domenica 28 gennaio 2018

E le mafie sbarcano sui social.

enzo-ciconteA Ostia, durante la campagna  elettorale per il rinnovo del Municipio sciolto per infiltrazioni mafiose, anche gli Spada hanno sentito il bisogno di dare un’indicazione di voto scegliendo di votare per Casapound.
Che ci sia un’indicazione di voto da parte degli Spada non è una novità, né è una novità il fatto che ci siano stati in passato rapporti tra costoro e Casapound. Il fatto nuovo è lo strumento usato per dare indicazioni: un post sulla pagina facebook.

 
 
repubblica.it Enzo Ciconte
E che, sempre su facebook, Roberto Spada abbia sentito il bisogno di esprimere la propria opinione dopo la famosa testata data al giornalista che era andato ad intervistarlo. La novità è che sempre di più le nuove generazioni usano i mezzi di comunicazione figli del loro tempo; non stupisce, allora, l’uso frequente di facebook, di WhatsApp, dei social network da parte dei figli o dei parenti più stretti dei mafiosi che li usano per comunicare, per trasmettere i loro messaggi, per controllare.
La presenza su facebook è molto diffusa. Stiamo entrando in un universo complesso e decisamente all’avanguardia che fa a pugni con l’immagine che di solito si ha delle mafie considerate come arretrate, vecchie, immobilizzate nel rispetto di regole antiche, sofisticate e fuori dalla modernità; è un’immagine che non regge il confronto con la realtà.

Apparentemente c’è una contraddizione tra i mezzi usati per dire la propria opinione che sono decisamente nuovi e i messaggi veicolati che al contrario ricalcano quelli antichi. A Torino, ad esempio, hanno profili Facebook figli di ‘ndranghetisti che ricordano i padri in galera con espressioni d’amore filiale che nulla lasciano alla fantasia: “Onore ai carcerati, peste agli infami”.
Se andiamo in Calabria ci imbattiamo nel caso di uno di Lamezia Terme, condannato con sentenza di primo grado a trent'anni di carcere. Trent' anni sono tanti, avrebbe schiantato chiunque, ma non lui; o, almeno, lui non lo dimostra e lo comunica a tutti con un post la sera stessa della condanna recandosi in un ristorante cittadino e cenando a base di pesce; tutto registrato e immortalato in un selfie. Lui ha gestito una pagina, “Onore è dignità”, che è molto seguita: conta 18.781 mi piace e 18.682 seguaci, cioè persone che vengono avvisate ogni volta che verrà postato qualcosa. Sono numeri impressionanti che mostrano legami, seppure virtuali, e molti contatti.
Mentre si aprono falle importanti nel consenso tradizionale – i funerali che si fanno all’alba senza il concorso delle folle oceaniche d’un tempo, i politici che non si fanno più vedere a matrimoni e battesimi, i sacerdoti che cercano di impedire gli inchini o che i mafiosi portino le statue dei santi – si cercano vie nuove per acquisire consensi perché i mafiosi sanno che hanno bisogno di avere il consenso più ampio possibile.
I messaggi sono elementari, persino banali, ma servono a tenere in vita rapporti, a emettere giudizi, a ricordare che la mafia non esiste, che i carcerati sono tutte vittime innocenti perseguitate dagli sbirri.
In Emilia-Romagna predomina in qualcuno il tema del carcere: “La galera è il riposo di un leone”. E poi “un abbraccio forte a tutti quelli che hanno a che fare con il carcere”, in particolare “a voi alle vostre famiglie ai fratelli e sorelle ristretti a chi è agli arresti… in semilibertà ed in sorveglianza speciale”.
Il piatto forte è il link a O’sistema dove davvero si ha solo l’imbarazzo della scelta: “La galera è come la vita è dura ma non fa più paura”, “Chi semina repressione raccoglie vendetta… con rabbia coltiviamo il nostro odio antico poliziotto primo nemico”, “I pentiti sono senza onore”, per finire: “Totò Riina è un perseguitato”. È tutto pubblico, scritto senza alcuna cautela.
L’uso di questi mezzi è una novità sconvolgente perché vuol dire che ci si sta impadronendo d’uno strumento della quotidianità e del futuro, capace di mettere in comunicazione in tempo reale un numero infinito di persone, di raggiungerle ovunque e senza alcun costo.
È una nuova frontiera che si apre e segna un diverso tipo di rapporti che sono diretti e non sono mediati da alcuno. Vi ricordate le tre scimmiette: io non vedo, io non parlo, io non sento che in molti identificavano con l’omertà mafiosa? Bene non esistono più. Adesso anche i mafiosi parlano; di più: fanno riunioni virtuali molto diverse da quelle d’un tempo.
A quelle del passato, per partecipare occorreva aver fatto il battesimo mafioso ed essere stati formalmente invitati, a quelle di oggi può partecipare chiunque. Tutti possono sapere – anzi devono sapere – cosa pensa il figlio del mafioso. E se qualcuno mette un mi piace e la volta dopo non lo fa, può arrivargli dal mafioso la domanda: perché non hai messo mi piace? È una domanda apparentemente innocente, in realtà è un modo per dire: ti seguo e so cosa fai, so quante volte metti mi piace. È un controllo sulle persone, che può essere asfissiante perché non puoi più sfuggire dopo aver messo per la prima volta quel mi piace.

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