contropiano
Quattro morti sul lavoro in un solo incidente sono un’enormità.
È
il risultato di un infortunio avvenuto a Milano in una fabbrica – la
Lamina – del quartiere di Greco, della periferia Nord. Al di là delle
cause che lo hanno determinato di cui se ne stanno occupando gli
inquirenti, si tratta di un ulteriore oggettivo crimine che si aggiunge
ai numerosi che abbiamo conosciuto in questi ultimi tempi.
Pensiamo
ai 7 morti della ThyssenKrupp di Torino, ai 4 della Eureco di Paderno
Dugnano e, in questo caso è giusto ricordare coloro che sono morti sul
lavoro in cisterne e altri angusti ambienti soffocati da gas venefici:
in primis 13 marzo 1987 13 operai morti sulla Elisabetta Montanari nel
porto di Ravenna a seguire 3 marzo 2008 Molfetta 5 morti; 11 giugno 2008
6 vittime a Mineo (Catania); 26 maggio 2009 3 morti alla raffineria
Sarroch in Sardegna; 15 giugno 2009 due operai morti caduti in una vasca
di acque nere a Riva Ligure; 12 gennaio 2010 due operai morti tra Sale
e Tortona (Alessandria); 11 settembre 2010 3 operai morti in un silos
di un’azienda di Afragola (Caserta), 8 aprile 2014 due operai padre e
figlio muoiono Molfetta; 24 luglio 2014, altri due morti in un impianto
di compostaggio ad Aprilia (latina); 22 settembre 2014 quattro morti in
provincia di Rovigo per esalazioni di anidride solforosa; 9 settembre
2015 altri due morti in Raffineria questa volta in Sicilia a Priolo, 29
novembre 2016 3 operai lasciano la vita nel porto di Messina,
all’interno di una cisterna.
Chiediamoci
il perché e perché queste stragi si ripetono; non solo ma constatiamo
che quando l’ucciso è uno solo non vi è alcun clamore (anche se sono in
media 3 al giorno).
Non dimentichiamo le migliaia di vittime dovute a malattie professionali che
avvengono ad anni di distanza da esposizioni a sostanze tossiche e
cancerogene, come l’amianto. Succede, nella gran parte dei casi che
tutti costoro restano senza giustizia e non meno senza risarcimenti:
il 17 gennaio ad esempio la Corte di Cassazione ha mandato assolti gli
imputati della Pirelli di Milano, ieri il Tribunale di Padova ha assolto
perché il fatto non sussiste gli imputati della fonderia Valbruna.
Per i reati connessi all’amianto l’assoluzione di questi tempi è
diventata una regola: pur sapendo che i morti sono dovuti alla sua
esposizione; pur sapendo che le leggi non erano applicate, pur sapendo
che non esistevano le più elementari misure di sicurezza, si è finito
per ritenere che l’uso dell’amianto era un fatto accettato e condiviso
sul piano sociale e politico. Un giudice ha detto che non possiamo
prendercela con i responsabili delle imprese che l’hanno utilizzato e di
certo non è compito del giudice condannare il sistema…
È in corso il grande processo contro Ilva di Taranto. Un
fatto che è diventato politico: si deve accettare che per salvaguardare
l’occupazione si può mettere a repentaglio la salute? In questo caso
non solo quella dei lavoratori, ma anche quella dei cittadini di un
intero territorio. Abbiamo visto che il Presidente di Regione Puglia e
il Sindaco di Taranto hanno promosso un ricorso al TAR per ricordare le
loro competenze e per chiedere che la nuova proprietà che subentra attui
tutte le misure necessarie a far cessare l’inquinamento su Taranto.
Tutto ciò è positivamente da sottolineare. Il lavoro non può essere
messo in contrasto con la salute e, oggi, se vogliamo, dobbiamo dire
prima la salute e poi l’occupazione.
Ci
informano i Cobas di Taranto che come noi sono parte civile nel
processo ILVA che in questi giorni di udienze dopo le tentennanti
testimonianze di alcuni “fiduciari”, che hanno anche ritrattato quello
già dichiarato alla GdF anni fa, è entrata nella grigia aula della Corte
d’Assise, una ventata di protesta. A dimostrazione che gli operai
dell’Ilva, pur spesso da soli, abbandonati e ostacolati dai sindacati
confederali, hanno sempre cercato di lottare per la salute, la
sicurezza, l’ambiente.
“Processo Ilva – Nonostante le pesanti “zeppe” degli avvocati di Riva e complici, si comincia a sentire una vera denuncia. Non
è un caso che questa denuncia/verità delle aperte e continue gravi
violazioni sulla sicurezza si sentano dalla testimonianza di un operaio
Ilva, Rito, che, come ha detto in aula, dopo la morte del lavoratore
Zaccaria per il crollo della gru, ha detto “basta” e ha portato in ogni
occasione la sua protesta, la rivendicazione della sicurezza, della
difesa della salute degli operai come dei cittadini, contestando
apertamente capi e capetti che da un lato cercavano miseramente di
sminuire le responsabilità dell’Ilva (“si muore a tutte le parti…”, “chi
l’ha detto che i morti, gli ammalati di tumore dipendano dall’Ilva…”, e
squallori del genere); dall’altro con minacce o “promesse” cercavano di
far stare zitto l’operaio”..
GLI INFORTUNI, LE MALATTIE PROFESSIONALI, LA MANCANZA DI GIUSTIZIA DEVONO SEMPRE ESSERCI? Dobbiamo
fare in modo che non sia così. E non è solo un problema di controlli,
che peraltro esiste se solo pensiamo alla riduzione della spesa
sanitaria e sociale che ha ridotto il personale tecnico nelle strutture
ad esso dedicato. È lo stesso rapporto di lavoro che deve essere
cambiato. Occorre dire basta alla precarietà del lavoro, ai salari che
non garantiscano situazioni di vita dignitose. Non bastano, pur
essenziali, ed oggi molto carenti, le strutture e gli interventi
preventivi ci vuole un impegno generale degli stessi lavoratori, di
conoscenza, di controllo e di verifica, come stabilisce l’articolo 9
della legge 300/1970 – Statuto dei lavoratori.
SENZA PARTECIPAZIONE NON C’È PREVENZIONE!
Per Medicina Democratica: Fulvio Aurora, responsabile delle vertenza giudiziarie
Per Aiea: Maura Crudeli, Presidente
Nessun commento:
Posta un commento