Fabio Manenti Giornalista e Comunicatore
Non c’è tempo né educazione alla curiosità, così un laureato su quattro non legge secondo il rapporto 2017 dell’Associazione italiana editori.
Nella corsa verso il master che rallenta il traguardo dell’indipendenza adulta, l’università è ridotta a colossale distributore di titoli: inserisci il denaro, ritira la pergamena. Con una bella cornice in salotto è l’orgoglio di mamma e papà: l’hanno sudata anche loro. Atenei “laureifici”. “Manca il collegamento tra Università e Lavoro”. Non è vero: manca il collegamento tra Università e pianeta Terra. In aula e nei corridoi non si dibatte, non si studia, non si legge, non si insegna l’attualità in cui si è immersi.
Solo corsi lampo, sessioni a raffica, test a crocette sempre uguali: più che centri di cultura, gli atenei sono centri di calcolo con i ricercatori preoccupati dal contare le speranze di rinnovo, gli studenti i cfu, le famiglie i voti. È tutta una media ponderata per arrivare al jackpot: 110, meglio se con lode. A volte meritato, troppe altre gelido e raggelante. Un 110 ha incoronato d’alloro S., fresca di seconda laurea in economia e freschissima della scoperta che in Italia, tra poco, si voterà. No, non gliel’avevano detto. “Da quando non c’è più Berlusconi non seguo molto la politica”. Qualcuno la avvisi che Berlusconi c’è, di nuovo. Altri 110 sono pretesi da L. e B., che rifiutano esami inferiori al 28: “Eugenio Scalfari? L’ho sentito, però ora non mi viene chi sia…”. Ora è durante un appello di giornalismo. La domanda “qual è il principale quotidiano del Gruppo L’Espresso?” è buco nero nelle loro carriere accademiche costellate di lodi. Carriere, sia chiaro, che germogliano in scuole senza radici di grammatica, geografia e di tutto ciò che non può essere ripetuto a pappardella.
Prima che di merito, di talento, di competenze, una laurea è questione di soldi e di pazienza: mese più, mese meno, ci arrivano tutti. Un titolo “obbligatorio” che nuoce al paziente del futuro medico, al cliente del prossimo ingegnere, ma soprattutto danneggia già oggi loro, i giovani. Fa male a chi ha imboccato l’università controvoglia e contromano, trainato da genitori-rimorchio e dal “ci vanno tutti”: perderà tempo, entusiasmo, orientamento.
Fa male a chi meriterebbe davvero di essere lodato per quella laurea con cui si immetterà nel traffico del lavoro. Ingolfato da curricula monovolume tutti uguali, farà molta più fatica a destreggiarsi di quanta ne faceva in aula: lì, alzando un braccio, poteva dimostrare chi era; qui, anche alzandone due e sbracciandosi, sarà solo un altro che tenta di non affogare.
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