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Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi e
in più devono lottare come matti se vogliono opporsi a potentissime
leggi fatte da tecnocrati che nessuno ha mai eletto – cioè votare alle
elezioni per il Parlamento Europeo – significa «rendersi complici
intenzionali di una dittatura». Lo sostiene Paolo Barnard, nella sua “Guida alla vergogna delle elezioni europee”:
un riassunto spietato dell’euro-farsa di maggio. «La gran massa di
quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta populista euroscettica
alle prossime europee sarà esplosiva contro la bieca autocratica Ue di
Bruxelles, è così ripartita: il 2% sono consapevoli falsari, il 98% sono
inconsapevoli cretini», premette Barnard. «Se la mattina del 27 maggio
2019 il più potente burocrate d’Europa,
Martin Selmayr, vedrà su “Sky News” il faccione raggiante di Salvini
“che non lo tiene più nessuno”, scrollerà le spalle e penserà: “Vabbè,
una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa
verrà solo di un poco infastidita». Il Parlamento Europeo, infatti,
conta niente: è il più demenziale, tragicomico baraccone mai concepito
nella storia politica
umana. Credere che, dall’interno di un carrozzone impantanato come
questo, un’eventuale fronte anti-Bruxelles possa iniziare a sparare
cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, «è da fessi», dice
Barnard, «o da falsari come Salvini, Bannon, il 5 Stelle e i loro soci
in Ue».
Per Barnard, è come «votare per dei vigliacchi», disposti a farsi
mandare a Strasburgo pur essendo pienamente consapevoli della loro
impotenza. I parlamentari europei? «Delegano la stesura di leggi
sovranazionali – cioè più potenti di quelle scritte dai
singoli paesi e sovente anticostituzionali, per loro – ai burocrati
non-eletti della Commissione Europea». Ipocriti e codardi: «Il
“principio di comodità” è ciò che li guida: è comodo sedersi a
Strasburgo, intascare un grasso salario e poi, al limite, dara la colpa a
Bruxelles per i danni micidiali che certe sue leggi ci fa». Lo
chiarisce uno studio della Cambridge University del 1999: «I legislatori
hanno noti incentivi a delegare tutto il potere
ai burocrati, fra cui il fatto di evitare di essere poi chiamati a
rispondere ai cittadini per scelte dure e impopolari». Tradotto: le
infami “riforme” di lavoro e pensioni, e i tagli di spesa alla Juncker.
Poi si è passati dal non poter fare nulla al poter fare quasi nulla,
aggiunge Barnard: l’impotenza degli europarlamentari «divenne talmente
oscena e grottesca, che alla fine i super-burocrati di Bruxelles
decisero, dal 2006 e poi l’anno dopo col Trattato di Lisbona, d’infilare
dei ritocchini cosmetici che dessero l’impressione che il Parlamento
potesse bloccargli le leggi».
Con nomi attraenti (Regulatory Procedure With Scrutiny e articolo 290 Tfeu) fu dato al Parlamento Europeo il potere
teorico di opporsi alle leggi della Commissione, così come poteva fare
il Consiglio dei ministri. Ma era solo l’ennesima farsa: «I parlamentari
contestano? Costa una fortuna, e i tempi gli sono nemici». Il Trattato
di Lisbona, spiega Barnard, ha reso pressoché inaffrontabile il costo di
una contestazione del Parlamento contro la Commissione. Le direttive
della Commissione «sono di proposito scritte da oltre 300 tecnocrati con
intrichi legali asfissianti». Per cui, l’europarlamentare che volesse
capirci qualcosa «dovrebbe pagare uno staff di tecnici a costi
altissimi», ma non solo: «Deve poi avere ulteriori mezzi per “istruire”
un’intera commissione parlamentare sul tema che vuole criticare, e tutto
questo solo per iniziare ad agire». Infine, deve trovare
altri mezzi «per formare una coalizione che sia d’accordo con lui, e
non basta: deve anche convincere la Conferenza dei presidenti delle
commissioni».
E tutto questo, senza contare i tempi: solo 4 mesi, per organizzare
il tutto, creare una lobby trasversale fra i vari partiti reclutando
colleghi a favore della contestazione e quindi rifare tutto, daccapo, in
seno al Consiglio dei ministri, che per legge deve essere poi
d’accordo. «Scaduti i 4 mesi, il parlamentare Ue s’attacca al tram».
Conferma l’“Economist”: «Il peso, i costi e gli ostacoli di una
contestazione contro una legge della Commissione sono quasi sempre
maggiori dei benefici. Meglio, per il parlamentare, una forma di baratto
in privato con Bruxelles». Lo scriveva nel 2017 il College of Europe,
Bruges. In altre parole: meglio darla vinta alla Commissione, in
partenza. Un meccanismo «demenziale e democraticamente osceno»,
sottolinea Barnard: «Un parlamentare eletto deve svenarsi, per
contestare burocrati non-eletti». Dal 2009 al 2017, su 545 leggi
proposte dalla Commissione, il Parlamento Europeo di fatto ne ha
contestate l’1,1%. «Il resto, e sono tutte leggi più potenti di quelle
italiane, è passato liscio come l’olio».
Mettiamo pure che i populisti euroscettici prendano buoni numeri a
maggio: nel qual caso, «è stra-ovvio che avranno una vita infernale,
anche solo per mantenere una frazione di ciò che oggi sbraitano agli
elettori». In sostanza, un europarlamentare che volesse bloccare una
super-legge della Commissione dovrebbe disporre di una barca di soldi e
di super-tecnici, per provare a convincere un mare di altri
parlamentari, tra partiti e commissioni, solo per iniziare ad agire. Ma
per arrivare a una conclusione di successo, continua Barnard,
l’ipotetico parlamentare-eroe dovrebbe poi anche superare diversi veti.
Il primo, dalla commissione parlamentare interessata. Poi potrebbero
contestargli un conflitto di giurisdizione fra commissioni, cioè dirgli:
il tema non è di tua competenza. Se poi il parlamentare non ottiene la
maggioranza assoluta di tutto il ParlamentoEuropeo,
insieme all’ok del 55% del Consiglio dei ministri (cioè di tutti gli
Stati Ue) la partita non può nemmeno cominciare. «Non è teatro
pirandelliano: è come funziona ’sto delirio chiamato Parlamento Ue».
Terza farsa, continua Barnard: questi europarlamentari “evirati” sono
costretti a fare i lobbysti, e spesso di nascosto. Michael Kaeding,
economista neoliberista dell’università Duisburg-Essen, ricoprire una
decina d’incarichi nelle maggiori think-tanks d’Europa.
Un super-tecnocrate, l’opposto di un euroscettico. Con Barnard, ha
intrattenuto uno scambio chiarificatore. Kaeding è esplicito: la
Commissione Europea, che emana tutte le leggi, è consapevole di avere
scarsa legittimità democratica. Per questo, cerca sempre di non arrivare
allo scontro coi parlamentari, coi quali tenta specifici accordi.
Nientemeno: «Esiste un potere
di fatto, dove il singolo parlamentare baratta con la Commissione su
certe leggi, piuttosto che tentare uno scontro. Il problema – aggiunge
Kaeding – è che questi negoziati non sempre sono trasparenti, o
addirittura sono difficili da scoprire». Capito? Ridotto all’impotenza,
l’europarlamentare si trasforma in lobbysta-ombra. Persino Kaeding
arriva a domandarsi che senso abbiano queste trattative “riservate”, e
quanto siano lecite.
Che altro? Questo: il Parlamento Europeo può teoricamente bocciare
sia la Commissione che il suo presidente. Una prospettiva che Barnard
classifica «surreale», e spiega: «Il Parlamento Ue può in effetti
bocciare sia la nomina del presidente della Commissione, sia la lista
dei commissari». Ma poi cosa succede? «Presidente e commissari vengono
ripresentati quasi identici, o al meglio con cosmetiche correzioni per
salvare la faccia ai parlamentari contestatari». Ora, se un ipotetico
Europarlamento “salviniano” non accettasse il salva-faccia, si
riboccerebbe il tutto. A quel punto, si entrerebbe «nel labirinto
chiamato “crisi costituzionale” secondo il Trattato di Lisbona», cioè la Costituzione Ue «introdotta di nascosto nel 2007, dopo la
bocciatura francese e olandese della prima Costituzione proposta,
bocciata perché “socialmente frigida”». E chi la risolverebbe, una crisi costituzionale di quel tipo? Il Parlamento Europeo? «Ma non facciamo ridere», taglia corto Barnard.
Certo, resterebbe il Consiglio Europeo. Ma idem: il Consiglio «ha
consegnato dispute di ’sto genere a oltre 2.800 pagine di codicilli
indecifrabili, scritti da tecnocrati nel 2007 (Trattato di Lisbona), da
cui si desume – secondo studiosi come Jens Peter Bonde – che la crisi
verrebbe a quel punto messa nelle mani della Corte Europea di
Giustizia, che è ancor meno eletta della Commissione Ue». Risultato: una
bocciatura del Parlamento Europeo varrebbe zero. Lo conferma
l’inconsistenza assoluta, fisiologica, dell’assemblea elettiva di
Strasburgo. Le leggi Ue, prodotte dalla Commissione, «ficcano il naso
dappertutto, dagli omogeneizzati alle regole d’accesso alle
comunicazioni satellitari». Spiegano «come devono essere fatte le
lampade al neon, definiscono «cos’è la cioccolata», delimitano la
privacy e stabiliscono come irrigare un campo. «Ma ciò che questa Europa
ha portato di più devastante sulla più bella e democratica Costituzione
del mondo, la nostra, sono i trattati», scrive Barnard. Già, perché le
leggi teoricamente impugnabili dai parlamentari sono soltanto quelle
secondarie, mentre quelle primarie sono proprio i trattati: da
Maastricht a Lisbona, fino al devastante Fiscal Compact che ha sfigurato
la Costituzione italiana imponendovi il pareggio di bilancio, cioè la
distruzione del potere sovrano di spesa (e quindi dell’equità sociale).
Ecco perché, secondo Barnard, chiedere voti per alzare la voce
all’Europarlamento «è una colossale presa per il culo».
L’europarlamentare è neutralizzato persino sulle leggine, e quindi conta
zero sui trattati che regolano «la spesa di Stato per le nostre vite,
malattie, lavoro, pensioni o giovani». Ecco come stanno le cose: il
Trattato di Lisbona, con l’articolo 48 Tfeu, sancisce che per modificare
un trattato europeo ci sono quattro procedure. In tutte e quattro,
sottolinea Barnard, il ruolo del Parlamento Europeo è limitatissimo. Tre
sono le vie fondamentali: procedura ordinaria, procedura semplificata e
“passerelle” (in francese). «Vi garantisco che non esiste un premier in
tutt’Europa
che sappia cosa siano», dice Barnard, «perché sono procedure più
complesse della fisica teorica: vi basti sapere quanti attori, a livello
Ue, devono essere tutti insieme coinvolti, pluri-consultati,
coordinati, informati e infine convinti, per cambiare un Trattato».
L’elenco è sconfortante: attraverso un iter ultra-bizantino,
praticamente folle, vanno convinti tutti i 28 governi nazionali (e anche
solo uno di loro può porre il veto, bloccando
tutto). Poi occorre avere con sé la Commissione Ue, il Consiglio
Europeo, il Consiglio dei ministri, la cosiddetta Convenzione Europea.
Ancora: la Conferenza Intergovernativa, la Bce e, in ultimo, il
Parlamento Ue.
«E qualcuno crede ancora che i futuri “salvinici” o “orbanici” eroi, a
Strasburgo, potranno dire be’ sui trattati?». Ma poi, è vero che a
maggio i populisti euroscettici vinceranno? «Non diciamo cretinate»,
scrive Barnard: «Basta guardare i numeri dei 9 gruppi parlamentari
europei per capire che i populisti euroscettici dovrebbero centuplicare i
loro consensi per dominare il Parlamento, e gli altri perderne il 90%
di botto. Una cosa sembra certa dai sondaggi: su 12 partiti cosiddetti
populisti in Europa,
oggi solo la Lega otterrà un certo successo, gli altri aumenteranno di 2
o 3 o forse 4 seggi». Tutto qui. Insiste Barnard: «Vi hanno mentito su
tutto». Chi? Di Maio, cioè Casaleggio, e naturalmente Salvini, «coi suoi
due economisti con 10 chiili di Vinavil fra culo e poltrona politica»
(Borghi e Bagnai, ormai silenti di fronte alla retromarcia gialloverde
dopo le minacce Ue sul deficit). «Hanno calato le braghe di fronte a
Bruxelles in 5 minuti, con una spesa pubblica che è un insulto alla storia italiana», conclude Barnard. «I padani si sono rimangiati la Eurexit perché “eh, abbiamo beccato solo il 17% e quindi sticazzi le
promesse elettorali, ma la poltrona ce la teniamo”, mentre Salvini
mandava emissari anonimi da “Bloomberg” a dirgli “rassicurate i mercati!
Staremo nei ranghi”». Barnard li chiama “cialtroni”: «Oggi vi dicono
che a maggio sbaraccheranno tutta l’Europa? Una balla, da vomitare».
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domenica 24 marzo 2019
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