Cento economisti, tra cui Thomas Piketty, hanno elaborato un rapporto sulle disuguaglianze: quanto sono forti, in quali paesi e gruppi di paesi. Medio Oriente, India e Brasile in vetta. L’Europa è ancora l’area meno diseguale, ma anche qui il trend è in aumento.
Dal 1980, anno di nascita dei millennials, in avanti, fino ai nostri giorni è aumentato del 2% il reddito complessivo del 50 per cento meno ricco dell’umanità, passando dall’8 al 10% del reddito complessivo. Qualcuno loderà questo barlume di giustizia sociale finalmente ottenuto; nello stesso periodo, però vi è stato un aumento doppio per la gente più ricca; dal 16 al 20%; una vera sperequazione, che diventa madornale quando si nota che una tale percentuale sul reddito mondiale è ottenuto dall’1% soltanto della popolazione mondiale. Per dirla altrimenti: metà del genere umano (3,7 miliardi di viventi) si fa bastare il 10% dei redditi, dopo cinquanta e passa anni di “progresso”; contemporaneamente l’1%, cioè 75 milioni di persone – quante vivono in Italia e in Svizzera, tanto per farsi un’idea – ha un reddito doppio della metà mondiale prima citata, una crescita a velocità doppia, e un reddito individuale (2016) pari a 100 volte quello medio di una persona della classe dei meno privilegiati o per dirla in una parola: plebei.
Come è ovvio, c’è differenza da paese a paese, anche se si guarda a paesi della stessa fascia. A fare la differenza sono le leggi, l’assetto sociale e il tipo di governo: insomma, la democrazia.
In Europa l’1% dal maggiore reddito prima citato ha il 37% del reddito totale. Sembra moltissimo, ma in Cina la parte dei privilegiati è del 41%. In poche parole, madamina, il catalogo è questo:
in Russia si arriva al 46%, negli Usa-Canada si sale al 47, nell’Africa subsahariana al 54, in Brasile e in India al 55 e infine in Medio Oriente al 61%.
Noiose queste cifre? Uno dei principali giornali d’Europa, il francese Le Monde, ne ha fatto l’apertura venerdì 15 dicembre. “Disuguaglianze: inchiesta su una calamità mondiale”. Sotto il grande titolo, gli otto paesi e gruppi di paesi citati erano rappresentati da altrettante barre colorate: tutto il mondo, a colori. All’interno due pagine di resoconto “Le disuguaglianze esplodono, l’instabilità politica è una minaccia”, arricchite da grafici.
Un forte gruppo di economisti di molte decine di famose università e di non meno variate etnie, guidati-ispirati da Thomas Piketty, hanno cercato di dare un senso al corso dell’economia mondiale. Il giornale francese racconta tutto questo. Il risultato è un rapporto di centinaia di pagine (WID.world) condensato in un sommario che contiene e propone 11 grafici che forse non rappresentano l’economia mondiale, ma offrono certo materiali su cui riflettere e sono altrettanti suggerimenti per indirizzare studi e ricerche negli anni avvenire. Gli economisti spiegano il loro modo di lavorare, le difficoltà di interpretare dati statistici inesistenti, o tenuti segreti da poteri arcani e dalle loro imperscrutabili burocrazie. Hanno avuto molte difficoltà nell’elaborare dati mancanti, segreti o inesistenti, ma hanno fatto del loro meglio con un encomiabile spirito di ricerca. Insistono sul loro intento di non voler convincere nessuno, ma di voler offrire a tutti uno strumento d’interpretazione dello stato del mondo e della sua trasformazione in atto.
Offrire a tutti è un concetto eccessivo. Non sembra che – tanto per fare un esempio – in Italia la ricerca abbia fatto scalpore. In campagna elettorale non si sa mai. Difficile capire come mai sia stato trascurato il resoconto francese carico di tanti spunti utilizzabili nella polemica della campagna elettorale. Su cosa discutere di ricchezze, redditi, tasse, pensioni, formazione, migranti, trascurando alcuni elementi di confronto, una visione di dove si sta andando a finire. Se sia bene o male, ribadiscono cento economisti del WID.world, non chiedetelo a noi.
Queste sono alcune battute dell’intervista a Chancel e Piketty (Le Monde, 14 dicembre 2017)
“Gli autori del “Rapporto sulle diseguaglianze mondiali 2018” Lucas Canchel e Thomas Piketty, economisti della scuola di economia di Parigi spiegano a una sola voce la loro iniziativa.
Thomas Piketty, la pubblicazione del suo libro “Il capitale al XXI secolo” edizione le Seuil, nel 2013 (Bompiani, 2013), ha reso più facili le vostre ricerche?
Uno dei limiti di quel libro era di puntare molto sui paesi occidentali. Il suo successo ha permesso di forzare l’accesso a dati fiscali che i governi non volevano rendere pubblici, tanto in Brasile, quanto in Corea del Sud, in Sudafrica e perfino in Cina in un certo modo. Adesso la nostra cartografia delle curve di diseguaglianza mondiale non copre più soltanto i paesi sviluppati, ma anche un certo numero di emergenti.
Tutto considerato, vi è un modello ottimale di eguaglianza?
Se esiste, non lo sappiamo e non è compito di noi ricercatori il definirlo. Di fatto, in certi paesi si raggiungono livelli estremi di diseguaglianze. Negli anni 1950-1980, in Europa e negli Stati Uniti si poteva vedere di certo un buon compromesso. Non c’è niente che provi come quel modello non consentisse la crescita. Ancora una volta: la crescita delle diseguaglianze non è indispensabile alla crescita.” (Intervista a cura di Elise Barthet, M.D.V. e P. ES.)
Contenuto dei grafici visibili qui
http://wir2018.wid.world/files/download/wir2018-summary-english.pdf
Le cifre percentuali sono solo indicative perché rilevate dalle curve.
E1/ Parte del reddito totale del 10% più ricco della popolazione nel 2016
E2a/ Variazione del reddito del 10% più ricco tra 1980 e 2016
E2b/ Caso particolare, a partire dal 1990, per Medio Oriente (dal 67% al 60%), Brasile (dal 58% al 56%), Africa (dal 55% al 56%).
E3/ Confronto tra patrizi (1%) e plebei (50%) in Usa tra 1980 e 2016. La curva dei primi passa dal 20,4% al 13,5%, mentre la curva dei secondi passa da 10,4% a 20,1% Le due curve si incrociano nel 1996, ai tempi di Clinton.
E4/ Confronto analogo in Europa. Per l’1% si passa dal 10 al 12%; per il 50% meno favorito dal 23,6 al 22%.
E5/ La “curva dell’elefante” registra tra 1980 e 2016 la crescita dall’8 al 10% del 50% della popolazione titolare dei redditi più bassi e quella da 16 a 20% del solito 1% più privilegiato. In centro l’avvallamento dei ceti medi.
E6/ Registra il confronto tra capitale pubblico e privato in 6 paesi tra 1970 e 2015. Quest’ultimo passa da 400% a 650 in Spagna, da 290% a 620 nel Regno unito, da 300% a 600 in Giappone, da 300% a 500 in Francia, da 320 a 500 in Usa, da 220 a 400 in Germania. Il capitale pubblico, al contrario, declina in ogni paese citato. In origine del periodo si pone in ogni paese tra 50 e 100%, per scendere a fine periodo a valori che variano da + 20% a – 20%.
E7/ Il declino del capitale pubblico è registrato tra l’anno 1978 e il 2016. La Cina passa da 70% a 40%. La Francia da 20 a 3%. La Germania da 28 a 3%. Il Giappone da 20 a 3%. Il Regno Unito da 27 a -3%. Gli Usa da 16 a -3%.
E8/ In un secolo – 1913-2015 – come varia la ricchezza dei più ricchi (non si tratta più del reddito ma della proprietà)? Nel Regno Unito si passa dal 67% di tutta la ricchezza nazionale in mano all’1% della popolazione, al 20%. Una storia raccontata da un secolo di romanzi inglesi. In Francia, negli stessi anni, si passa dal 55% al 22. In Usa dal 46% al 38. Per altri due paesi significativi il conteggio inizia verso fine secolo, nel 1995. L’andamento è capovolto, rispetto a quello dei paesi a più antico capitalismo. In Russia la ricchezza privata cresce dal 24% al 44%. In Cina dal 27 al 30%.
E9/ E al di sopra dei più ricchi? Osservando, con i limiti indicati, l’andamento mondiale si può notare che l’1% della popolazione passa dal 27 al 33% della ricchezza complessiva tra 1980 e 2016, come si era già visto, per poi crescere nella previsione al 39% nel felice anno 2050. Il 40% della popolazione, intesa come classe media, tra 1980 e 2016 pur oscillando, non registra variazioni sensibili, tanto da mantenere il 28% iniziale. Si può però osservare quel che avviene per le altissime ricchezze dello 0,1% della popolazione mondiale. E qui con soddisfazione qualcuno noterà che vi è un incremento sensibile, dal 9% del 1980 al 15% del 2016 e una previsione che porta al 25% del 2050. E se si stringe ancora l’ottica? Se si guarda allo 0,01 della popolazione mondiale? Ai capitali più eccelsi? Qui si passa dal 3% del 1980, al 9 del 2016 per finire al prevedibile 17 del 2050. E dove nasconderanno le proprie ricchezze, il 17% che gli è attribuito, i 7.500 ultra superricchi, Bezos, Buffett, & Co. se verso il 2050 il clima si farà davvero caldo?
E10/ Riprendiamo i dati dell’1% che detiene il 16% del reddito mondiale nel 1980 e arriva al 20% nel 2016. Cosa avverrà dopo? Se le cose andranno all’americana, l’1% si troverà nel 2050 con il 28%. Se ciascuno crescerà in modo “naturale” l’insieme della tribù disporrà del 24% del reddito mondiale; se invece si seguiranno i dettami dell’Europa, vi sarà un lieve calo tanto da arrivare dal 20% al 19. Seguendo invece i redditi del 50% più povero, previsto che esso passerà dall’8 al 10% negli anni considerati, anche questi redditi avranno tre curve possibili. Attuando politiche europee arriveranno al 13%; percorrendo la strada segnata perderanno un punto soltanto, fino al 9%. Se poi seguiranno le strade americane, allora perderanno terreno, fino al 6%.
E11/ Il reddito medio di un adulto nel 1980 era di 1.600 € all’anno. Sono diventati 3.100 nel 2016. E adesso, pover’uomo? Di nuovo si presentano tre curve. Quella europea li porterebbe a un reddito di 9.100 € all’anno (per adulto: pari a 758 al mese e 25 al giorno). Quella centrale, adeguata alla situazione presente arriverebbe a 6.300 €; e infine la curva americana toccherebbe 4.500 € soltanto. (Cosa conviene votare a un italiano che deve votare?)
(Articolo pubblicato da Eguaglianza e libertà)
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