dinamopress Giansandro Merli
La compagnia si trova in una crisi di gestione del personale forse senza precedenti. Il suo modello fondato sulla compressione del costo del lavoro anche attraverso un forte turn over inizia a scricchiolare.
Lunedì 18 settembre, Michael O'Leary, amministratore delegato della più famosa compagnia low cost,
è stato costretto a convocare una conferenza stampa e spiegare quello
che stava accadendo in casa Ryan. Circa 2mila voli cancellati e fino a
400mila passeggeri lasciati a terra nelle prossime sei settimane. Nel
mezzo, un errore di comunicazione da principianti: annunciare le
cancellazioni senza specificare i voli interessati.
Un fatto che ha
mandato nel panico tutti coloro che avevano in tasca un biglietto
compreso nel periodo a rischio (quasi 2 milioni di persone).
O'Leary ha dichiarato che l'annullamento dei voli è stato deciso per ristabilire il tasso di puntualità
della compagnia, che negli ultimi dieci giorni era crollato da sopra il
90 a sotto il 70%. A causare questo crollo, secondo Ryan, sarebbero
stati i ritardi dovuti alle condizioni meteo e all'Air Traffic Control
(ATC), il complesso di regole e organismi che contribuiscono alla
sicurezza aerea. I ritardi così prodotti avrebbero generato una sorta di
effetto domino sui voli successivi. Anche perché, dopo aver impiegato a
pieno regime piloti e personale di bordo durante un periodo estivo da
record (12,7 milioni di passeggeri, +10% del traffico aereo rispetto
all'anno precedente), la compagnia sta cercando di distribuire le ferie
accumulate dai lavoratori. Secondo O'Leary, a monte di tutta la faccenda
ci sarebbe proprio la questione delle ferie, che risulta complicata a
fronte di una unusual situation : il cambio di calendario. Di cosa si tratta?
A
livello europeo è stabilito un limite annuo e mensile di ore di volo
per il personale di bordo. Da un lato, al fine di evitare fenomeni di
fatica cronica tra i lavoratori, dall'altro per proteggere la sicurezza
dei viaggi aerei. Per i piloti questo limite ammonta a 100 ore mensili e
900 annuali. Mentre tutti i Paesi europei calcolano l'anno dal 1° gennaio al 31 dicembre, in Irlanda veniva preso in considerazione un periodo differente: dal 1°
aprile al 31 marzo. Per anni, questa differenza ha assicurato vantaggi
commerciali alle compagnie battenti bandiera irlandese - che potevano
contare su maggiori disponibilità di personale di bordo nell'affollato
periodo estivo -, nonché pesanti disagi a quei lavoratori che, cambiando
società, dovevano passare da un calendario all'altro e finivano per
sforare i massimali orari. Inoltre, questa diversa scansione rendeva più
semplice per Ryanair contenere la retribuzione dei suoi lavoratori
anche attraverso un'ulteriore tattica: un mese di off per il personale di bordo nel periodo invernale. Ovviamente non pagato.
Nel corso degli anni, diverse associazioni di piloti hanno segnalato queste problematiche all'EASA (European Aviation Safety Authority). Alla fine, l'autorità europea, nonostante l'opposizione dell'IAA (Irish Aviation Authority), ha stabilito che anche in Irlanda l'anno sarebbe dovuto cominciare il 1° gennaio.
O'Leary
ha sostenuto che in questo modo la compagnia si è trovata costretta a
concedere le ferie annuali ai lavoratori in un periodo di sette mesi,
dal 1° aprile al 31 dicembre 2017. Secondo la IALPA (Irish Air Line Pilots' Association),
però, questa tesi è «strana e insostebile». Ryan, infatti, al pari di
tutti gli altri operatori irlandesi, sapeva da ben due anni che a
partire dal 2018 il calcolo dei dodici mesi sarebbe stato adeguato a
quello del resto d'Europa. Ha dunque avuto tutto il tempo di organizzare
in modo differente le turnazioni.
IALPA sostiene invece che l'incapacità di Ryanair di garantire i voli in programma dipende da tutt'altro fenomeno: la fuga dei piloti verso compagnie che offrono migliori salari e maggiori diritti. IALPA
mostra come, parallelamente alla crescita ininterrotta del numero
complessivo dei piloti Ryan, sia anche aumentato vertiginosamente il
numero di quelli che hanno lasciato la compagnia. 407 nel 2016, già 718 nel 2017.
La compagnia, quindi, sarebbe a corto di piloti perché da un lato deve
fronteggiare un tasso crescente di abbandono, dall'altro ha bisogno di
formare sempre più personale in grado di far decollare e atterrare i
suoi aerei a fronte di un costante aumento delle rotte.
In un'inchiesta pubblicata a giugno, spiegavamo come tutto il “modello Ryanair” fosse basato fondato su un forte turn over dei lavoratori. Le decine di recruitment days organizzati
ogni mese in tutta Europa, ma soprattutto nei Paesi del sud e dell'est,
sono soltanto l'altra faccia del costante abbandono della compagnia da
parte del personale di bordo. Questo a causa di un modello di
organizzazione aziendale che scarica tutta la diminuzione dei prezzi dei
biglietti sulle spalle dei lavoratori. Da un lato, attraverso un
complesso sistema di compressione del costo del lavoro basato sulla
scarsa regolamentazione irlandese, dall'altro trasformando hostess e steward in
venditori volanti di qualsiasi prodotto. Il piccolo “capolavoro” della
compagnia di O'Leary è esser riuscita a produrre denaro persino sul turn over.
L'azienda, infatti, ha costruito dei meccanismi che le permettono di
ottenere lauti guadagni dalle spese altissime che i lavoratori devono
intraprendere per iniziare a lavorare. Soltanto attraverso il dumping sociale e le raffinate tecniche di estrazione di valore dai lavoratori, Ryan è riuscita a raggiungere contemporaneamente parametri record sul contenimento del costo del lavoro e sulla profittabilità netta. Come calcola un articolo del Sole24Ore,
nella compagnia irlandese il costo del lavoro equivale a meno del 10%
dei ricavi totali, mentre il suo indice di redditività è ormai al 20%.
Ciò significa che ogni mille euro di ricavi ne spende 100 per i
lavoratori e ne distribuisce 200 agli azionisti (lo scorso anno Ryanair
ha fatturato 6,6 miliardi di euro).
In una compagnia che si vanta di non aver mai subito uno sciopero, però, la conflittualità
cacciata dalla porta sta rientrando dalla finestra, o meglio dal
finestrino. Nella forma di una fuga di massa verso migliori condizioni
di lavoro. Una dinamica che intacca proprio la base del modello Ryanair,
facendo saltare la capacità di gestire il turn over.
In particolare rispetto ai piloti, che comunque richiedono una
selezione più dura e una formazione più lunga rispetto agli assistenti
di bordo.
Per
questo, Ryan potrebbe essere molto più in difficoltà di quello che fa
trapelare. Tanto da aver offerto fino a 12mila euro ai piloti e 6mila ai
primi ufficiali che rinunceranno alle ferie e rimarranno fedeli alla
compagnia almeno fino a ottobre 2018. Si parla di aumenti salariali record
che, secondo le stime di alcuni analisti, sfiorerebbero il 20% degli
stipendi attuali. Se in questa fase di debolezza dell'azienda anche steward e hostess riuscissero
a praticare forme di conflitto efficaci, le possibilità di ottenere
miglioramenti retributivi e contrattuali potrebbero diventare concrete
anche per i moltissimi lavoratori della categoria meno garantita.
L'architettura aziendale e i livelli di sindacalizzazione quasi
inesistenti, però, non lasciano ben sperare.
Aggiornamento, 21/09/2017, h 14:30
Secondo quanto rivelato dalla BBC,
i piloti di 30 delle 80 basi europee di Ryanair hanno rifiutato il
bonus di 12mila e 6mila euro offerto dalla compagnia. Vogliono nuovi
contratti e forme di negoziazione tra azienda e lavoratori. Ryanair ha
tempo per rispondere fino a domani. Richard Westcott, autore
dell'articolo, afferma che i piloti si sono organizzati, probabilmente
via social media, a livello transnazionale: le basi coinvolte
sono situate in Belgio, Italia, Germania, Irlanda, Svezia e Olanda. È la
prima volta nella storia di Ryanair che dei lavoratori avanzano delle
rivendicazioni collettive, evidentemente anche a partire dalla
consapevolezza che la portata della fuga di comandanti e primi ufficiali
ha reso la compagnia incapace di sostituirli a breve termine.
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