Saranno davvero "socialmente pericolosi" i giovani andati in Siria a combattere contro l'Isis, come i pm di Torino affermano?
Forse però è bene cominciare dalle parole di Lorenzo Orsetti, 33 anni, fiorentino, anarchico, animalista, combattente al fianco dei curdi contro lo Stato Islamico, caduto nella battaglia di Baghuz, che - mia opinione personale - restituiscono dignità a un paese altrove colmo di analfabeti tentati dalla semplificazione autoritaria e razzista, cioè dal fascismo.
Non si tratta adesso, retoricamente, di inchinare le bandiere per la sua morte in una sorta di cerimonia degli addii della ritrovata percezione palingenetica, piuttosto riconoscere nel suo gesto, battersi in armi contro l'osceno islamismo, lo stesso segno di generosità che, era l'estate 1936, portò migliaia di antifascisti a raggiungere la Spagna repubblicana minacciata dai militari golpisti dei generali Mola e Franco, anche allora impugnando le armi, chi con le Brigate Internazionali chi con la milizia della CNT-FAI, la confederazione anarco-sindacalista.
Perdonate la semplificazione, ma, sempre lontano dalla retorica, queste parole pretendono di mostrarsi anche oltre l'agiografia, spesso acefala ancor prima che velleitaria, da murales di centro sociale occupato autogestito, la stessa che altrove ha trasformato ragazzi in sacre icone della rivolta giovanile. Detto ciò, sarebbe bastato fare caso alle parole di Alessandro Orsetti, padre di Lorenzo, ospite su Raitre, per intuire la grana umana, ancora prima che politica, perfino il suo fondo di struggente tenerezza, della scelta intrapresa da "Orso" e dai suoi amici di viaggio, di lotta.
Ragazzi e ragazze italiani che, come lui, hanno scelto in raggiungere la Siria per battersi sotto le insegne dell'YPG, la milizia curda Unità di protezione popolare. I combattenti stranieri che si sono uniti alle YPG nella guerra contro l'ISIS sarebbero alcune centinaia, sia uomini che donne, Stati Uniti ed Europa le realtà iniziali di provenienza.
Sia detto come dato "militare" o forse "militante", i primi stranieri a unirsi alle YPG sono giunti in Siria nel 2015, anno di massima espansione dell'ISIS, quando il Califfato islamico controllava un territorio quasi sconfinato. Obiettivo dei curdi siriani frenare l'avanzata dello Stato Islamico nel "Rojava" - Rojava Kurdistan, ossia il Kurdistan occidentale - territorio del nord della Siria amministrato dal PYD, il Partito dell'Unione Democratica, di segno socialista-libertario. Proprio allora le YPG, le milizie armate del PYD, hanno formato il "battaglione internazionale" cui nel corso del tempo, così leggiamo, "si aggiunsero decine di volontari provenienti da tutto il mondo. Dopo una prima fase 'difensiva', che incluse per esempio la battaglia per la conquista di Kobane"
Noi non sappiamo quanto l'esperimento politico agito e messo in atto in quel pezzo di mondo che ha nome Kurdistan possa essere risolutivo, vincente, come dato storico e storiografico ricordiamo però gli anarchici, fatti noti, e la Spagna del 1936-1938 ce lo racconta, cioè prima della caduta del fronte repubblicano, hanno provato a realizzare nel concreto quotidiano esperimenti di socialismo, se non comunismo, libertario. Anche i lustrascarpe innalzavano la bandiera rossa e nera sulle ramblas di Barcellona, anche i tassisti verniciarono di quegli stessi colori i loro mezzi.
Quanto alla storia di "Orso", così per gli amici, l'invito alle istituzioni muove dalle parole di Alessandro Orsetti, suo padre: "Mi farebbe piacere un riconoscimento, che si vedesse che non era un cane sciolto, che c'è un movimento, ci sono italiani che si sono spesi per una causa giusta. Vorrei che lo Stato Italiano riconoscesse, forse tardivamente, l'opera di questi combattenti italiani ed internazionali". Poi aggiunge: "Un eroe? Direi un uomo, che ha sposato una causa ed è morto per quello in cui credeva", così a chi lo intervistava. Accanto a lui, una ragazza e tre ragazzi, Eddi Marcucci, Fabrizio Maniero, Davide Grasso e Jacopo Bindi, tornati dal Kurdistan, anche loro già inquadrati nelle milizie curde. Attualmente sotto stretta sorveglianza proprio per avere combattuto laggiù in Siria, nonostante si tratti della medesima coalizione che comprende anche l'Italia, dovranno infatti tutti comparire di fronte alla procura di Torino. "Le istituzioni sono nell'imbarazzo di dover omaggiare un ragazzo morto che, se fosse rientrato in Italia, sarebbe stato un 'osservato speciale' per le attuali leggi vigenti anti-terrorismo", così sempre Alessandro Orsetti. Eddi Marcucci, già in Siria con le YPG curde, Unità di difesa delle Donne, corpo militare che ha riportato molte vittorie sul campo di battaglia, liberando migliaia di persone: "Il cordoglio a rete unificate via social network nei confronti di Orso non solo non è abbastanza, ma rischia di essere fastidioso, quando si tace il contesto in cui è morto Lorenzo. Salvini si ricordi che Lorenzo ha combattuto contro il fascismo e contro quelle politiche che lui mette in atto tutti i giorni in questo Paese".
Nell'ambito dell'udienza relativa alla richiesta di "sorveglianza speciale" mossa dalla procura di Torino, i pubblici ministeri ritengono socialmente pericolosi i cinque italiani che si sono uniti alle milizie curde, perché "hanno diversi precedenti penali o di polizia per reati di violenza legati a fatti politici" commessi in Italia. "Sono persone - afferma la pm Manuela Pedrotta - che hanno fatto della lotta al sistema capitalista la loro ragione di vita ed è per questo che, dopo avere acquisito un addestramento di tipo militare in Siria, sono diventati 'socialmente pericolosi'". Secondo il magistrato i cinque "si sono resi responsabili di condotte violente contro le forze dell'ordine in occasione di manifestazioni contro il Tav, le politiche contro l'immigrazione, gli avversari politici all'università". Dunque, sempre secondo il tribunale "non è corretto dire che se Lorenzo Orsetti fosse tornato in Italia sarebbe stato sottoposto al medesimo procedimento: non avendo i loro precedenti". E ancora: "Non credo - ha ribadito Pedrotta - che siano andati in Siria per salvare la nostra società da una minaccia terroristica. Uno di loro ha scritto che 'dopo l'Isis il nemico numero uno è la società capitalista'. Loro vogliono continuare la lotta in Italia".
Questa vicenda porta con sé il nodo filosofico della rivolta, ciò che Albert Camus riassume con queste parole: "Mi ribello, dunque siamo". Detto invece da un muro: "Ribellarsi è giusto".
Al di là d'ogni semplificazione propria dell'analfabetismo sempre più insorgente, non potrà essere una (possibile) sentenza di restrizione della libertà personale a cancellare gli interrogativi sulla libertà e la sua lotta, la storia di "Orso", perfino nella tragedia, racconta anche questo. Una complessità nota anche al pensiero degli anarchici, come scriveva il nobile e già ufficiale di artiglieria Mikhail Bakunin: "Le rivoluzioni cruente sono spesso necessarie, a causa della stupidità umana; ma sono sempre un male, un male mostruoso e un grande disastro, non solo per quanto riguarda le vittime, ma anche per ciò che concerne la purezza e perfezione dell'idea nel cui nome avvengono". Se esiste una filosofia del diritto dovrà venire a patti anche con queste sue parole.
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