in effetti
passare. Sul metodo, diamo atto alle gerarchie ecclesiastiche, pontefice
massimo in testa, di avere un utilizzo decisamente più raffinato della
metafora e della parafrasi.
Tutto qui? No, per fortuna no. Perché c’è anche un’altra Verona e
un’altra Italia. E per la prima volta al Wfc si opporrà una vera e
propria sinergia di piazza tra associazioni e movimenti nazionali e
internazionali, quell’insieme di società civile che l’oscurantismo non
lo avalla e non lo accetta, che guarda avanti e non indietro, che è
pronta per il rispetto e il riconoscimento delle differenze, che
“naturale” considera l’autodeterminazione e non dogmi retrivi o visioni
patriarcali della società.
L’Uaar e l’IPPFEN (International Planned Parenthood European
Network) in collaborazione con Rebel Network insieme a una vastissima
rete di associazioni e movimenti hanno organizzato un convegno per il 30
marzo, presso l’Accademia dell’agricoltura, lettere e scienze, uno
spazio di riflessione comune che porterà poi al corteo previsto nel
pomeriggio e organizzato dal collettivo femminista Numd.
(25 marzo 2019)
Nessun commento:
Posta un commento