sabato 3 febbraio 2018

Un milione e mezzo di bambini soffre di patologie mentali. Ma nessuno se ne accorge

La malattia non viene diagnosticata. E l’accesso gratuito alle cure scientificamente sperimentate e adatte ai ragazzi, nel nostro Paese è possibile solo in pochissimi centri. Un esempio? Il reparto specializzato del Bambino Gesù, a Roma, ha solo otto posti letto. E dovrebbe servire tutto il centro-sud. 

L'Espresso Elena Testi
Un milione e mezzo di bambini soffre di patologie mentali. Ma nessuno se ne accorgeCorridoi che si intrecciano , nel buio. Poi laggiù, dove arrivare sembra impossibile, una porta blindata si apre. È il padiglione Ford. Viene indicato con il colore grigio nel reticolo di mille vie dell’ospedale Bambino Gesù, Roma.

Entriamo, vediamo un ragazzo che fissa con gli occhi un punto fermo, senza distogliere lo sguardo. Ha 16 anni e fino a ieri frequentava un liceo romano. Ottimi voti, rappresentante di classe, una vita normale. Una quotidianità di amici, libri e uscite. Poi la rottura improvvisa e quella psicosi che gli ha strappato la parola e lo sguardo. Cammina nel corridoio illuminato solo da luci artificiali. Passi automatici, strascicati sul pavimento lucido, lo trascinano fino alla sala comune del reparto di neuropsichiatria infantile.
Il nostro viaggio continua.
Piccole righe rosse che attraversano le braccia, una cartina geografica di tagli che indica la strada verso il malessere: ha 14 anni e girovaga tra i letti del reparto. Nei giorni scorsi chiedeva alle mamme di altre pazienti se le potevano portare un piccolo temperamatite. «Uno di quelli in plastica che si usa per fare la punta», diceva. Quando lo ha conquistato, si è nascosta e lo ha rotto. Poi ha tirato fuori la lama e se l’è conficcata nella carne. Ci sono voluti giorni prima che gli infermieri riuscissero a comprendere come facesse a procurarsi i tagli. Hanno interrogato tutti i genitori, alla fine sono riusciti a capire. Da quel momento è scattata l’ennesima precauzione: prima di entrare devono essere tutti perquisiti.


Un’altra bambina. Otto anni appena. I vestiti le si appiccicano alle ossa. Scosta il cibo e lo guarda con disgusto. Dopo la degenza in questo pezzetto di mondo protetto, dove ogni cosa è controllata, sarà trasferita in un centro per la cura dell’anoressia. Ma per adulti, perché in Italia non esiste nessun centro specializzato per bambini o adolescenti affetti da questo disturbo dell’alimentazione sempre più diffuso. Ci sono solo ospedali inadatti e spesso con liste d’attese lunghe mesi, con il rischio di peggiorare la situazione e trascinarla a un punto di non ritorno.


Un’altra piccola paziente ha le mani intrecciate intorno alle ginocchia. Stringe qualcosa tra il petto e quell’abbraccio forzato verso se stessa. Il volto deturpato dal nero di occhi che hanno perduto il sonno. Ha deciso di rimanere vicino alla porta blindata. E da lì osserva bene il passaggio.

In Italia si stima, sulla base di diverse ricerche scientifiche e statistiche, che siano un milione e cinquecentomila i minori che soffrono di una patologia mentale. Ma solo al 20 per cento di loro è stata diagnosticata una malattia. Le ricerche scientifiche raccontano un rosario di patologie: schizofrenia, disturbi bipolari, anoressia, bulimia. E ancora: depressione, epilessia, autismo. Per poi continuare l’elenco che arriva fino alle psicosi precocissime, diagnosticate anche sotto i 12 anni.

Il principale problema è che l’accesso gratuito alle cure - quelle scientificamente sperimentate e adatte ai bambini e agli adolescenti - nel nostro Paese è possibile solo in pochissimi centri.

Basti pensare che il reparto di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù, con i suoi otto posti letto, è l’unico ospedale di riferimento del centro-sud, tra un mese terminerà la sua ristrutturazione. E in tutta Italia ci sono solo 79 posti letto dedicati a minori che hanno patologie psichiatriche. Decisamente troppo pochi. Così chi non riesce a farsi ricoverare in strutture specializzate finisce spesso in reparti dedicati agli adulti, con il rischio di rimanere traumatizzato.

Tra interrogazioni parlamentari, audizioni in commissione e psichiatri che fanno la staffetta dagli ospedali a Palazzo Montecitorio, ancora siamo agli inizi di un dibattito che dovrebbe essere molto più avanzato. Il numero dei tentati suicidi da parte dei minori, ad esempio, aumenta anno dopo anno. A Roma, dove nel 2013 erano stati 14 i minorenni che hanno provato a togliersi la vita, nel 2016 i ricoveri per tentato suicidio di minori sono stati 120. Quasi decuplicati.

Per il responsabile del reparto di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù, il professor Stefano Vicari, «nell’80 per cento dei casi è la depressione che spinge questi bambini a togliersi la vita. Soltanto il 20 per cento di loro ha problemi psichiatrici di natura diversa».

Le cause? Spesso difficili da capire. Altre volte più evidenti: alcuni sono vittime di bullismo, altri hanno alle spalle primi amori spezzati o brutti voti che diventano il motivo scatenante di un gesto estremo. Oppure, talvolta, una litigata più accesa in famiglia. Come è accaduto al bambino di dieci anni che si è gettato sotto un treno del metrò, a Roma, dopo una discussione con la mamma. È stato salvato, ora si cerca di capire quali disagi pregressi lo abbiano portato alla scelta di provare a morire.

Troppe volte, del resto, la malattia psichiatrica nei bambini e negli adolescenti non viene neppure diagnosticata. Nessuno si accorge che hanno bisogno di cure. «Quando questo accade, nel migliore dei casi i bambini crescono tenendosi queste patologie. E la via della guarigione, una volta adulti, è impossibile da perseguire», dice Vicari.

Il punto è che «la patologia psichiatrica nei bambini è vera e concreta», spiega ancora Vicari. «Gli studi dimostrano, con l’ausilio delle neuroimmagini, un’alterazione della morfologia e del funzionamento del cervello di questi bambini. Ogni malattia psichiatrica si manifesta per l’interazione di fattori biologici predisponenti e fattori ambientali favorenti. E ci sono bambini che nascono geneticamente programmati per sviluppare la malattia».
In tutto questo, è esploso il fenomeno dei prodotti psichiatrici “off label”, cioè somministrati ai ragazzi fuori dalle indicazioni e spesso senza sufficiente sperimentazione.
Del resto i farmaci, in generale, vengono testati quasi sempre solo sugli adulti. Con la conseguenza che in alcuni casi, come spiega il professor Pietro Panei dell’Istituto Superiore di Sanità, «nessuno è a conoscenza dei rischi che si possono correre con la somministrazione ai bambini».

Secondo gli studi pubblicati dall’Istituto di Ricerca Farmacologica Mario Negri, su questo problema l’Italia è ancora troppo indietro. La ricerca industriale ha infatti investito solo in quei settori in cui gli interessi dei produttori e i bisogni dei pazienti sono sovrapposti sia per gli adulti sia per i bambini. «C’è un’area dimenticata», scrive nel suo rapporto Maurizio Bonati, Responsabile del Dipartimento di salute pubblica e del Laboratorio per la salute Materno Infantile, «dove gli psicofarmaci sono utilizzati in età evolutiva troppo spesso in modo inappropriato o fuori dalle indicazioni per cui sono stati messi in commercio». Off label, appunto. Un fenomeno che genera diversi problemi: ad esempio, la prescrizione e il piano terapeutico sono condizionati dal solo medico; e spesso i genitori pagano direttamente le terapie per i propri figli, rischiando oltre tutto di pagare quelle sbagliate.


Ma oltre alle malattie più evidenti, per i ragazzini c’è la controversa questione dell’Adhd, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. In Italia sono 3.696 i bambini e gli adolescenti finiti nel registro ufficiale dei pazienti che soffrono questa patologia. Che viene curata nella maggior parte dei casi con la somministrazione dello psicofarmaco Ritalin, altrettanto controverso.

Il primo caso diagnosticato di Adhd risale al 1902, quando il pediatra inglese Gorge Still ne descrisse minuziosamente i sintomi. Poi, un secolo e una manciata di anni scanditi da dibattiti e correnti contrapposte. Oggi nel web proliferano le pagine Facebook e i forum pieni di accuse: «Inaccettabile la somministrazione di psicofarmaci a soggetti in età evolutiva», scrivono in molti. E chiedono di bandire il Ritalin, legale in Italia da dieci anni, prodotto dalla seconda casa farmaceutica per fatturato al mondo: la Novartis, con sede a Basilea, in Svizzera. «Speculano sulla salute dei nostri figli, drogandoli con le anfetamine», è il mantra più diffuso. La comunità scientifica risponde che sui 2.675 bambini con Adhd ai quali è stato somministrato il farmaco in Italia si sono verificati “eventi avversi gravi” solo in 57 pazienti. I contrari replicano che la prescrizione di stimolanti in età infantile predispone i minori a un abuso di altre sostanze dopo, nell’adolescenza, portandoli verso la dipendenza da droghe o psicofarmaci. Ma «la semplice psicoterapia in alcuni casi non basta, non è la risposta, porta con sé il rischio che la malattia si cronicizzi», sostiene il professor Pietro Panei. E Stefano Vicari specifica che in età evolutiva «la somministrazione di Ritalin deve essere comunque prescritta con linee guida comuni e con sperimentazioni adatte».

Insomma, quello che conta è occuparsi delle patologie psichiatriche dei bambini con pazienza, ricerca, attenzione, basandosi sui dati e sulle sperimentazioni. Senza ideologie in un senso o nell’altro, nella consapevolezza che queste malattie esistono e tanti bambini ne soffrono.

Ma è impopolare dirlo, anche nel paese che celebrerà quest’anno i 40 anni della legge Basaglia. Molti preferiscono voltare lo sguardo. E così far crescere un esercito di fantasmi.

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