Nuovi crimini di guerra e contro l’umanità, una nuova aggressione in palese violazione dell’art. 2 comma 4 della Carta delle Nazioni Unite che afferma chiaramente quanto segue: “4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. Erdogan ha scelto la carta dell’aggressione militare aperta dopo aver violato anche gli accordi presi ad Astan con Russia, Siria ed Iran per eliminare i gruppi jihadisti di Al Nusra dalla zona di Idlib.
Il nuovo attacco turco costituisce un uso della forza vietato dal diritto internazionale che è diretto contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica della Siria, di cui i curdi fanno parte integrante, come hanno ripetutamente affermato. Come dichiarato dalla comandante delle milizie femminili curde YPJ, l’attacco di Erdogan è contro tutto il popolo siriano.
Erdogan attenta alla democrazia, alla vita e all’autodeterminazione dei curdi e delle altre etnie presenti nel Nord della Siria, le quali, dando vita ad un autogoverno democratico basato sul principio della pari rappresentanza dei generi e della coesistenza e della cooperazione fra tutti i popoli della Siria e del Medio Oriente, vanno oggi controcorrente rispetto a una realtà triste ed abominevole che potenti grandi e piccoli vorrebbero sempre più informata dai principi della violenza brutale, della sopraffazione e della soppressione di ogni voce alternativa a quelle dominanti.

Ma i curdi e gli altri popoli che compongono il mosaico multietnico della Rojava non sono deboli. Sconfiggendo l’Isis hanno dimostrato come la lotta del popolo, mediante le sue avanguardie armate e organizzate, è più forte di ogni complotto. Essere a fianco dei curdi in modo militante è oggi vitale per chiunque non si rassegni a un futuro di guerra e di oppressione, non solo in Siria, non solo in Medio Oriente. I curdi e gli altri popoli organizzati democraticamente insieme a loro fanno paura ai profeti della purezza etnica e ai promotori del tradizionale ordine gerarchico, basato che sia sul patriarcato, sull’ordine neoliberista delle multinazionali, o su regimi di tipo fascista come quello di Erdogan.
Quest’ultimo ha dimostrato ancora una volta la sua strutturale incapacità di dialogare e fare politica e sa solo usare le armi potenti ottenute grazie alla Nato e agli Stati Uniti per uccidere, così come sta reprimendo selvaggiamente ogni voce democratica in Turchia, con l’arresto di centinaia di avvocati, di magistrati, di docenti universitari, di giornalisti, di sindacalisti. Erdogan si fa forte dell’appoggio dell’Occidente che al di là di qualche chiacchiericcio di circostanza è schierato nella sostanza a sostegno del suo regime che anzi utilizza per controllare gli esodi di migranti e rifugiati. Dopo aver per anni foraggiato l’Isis (creatura anche questa dell’Occidente, compreso Israele, come confermato anche dalle rivelazioni di Snowden), Erdogan tenta di mettere in piedi nuovi eserciti di mercenari per reprimere le aspirazioni dei popoli della zona, a cominciare dallo stesso popolo turco.
Il mondo non può restare indifferente di fronte a tanti crimini. Il 15 e 16 marzo a Parigi si svolgerà una sessione del tribunale internazionale permanente creato per indagare e giudicare le numerose violazioni del diritto internazionale di cui il governo di Erdogan si è reso colpevole nei confronti dei curdi e che continuano ancora in questi giorni con l’attacco ad Afrin e gli altri che probabilmente seguiranno. Sarà un’occasione per mettere ancora una volta la comunità internazionale di fronte alle sue responsabilità, finora sempre disattese.
Che fa il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite? Che fa l’Unione europea? Che fanno Russia e Cina? Perché il governo siriano non difende il territorio del Paese dall’aggressione turca? La causa internazionale della pace, sempre più in pericolo nel mondo a causa delle politiche dissennate di Trump e di governi come quello turco, impone una presa di posizione immediata e non reticente per mettere fine ai massacri e dare finalmente la possibilità ai popoli, primo fra tutti quello curdo da sempre perseguitato ed oppresso, di costruire il proprio futuro sulla base dell’autogoverno democratico che può e deve fiorire nell’ambito delle frontiere internazionalmente riconosciute, non per creare nuovi muri e nuovi conflitti ma per dare vita a coesistenza e cooperazione basate sul mutuo rispetto.