La prima sortita internazionale della lista Potere al Popolo è subito
molto impegnativa. Niente partitini dello zerovirgola, nessuna ricerca
di per “quelli proprio come noi”, ma subito il contatto con uno dei
movimenti che stanno stravolgendo il quadro politico europeo.
Ci vediamo di mattina presto – per le abitudini parigine, bene o male spostate di un’ora rispetto all’Italia (stessa ora legale, ma qualche meridiano di differenza) – per mettere a punto come presentarci davanti a Jean-Luc Mélenchon, frontman di France Insoumise, 19,6% alle presidenziali dello scorso anno, quarta forza di Francia. I giornali locali ci aggiornano però subito sul cambiamento di posizione. Si è votato domenica per sostituire due parlamentari all’Assemblee Nationale e la formazione di Mélenchon ha scavalcato nettamente la destra di Marine Le Pen, in aperta crisi. En Marche di Macron è lì a un passo, così come i gaullisti. Scomparsi i socialisti di Benoit Hamon, ridotti al 2%, praticamente evaporati dopo il settennato di François Hollande, in cui il neoliberismo ha sostituito il tradizionale modo di fare socialdemocratico (non a caso Emmanuel Macron ne era stato ministro dell’economia per tre anni).
Neanche il tempo di elaborare una scaletta mentale ed ecco che parte il tourbillon delle intervista ai media francesi (LeMedia, L’Humanité, Mediapart…). Parla solo Viola Carofalo, naturalmente, e se la cava alla grande anche senza interprete. E’ qui nonostante avesse impegni lavorativi a Napoli, e – da precari – prendersi un giorno per una cosa importantissima può esser ritenuto “peccato grave”.
In un attimo è l’ora di pranzo, i tavolini della lussosissima Brasserie Le Bourbon si affollano di parlamentari e portaborse e siamo costretti a fuggire altrove. Quei prezzi non fanno per noi. Altrove si parlerebbe di gentrificazione…
Ci raggiungono una decina di italiani a Parigi, quasi tutti studenti Erasmus, che poi in serata rivedremo per un’affollatissima assembla alla Maison des Association, a Montreuil, nella benaugurante avenue de la Résistance. Un toast di corsa – per risparmiare tempo e denaro – e siamo alla porta della severissima Assemblee Nationale, presidiata da guardie armate ovunque e sistemi di sicurezza stile aeroporto non-Schengen.
Mélenchon ci accoglie nei suoi uffici al piano terra, tra una squadra di collaboratori giovanissimi, come vecchi compagni di lotta, parla a lungo, incuriosito da questa bizzarra delegazione di “italiani che ci provano”.
Si comincia con Bénédicte che fa da interprete, ma quasi subito rinunciamo e prendiamo a discutere in francese, con poche pause di traduzione intorno ai temi su cui è necessario evitare qualsiasi fraintendimento.
Ci spiega come è nata France Insoummise, dello sforzo inaudito per non farla raccontare come “una federazione dei gruppuscoli di sinistra” (è diventata una parolaccia impopolare anche oltralpe), delle ostilità di tanti partitini incapaci di uscire dalle formulazioni astratte e calarsi nel blocco sociale (il “popolo” ha molte determinazioni, ovviamente) per organizzare resistenza e dare battaglia.
Ci si confronta sulle diversità della molla che ha fatto mettere in moto i due movimenti, per scoprire invece molte similitudini. France Insoumise si fonda soprattutto sui “gruppi di azione” locale; in pratica, qualunque gruppo voglia promuovere azione politica localmente può farlo se il tema che agita, e il modo di collegarlo alla politica generale del movimento, corrisponde a quanto scritto nel programma. Potere al Popolo ha invece dovuto animare oltre 150 assemblee locali, fisiche, per suscitare l’entusiasmo contagioso in figure completamente nuove alla politica e rianimare gruppi di attivisti spesso rassegnati a ripetere stancamente il già noto. Ma non si tratta di differenza “ideologiche”. Corrispondono invece alle modalità della partecipazione politica in due paesi simili, ma molto diversi (per dirne solo una: gli italiani sono molto diffidenti – e a ragion veduta – verso lo Stato, mentre i francesi vi si affidano fin troppo fideisticamente).
Il punto saliente arriva ovviamente quando si prende a parlare del rapporto che i nostri movimenti intendono mantenere con l’Unione Europea. Lo si capiva da cento commenti che inframezzavano la chiacchierata, ma l’opposizione dura alla Ue e alla Troika vengono esplicitate a partire dall’impossibilità – per tutti i paesi, persino per l’orgogliosa Francia – di mettere in atto una qualsiasi politica di difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle classi popolari. “L’Europa vuole questo”, “L’Europa impone dei vincoli, “l’Europa è fatta di trattati che vanno rispettati”….
In realtà l’Europa non vuole nulla. E’ in fondo un continente, abitato da diversi popoli, con tradizioni e livelli di sviluppo molto differenti. E’ invece l’Unione Europea a “volere” e decidere, perché è un sistema tecnico-amministrativo – un “quasi Stato”, che controlla le leve del comando su una serie di materie in continuo aumento. Non sarebbe un problema così devastante se le decisioni che ci vengono presentate come “obiettive”, “necessarie”, “per il nostro benessere”, non fossero invece ispirate dagli interessi dominanti (“i mercati”, “le banche”, gli Stati più forti – la Germania, essenzialmente, con la Francia a qualche lunghezza di distanza).
Nel programma di France Insoumise il rapporto con l’Unione Europea viene ridefinito con un Plan A (messa in discussione di quasi tutti i trattati), anche sapendo che è praticamente impossibile modificare anche solo un trattato se c’è un paese contrario (le “regole europee” prevedono l’unanimità; ma tutti sanno che Germania, Olanda, ecc, non rinunceranno mai alla posizione di vantaggio acquisita).
La discussione viaggia insomma intorno al Plan B: rottura unilaterale o concertata tra diversi paesi rispetto alla “cordata tedesca”.
Il tema, a noi di Eurostop, sta molto a cuore, naturalmente. E dunque spieghiamo la condizione infame del dibattito italiano, in cui destra, governo e “sinistra” cercano di presentare la necessità della rottura come un atteggiamento “sovranista”, “nazionalista”, ecc. Al contrario, spieghiamo che secondo noi sarebbe di vitale importanza cominciare a ragionare e agire come “alleanza europea” dei movimenti popolari contro l’Unione Europea e i suoi tecnoburocrati. In fondo, diciamo, Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ma anche la Tunisia, presentano problemi e potenzialità comuni.
Mélenchon prende al balzo l’idea e rilancia: “bisogna lavorare a un Forum da fare prima delle elezioni europee – giugno 2019 – coinvolgendo tutti i paesi possibili, anche Algeria e Marocco”. Dimostrare fisicamente, insomma, che il Plan B o “la rottura” costituiscono una prospettiva internazionalista e anticapitalista, che unisce i popoli d’Europa e del Mediterraneo contro l’Unione Europea della finanza e delle multinazionali.
Si continua. C’è la possibilità che Mélenchon scenda in Italia prima del 4 marzo, per far vedere subito come questa alleanza comincia a cambiare il quadro consolidato. Mélenchon spiega di voler andare a Napoli, non solo per la straordinaria partita iniziata dai compagni di Je so’ Pazzo (vuol vedere come funzionano le tante attività sociali che gli sono state descritte), ma per la particolarità politica attuale di una città che ai francesi è sempre apparsa come la “gemella di Marsiglia”.
Si finisce con le raccomandazioni del vecchio leone: “difendete Lula e la democrazia brasiliana da queste accuse vergognose, noi uin Francia siamo gli unici a farlo” (è appena stato condannato in appello nel tentativo di bloccarne la rielezione a presidente, con i sondaggi che danno a lui la maggioranza assoluta e il golpista Temer al 7%). “E fate lo stesso con il Venezuela bolivariano, attaccato dai terroristi!”.
Gli diciamo che su questo sfonda una porta aperta, raccontando di iniziative, articoli, colloqui diretti.
E’ un inizio, certamente. Ma con grandi potenzialità.
Un tentativo che non può piacere all’establishment italiano, lo sappiamo e lo verifichiamo subito. Una troupe della Rai era entrata insieme a noi, fin nell’ufficio di Mélenchon. Ha fatto riprese, la giornalista Iman Sabbah ha fatto qualche domanda, chiedendo la classica “battuta” da inserire in un tg (lavora per RaiNews24, in particolare).
Ma nessuno, finora, ha potuto godersi il servizio. Si vede che il direttore (Antonio Di Bella) o chi per lui ha deciso che è meglio non parlare di Potere al Popolo. Soprattutto se in Europa viene preso sul serio…
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