Carlo Stasolla Presidente Associazione 21 luglio
Qualche giorno dopo, il 9 febbraio, ricorre invece il 75° anniversario della morte del detenuto n.721, il sinto tedesco Johann Trollmann, ucciso dalla pallottola sparata da un kapò. La sua singola storia racchiude e definisce il dramma collettivo di intere comunità perseguitate, braccate, concentrate e uccise nel cuore dell’Europa del primo Novecento.
Era soprannominato Rukeli, “albero”, per la struttura del suo fisico. “Ora, dire albero equivale a dire alto, maestoso”, racconta Dario Fo nel suo libro Razza di zingaro.
“Dentro la testa, Johann vedeva ogni colpo. Lo vedeva prima. Era una dote che aveva fin da bambino e faceva a pugni con Radu, che era più basso di lui ma anche più cattivo. E maggiore di quasi due anni – scrive Garofalo in Alla fine di ogni cosa. “All’inizio le immagini erano arrivate in bianco e nero, poi con gli anni lo avevano portato a schivare i pugni di quelli più grandi, e il morso dei cani magri in cerca di cibo che scavavano tra i rifiuti del campo. Era una dote a breve, mica valeva per tutto, il suo cervello registrava in anticipo le mosse dell’avversario, il modo per neutralizzarle. Lui ci aveva solo dovuto mettere velocità, potenza e fiato”.
Tanto amato dal pubblico, quanto odiato dal regime nazista perché sinto, perché pugile vincente, dalla grazia inconfondibile e dalla danza leggera.
Il 9 giugno 1933 la svolta della sua vita: dopo aver steso al tappeto il pugile tedesco Adolf Witt di Kiel, il gerarca Georg Radamm ordinò che il mach si sarebbe dovuto chiudere con un pareggio. Nella Germania di Hitler risultava inammissibile che uno “zingaro che danza” potesse stendere con un pugno un rappresentante della razza ariana.
I 1.500 spettatori della Bockbrauerei di Berlino protestarono e Rukeli diventò per una notte il nuovo campione tedesco dei pesi medi.
Le sue lacrime di gioia cessarono il giorno dopo, quando la Federazione gli comunicò che il titolo gli sarebbe stato sottratto perché la sua ‘non è vera boxe‘”. Tutto da rifare.
Il mese dopo, altro incontro sul ring e altra farsa. A Rukeli sarebbe stato consentito combattere contro il pugile del Reich Gustav Eder ma con l’assoluto divieto di danzare al centro del ring schivando i colpi con “eleganza effeminata”, vergognosa per la virilità nazista.
Rukeli accettò la provocazione coprendosi completamente di farina e tingendosi i capelli di biondo-oro. Il suo corpo ora sarebbe stato bianco, come quello di un tedesco.
Il risultato dell’incontro era già scritto e Rukeli venne steso al tappeto. Cinque anni dopo fu deportato nel lager di Neuengamme, nel nord della Germania. Cambiò la vita di Rukeli, della sua famiglia della sua gente. Rukeli dovette separarsi dalla figlia Rita e dalla moglie Olga da cui divorziò per consentirle di cambiare cognome e di sfuggire alla persecuzione. A Neungamme Rukeli, come tanti rom e sinti, venne sottoposto alla sterilizzazione. Poi, riconosciuto, si vide costretto a combattere sul ring contro soldati delle SS per ricevere doppia razione di cibo.
Il 9 febbraio 1943 la tragica fine segnata da un colpo di pistola.
Quest’anno, il 27 gennaio, il ricordo del genocidio dei rom e dei sinti si celebrerà a Gioia del Colle dove nel Teatro Rossini si racconterà la storia di Rukeli scritta dal regista Maurizio Vacca. “Vogliamo provare ad entrare, in punta di piedi, nella vita di un uomo, nel suo privato, tra i suoi affetti – spiega il regista. Racconteremo di un uomo che osò sfidare il regime nazista, consapevole che ciò lo avrebbe pagato a caro prezzo”.
Il 27 gennaio la Giornata della Memoria celebrerà la sua più grossa amnesia.
Sarà Rukeli a svegliarci dal sonno per ricordarci il dramma di un popolo perseguitato e con esso la resilienza di quanti ancora oggi si piegano senza spezzarsi: alla cattiveria umana, alla sua stupidità, alla vigliaccheria. Che resta intatta nei secoli.
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