contropiano
Sappiamo,
da moltissimo tempo che l’amianto è una sostanza che può provocare il
cancro negli esseri umani, tumore ai polmoni e mesotelioma e il
mesotelioma peritoneale, rappresenta circa il 20-30% dei mesoteliomi.
Questo è un tumore che origina dal mesotelio, cioè dalle cellule
parietali del peritoneo, membrana sierosa che tappezza le pareti della
cavità addominale e pelvica.
Le
donne possono essere colpite da tumore dell’ovaio dovuto ad amianto
anche stando in casa, scuotendo gli abiti da lavoro prima di lavarli,
inalano così le pericolose fibrille di amianto. In uno studio,
pubblicato su Occupational and Enviromental Medicine, ricercatori britannici hanno evidenziato che l’amianto può aumentare ictus, crisi cardiache e infarti.
Va
affermato con forza che la battaglia contro l’amianto riguarda la
salute degli operai, dei lavoratori, delle donne, ma anche del
territorio e dell’ambiente. Non possiamo sapere, sia per i mesoteliomi
che per altre forme tumorali, quando la cellula del nostro organismo
dalla fase benigna diventa maligna.
Va
anche detto che le fibre di amianto, derivato dalle vecchie tubazioni
in cemento-amianto (che si stanno disgregando) potrebbero altamente
inquinare l’acqua potabile, le condutture dell’acqua; le tubature in
amianto vengono riconosciute come un grande rischio per la nostra
salute.
Tumori
del tratto gastrointestinale (esofago, stomaco, colon-retto) vennero
già associati all’amianto negli anni ‘50 e attualmente le fibre
dell’amianto e l’acqua potabile sono oggetto di attenti studi anche per
quanto riguarda i tumori della laringe. L’osservazione, che proviene da
numerosi lavori scientifici è che chi beve acqua contaminata, dalle
fibre di amianto, è esposto al rischio di tumori dell’apparato
gastro-intestinale.
Nella
risoluzione del Parlamento Europeo del 2013, sulle minacce per la
salute sul luogo di lavoro legate all’amianto, si dice testualmente:
“…anche
diversi tipi di tumori causati non soltanto dall’inalazione di fibre
trasportate nell’aria, ma anche dall’ingestione di acqua contenente tali
fibre, proveniente da tubature in amianto, sono stati riconosciuti come
un rischio per la salute e possono insorgere dopo alcuni decenni, e in
alcuni casi addirittura dopo oltre”.
Vi
sono oggi, in alcuni procedimenti giudiziari che trattano le patologie e
le morti causate dall’amianto, delle sentenze che lasciano il cittadino
veramente basito e provocano amaro dolore, aggiunto a quello della
perdita di un loro caro. In una parola la fiducia nella giustizia è
messa fortemente in discussione. La nostra costituzione, per quanto
riguarda la tutela della salute è chiara e, l’ articolo 32, afferma che “La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. ”
Il
che indica l’importanza del miglioramento della qualità della vita che,
ovviamente, si deve estendere a tutti quegli elementi, o sostanze
nocive, ambientali, o causate da terzi, che “possono ostacolarne il
reale esercizio”.
Questo
articolo deve coinvolgere, direi obbligatoriamente, non solamente i
cittadini, i medici, ma anche l’intera classe giuridica, magistratura
compresa. Il Senatore Felice Casson, durante la sua introduzione, al
convegno tenutosi al Senato della Repubblica, il 13 Dicembre del 2017
dal titolo “Fumus mali iuris”, organizzato dal Coordinamento Nazionale
Amianto e Aiea Onlus, ha anche parlato di questo.
Il
senatore Casson si è soffermato su quanto difficile sia la “[. . . ]
trattazione delle questioni di amianto dal punto di vista civilistico,
amministrativo e penale… noi abbiamo visto delle sentenze di Cassazione
che ci mettono un po’ in difficoltà […]. ”
Durante
questo convegno è intervenuta l’avvocatessa Laura Mara che ha una
grandissima esperienza processuale sul tema di amianto e ci ha concesso
una importante intervista.
Sappiamo
che la respirazione delle fibre di amianto, o asbesto, può determinare
gravi malattie che si manifestano dopo molto tempo. L’amianto,
responsabile di quella infiammazione ai polmoni chiamata asbestosi, è
stato classificato sostanza che può provocare il cancro negli esseri
umani, tumore ai polmoni e mesotelioma; e diversi studi hanno anche
suggerito l’associazione tra esposizione ad amianto e tumori
gastrointestinali e colonrettali. Sembra poi esserci un elevato rischio
di cancro anche per trachea, laringe, reni, esofago e cistifellea.
Le
fibre dell’amianto, molto sottili, possono penetrare attraverso le vie
respiratorie, non solamente nei polmoni, e raggiungere l’alveolo
polmonare e formare, col tempo, degli essudati della pleura inguaribili.
Sono morti annunciate, che avverranno anche a distanza di anni.
Il
mesotelio è simile a una finissima pellicola, un sottile tessuto, che
ricopre la parte interna del torace (pleura), dello spazio attorno al
cuore (pericardio) e dell’addome (peritoneo). Quando un tumore nasce
dalle cellule del mesotelio prende il nome di mesotelioma, e non
sempre è maligno ma è in progressivo aumento; quando lo è, è uno dei più
pericolosi che si conosca poiché la comparsa della sintomatologia si
può avere dopo lungo tempo (anche quarantacinque-cinquanta anni).
Il
mesotelioma può coinvolgere i polmoni, il peritoneo, il fegato, la
cistifellea, la milza, l’intestino e la tunica vaginale del testicolo.
Non esiste la cosiddetta dose-soglia (soglia di rischio) per
l’amianto, può bastare una sola fibra per ammalarsi; ma il rischio
aumenta con il tempo di esposizione e con la quantità inalata, ciò vale
soprattutto per i lavoratori a diretto, o indiretto, contatto con la
sostanza.
Buongiorno
avvocatessa, grazie per averci concesso questa intervista. Per venire
subito al punto. Noi siamo consapevoli di quanto affermava il senatore
Felice Casson (in riferimento a una sentenza in Corte di Appello a
Venezia): “La costituzione dovrebbe imporre un comportamento diverso,
costituzionalmente corretto”. Ora in maniera cruda è giusto parlare, nel
caso di morte di amianto, di “omicidi colposi”? E possiamo parlare,
sulla base di alcune recenti sentenze nei processi di amianto, di
sentenze “non costituzionalmente orientate”?
Gentile
Professore, buongiorno a Lei. La sua domanda coglie nel segno. Non solo
è corretto, ma è doveroso, dal punto di vista giuridico e sociale,
inquadrare gli eventi mortali, causati dall’esposizione ad amianto sui
luoghi di lavoro, come omicidi colposi: non a caso nei capi di
imputazione formulati dai PM all’interno dei diversi processi celebrati
in Italia ritroviamo proprio le contestazioni ex art. 589 c. p., con
l’aggravante di cui al II comma per aver commesso il fatto con
violazione della normativa (speciale e generica) per la prevenzione
degli infortuni/malattie professionali, che prevede un inasprimento
della pena della reclusione da due a sette anni. Purtroppo le ultime
sentenze di merito milanesi, confermate recentemente dalla Corte Suprema
di Cassazione, hanno accolto una “tesi scientifica” che, da un lato,
confonde il piano della causalità con quello propriamente biomedico,
legato al processo multistadiale di oncogenesi del tumore, e,
dall’altro, impone all’Accusa Pubblica e Privata di fornire una vera e
propria prova impossibile (prova diabolica) in punto di causalità
individuale. Il tutto senza considerare l’arresto conforme della
comunità scientifica internazionale in punto di teoria dose-risposta per
il mesotelioma pleurico (cfr. Consensus di Helsinky 1997; Monografie
della IARC; Linee Guida 2010 della EuropeanRespiratory Society of
ThoracicSurgeons for the manegement of pleuralmesothelioma;Documento
ufficiale del 1999 della Federazione francese dei Centri di Lotta contro
il Cancro; OSHA Federal Register del 1986 e da ultimo, III Consensus di
Bari del 2015). Se
così numerosi consessi (anche governativi) nazionali e internazionali
si sono espressi a livello ufficiale nei termini sopra descritti, è
logico inferire (altra via non esiste) che tali enunciati rappresentino,
all’esito di un’analisi critica condotta ai massimi livelli di
competenza ed imparzialità, la sintesi del sapere scientifico più
diffuso ed accreditato in materia.
In questo senso, possiamo parlare di recenti sentenze non costituzionalmente orientate: si
richiede cioè di provare l’inizio e la fine del periodo di induzione
(iniziazione + promozione) per essere certi che, in quel periodo
temporale, vi sia stato proprio quel determinato imputato a gestire
l’azienda.
Si
richiede cioè una prova che non può essere fornita, perché non attiene
al piano della causalità individuale, in senso stretto, ma al processo
biologico di insorgenza e trasformazione della patologia
asbesto-correlata, e segnatamente del mesotelioma pleurico. Processo
che, come per tutte le altre formazioni tumorali, non può essere
registrato con strumenti fenomenici.
Se
si accogliesse una simile interpretazione, sorgerebbero serie questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 589 c. p. in rapporto all’art. 3
della nostra Costituzione, in quanto vorrebbe dire che il reato di
omicidio colposo per violazione delle normativa sulla sicurezza sul
lavoro non coprirebbe le patologie asbesto correlate, e più in generale,
non coprirebbe più le malattie neoplastiche professionali (che
necessitano di un lungo periodo di tempo prima della loro comparsa e la
cui cancerogenesi non è registrabile con dati fenomenici), creando in
tal modo una falla nel sistema del diritto penale: vorrebbe cioè dire
che l’art. 589 c. p. si applicherebbe solo ai casi di infortunio sul
lavoro (che è reato istantaneo) e non anche alle malattie professionali
neoplastiche (che costituiscono reati-evento a consumazione lenta e
prolungata nel tempo, nei quali gli steps di mutazione cellulare non sono MAI verificabili nel momento in cui si producono all’interno dell’organismo umano).
Il
che, come facilmente intuibile, violerebbe il principio di uguaglianza
sancito dalla nostra Costituzione che non consente una tutela
giudiziaria differente a seconda del momento di consumazione dell’evento
rispetto alla condotta posta in essere dall’agente.
Intravvedo
oggi la possibilità di nuovo orientamento, che valuto pericoloso, di
una parte fortunatamente esigua della giustizia. Spesso i consulenti
degli imputati, nei processi di amianto, hanno operato in maniera
impropria, elaborando delle posizioni – la teoria della”causalità
individuale” o addirittura “collettiva” – che in realtà non hanno nulla
di scientifico. Qual è il suo pensiero in merito?
Esattamente. Le
difese degli imputati, tramite i loro consulenti, hanno costruito nel
tempo un castello di scorrette e finanche inesistenti teorie
scientifiche che si sono spinte oltre la logica umana, oltre la
comprensione del giurista e del privato cittadino. In altri termini, si
tenta, in maniera erronea, di calcolare una mancata anticipazione della
latenza nei singoli soggetti (persone offese) senza tenere conto del
fattore dose di esposizione e delle mansioni
effettivamente espletate dai lavoratori in vita, confondendo i dati
sulla latenza media (che attengono a studi di coorte) con quelli
relativi alla latenza individuale di ogni persona che, in quanto tali,
sono soggetti a diverse variabili.
Mi
scusi se insisto sul tema, ma quello che più mi ha fatto indignare è la
storia della “causalità”. Ci tengo a sottolineare che mio padre,
ferroviere, morì nel 1990 per mesotelioma provocato dall’esposizione
all’amianto, e mio zio Donato emigrato in Australia, morì nel 2005 per
la stessa causa, lavorando alle massicciate delle ferrovie. Come lei ha
detto al convegno:
“Un
dato è certo: le difese degli imputati, tramite i loro consulenti,
hanno costruito nel tempo un castello di scorrette e finanche
inesistenti teorie scientifiche che si sono spinte oltre la logica
umana, oltre la comprensione del giurista e del privato cittadino.
Faccio riferimento al tema della causalità individuale
nei processi penali che, secondo alcuni recenti orientamenti, anche
della Cassazione, deve essere accertata con strumenti in realtà
inesistenti nella realtà fenomenica-scientifica-giuridica”.
Dal
punto di vista strettamente giuridico, quanto pesa questa “causalità
individuale” nei processi penali?Come può essere accettata negli atti
processuali una tesi presentata da “tecnici” di parte che non svolgono
neanche la professione medica? Che cosa è questa “causalità individuale?
Il
problema sta a monte e purtroppo molti di questi consulenti tecnici
svolgono la professione medica ai più alti livelli, anche universitari.
In sostanza oggi la magistratura, accedendo a questa interpretazione
scientifica non corretta, esige che venga data la prova (con che
strumenti non è dato capirlo) del momento esatto in cui la
cellula da benigna inizia a progredire verso la malignità, nonché la
successiva prova della fine di questo (lunghissimo) periodo
multistadiale per poter imputare la responsabilità penale proprio a quel
dirigente che, in quel preciso momento (coincidente con la mutazione
cellulare della vittima), gestiva concretamente la società. Purtroppo,
come noto, non esiste un cronometro per i tumori che possa
fermare l’istante in cui la cellula inizia a proliferare verso la
malignità! Questo è il limite della scienza medica applicabile a
qualsivoglia malattia tumorale.
Non
per questo è legittimo dedurre che tale (logica) incertezza biomedica
si possa tradurre in incertezza sul nesso di causa: mai la Cassazione ha
sostenuto che nei processi per patologie tumorali (la cui evoluzione
interna all’organismo umano non è evidentemente registrabile con nessuno
strumento), che formavano oggetto di imputazioni per omicidi colposi,
vi fosse stata la violazione della regola di diritto della condanna oltre ogni ragionevole dubbio. Ragionando
in altro modo, lo si ripete, si arriverebbe alla conseguenza,
evidentemente non accettabile, di non poter più celebrare processi per
omicidi colposi consistiti in malattie professionali neoplastiche
incurabili ed infauste, frutto di comportamenti (soggettivamente e
oggettivamente) colposi posti in essere dai diversi datori di lavoro,
che, nel tempo, si sono succeduti nelle diverse posizioni di garanzia
all’interno di una determinata realtà industriale.
Appare pertanto condivisibile l’orientamento di legittimità secondo il quale è impossibile
la conoscenza di tutti gli antecedenti sinergicamente inseriti nella
catena causale e di tutte le leggi pertinenti (…) poiché il Giudice non
può conoscere tutte le fasi intermedie attraverso le quali la causa
produce il suo effetto, né procedere ad una spiegazione fondata su una
serie continua di eventi (cfr. sent. Franzese, Cass. Sezioni Unite, n. 30328/2002) e
dunque potrà ritenersi provata l’esistenza di un nesso causale tra
condotta umana, commissiva e anche omissiva, ed un evento quando sia ragionevolmente da escludere l’intervento di un diverso ed alternativo nesso causale.
La
mia impressione è che si stia facendo in modo di realizzare una “rete
di protezione giuridica” per le imprese, per facilitare la loro
assoluzione nelle cause per malattie professionali, impedendo anche il
riconoscimento economico del danno. Forse le mie sono
semplici illazioni, ma non sarebbe il caso di costruire delle Class
Action, soprattutto per quanto riguarda le grandi imprese? In fondo, come
lei ha ricordato nel suo intervento nel convegno: ”[. . . ] più la
persona rimaneva esposta più si ammalava dopo […], più sei esposto
all’amianto e più ti fa bene perché ti ammali dopo. ” Qual è il suo
pensiero in merito
Molte
delle ultime sentenze assolutorie intervenute su questo specifico tema
hanno, lo ripeto, confuso il piano della causalità individuale (nesso di
causa sulla singola persona offesa del processo) con quello della
causalità generale (nesso di causa verificabile su una determinata
coorte di soggetti studiata dagli epidemiologi che hanno poi elaborato
una vera e propria legge scientifica di copertura), addivenendo anche ad
una indebita commistione fra piano biomedico e piano causale. L’esempio
classico riportato in queste pronunce è proprio quello da Lei
ricordato: in maniera non corretta si prende in esame solo l’inizio
dell’attività della singola persona offesa e il momento dell’insorgenza
della patologia per provare il contrario di quello che afferma la
comunità scientifica, ovvero che a maggiore esposizione corrisponderebbe
una latenza più lunga. Questi calcoli e queste verifiche non sono
attendibili perché non considerano il fattore dose (concentrazione
di fibre di amianto) e la mansione effettivamente espletata dal
lavoratore. Potremo quindi avere una persona esposta, per un tempo
breve, ad una concentrazione elevatissima di fibre di amianto che si
ammala in un tempo minore (latenza più corta) rispetto ad un soggetto
che pur essendo stato esposto per un periodo più lungo, è stato
sottoposto ad una concentrazione di asbesto inferiore, proprio perché
svolgeva mansioni differenti dalla prima. E’ quindi chiaro che il
fattore dose gioca un ruolo altrettanto importante, così come il tempo. Ma
se nel calcolo non si tiene in considerazione la concentrazione di
fibre/polveri di amianto cui il lavoratore è stato esposto (dose) si avranno dei risultati inficiati ab origine, in
quanto non ha alcun senso, perché non esprime una regola
scientificamente validata, parlare solo del tempo in funzione
dell’esordio della malattia.
L’idea
di una Class Action è certamente percorribile, ma in sede civile e
comunque non sposterebbe l’asse del problema della responsabilità penale
dei singoli imputati che è e resta una responsabilità personale.
Credo
a questo punto che l’unico passo percorribile alla luce di queste
sentenze possa essere il ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo per violazione dei diritti inviolabili dell’Uomo e della
Donna, quali quelli alla vita ed alla salute (art. 2 Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo), nonché per violazione della regola dell’equo
processo (art. 6 Convenzione cit. ), secondo la quale non può essere
richiesta ad una sola parte, nel rispetto del principio del
contraddittorio, una prova impossibile da fornire in quanto inesistente
sul piano scientifico, biologico e giuridico.
Convengo
con lei avvocatessa. Una Class Action è sicuramente importante, è
certamente percorribile ma non inciderebbe e non sposta il punto focale,
come lei ha affermato, della responsabilità penale di ogni imputato,
che per l’appunto è di ognuno di loro, è personale. Sono perfettamente
convinto che vada fatto un ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, la European Convention in Human Right. Tengo a precisare che
questa Corte Internazionale, alla quale aderiscono i membri del
Consiglio d’Europa, fu istituita nel 1959 non è affatto una istituzione
che fa parte dell’Unione Europea. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
ha sede in Francia, a Strasburgo, esattamente nel Palazzo dei Diritti
dell’Uomo. L’Unione Europea la Corte di Giustizia (CGUE) ha sede nel
Lussemburgo, esattamente nel Palais de la Cour de Justice a Lussemburgo.
La ringrazio molto.
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