Tempo fa presi spunto da un libro di Sergio Rizzo in tema della mediocrità per riflettere sui concetti di competenza e merito.
Renzo Rosso Docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano
Secondo Confucio “la mente dell’uomo superiore ha familiarità con la giustizia; la mente dell’uomo mediocre ha familiarità con il guadagno”. Non c’è quindi da stupirsi se il neoliberismo – e la religione unificante del denaro – esaltino il merito e, soprattutto, si prodighino con puntiglio alla sua concreta gestione, santificata dal concetto di eccellenza. E, come già osservò lo stesso Stuart Mill, si valutano talvolta come eccellenti le persone che non fanno assolutamente altro che copiarsi a vicenda.
Il progressivo e ossessivo sforzo per valorizzare il merito produce effetti del tutto contrari a quanto auspicabile: conformismo, gerarchie, burocratizzazione. E il principio di Peter, formulato nel 1969 dallo psicologo canadese assieme all’umorista Raymond Hull, afferma che “in una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”. Perché ciò accada non è necessario che qualcuno sia particolarmente inadeguato: le burocrazie tendono semplicemente a essere peggiori della somma delle loro parti.
In una intervista rilasciata tempo fa, il maggior divulgatore scientifico italiano, Piero Angela, sosteneva che “il problema dell’Italia è un problema morale, che non si può risolvere in cinque minuti. Ogni giorno leggiamo di casi di corruzione. Non sono solo politici, palazzinari, delinquenti: sono anche avvocati, giudici, uomini della guardia di finanza, dipendenti pubblici che truffano lo stato per cui lavorano. Non ci sono punizioni per chi sbaglia. E non ci sono premi per chi merita. Un Paese così non può funzionare. È un Paese morto”.
Come Angela, molti intellettuali implorano una maggiore meritocrazia, a cuore aperto e con buoni argomenti e in vista di obiettivi onesti, del tutto condivisibili. Ma spesso sfugge a costoro l’ingiustizia che il sistema meritocratico può generare nella società, proprio per le difficoltà di applicarlo in modo giusto e partecipato. E tenda a penalizzare l’eterodossia, una componente necessaria dell’ecologia sociale. Più modestamente, a molti cittadini onesti e laboriosi piacerebbe non tanto essere premiati, ma semplicemente non essere puniti dal modello di premi e sanzioni che viene adottato e, di volta in volta, adattato alle circostanze. E a molti sfugge come, almeno in campo scientifico, la valutazione meritocratica, canonizzata dalla primazia del mercato, sia geneticamente in debito con la sponda opposta. Nel 1981, Victor Yanovsky, scienziato sovietico assai allineato al regime, scrisse: “La scientometria […] è di grande importanza per i Paesi socialisti dove le istituzioni scientifiche sono guidate e finanziate dallo stato”.
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