Naturalmente ci sarebbero gravissimi contraccolpi sull’economia: l’attuale, e in molti casi deplorevole situazione del trasporto pubblico, impedirebbe a molti di andare a lavorare, il mercato dell’auto crollerebbe, per non parlare di quello assicurativo. Bloccando drasticamente le auto, il problema non verrebbe risolto, ma semplicemente riconvertito in altri problemi, almeno apparentemente più gravi. Scena finale, un paio di signori vestiti di bianco prelevano il ministro responsabile del provvedimento che, mentre viene accompagnato in una confortevole casa di cura, dichiara di aver agito in vista di un boom dei trasporti in elicottero.

In questi giorni, molti commentatori apprezzano il benefico effetto degli accordi italo-libici e dei nuovi regolamenti sulle Ong. Qualcuno sottolinea che il nuovo step della politica governativa dovrà essere quello di assicurare trattamenti al di sopra del livello di umana decenza per gli immigrati che finiscono nelle mani della guardia costiera libica, attrezzata coi soldi del contribuente italiano: ammettendo con ciò implicitamente che, al momento, l’asticella dei diritti di queste persone è precipitata negli scantinati delle relazioni bilaterali. Secondo molti osservatori, i servizi di guardania anti-immigrati nell’area di Tripoli sono gestiti da capibanda legati al traffico di armi, petrolio, uomini ecc. In Italia prevale il legittimo compiacimento per il drastico calo degli annegamenti in mare e per il duro colpo sferrato agli scafisti, trascurando il piccolo particolare che, una volta smarrita la bussola dell’umanità, si possono trovare soluzioni di quei problemi anche più efficaci: ad esempio cecchini appostati sul bagnasciuga o campi minati. Ovviamente esageriamo, ma non bisogna dimenticare che in epoca recente una buontempona come Daniela Santanchè suggeriva al governo Renzi di “fare come in Albania”, di affondare le barche dei trafficanti forse dopo essersi accorta che era stato un errore chiedere che tutti gli emigranti salvati in mare sbarcassero in Italia.
Bloccare i migranti in Libia e compiacersi per il calo degli annegamenti, in queste condizioni, è come cantare le lodi delle autostrade vuote dopo un’ipotetica confisca generalizzata delle ruote. La differenza è che, nel secondo caso, scatterebbe una rivolta popolare e sulle barricate salirebbero anche molti parlamentari, mentre le vicende libiche, apparentemente più lontane dalle nostre tasche, faticano a sollecitare la nostra curiosità. Se nel caso degli immigrati si evita un’emergenza umanitaria per aprirne altre, significa semplicemente che la soluzione non è una soluzione. Non ci si può affidare, come fa il ministro dell’Interno Marco Minniti, alla speranza che l’Onu possa, in un futuro al momento indefinito, entrare nei centri di detenzione.
Le condizioni di vita in quei luoghi al di là del Mediterraneo non sono un dettaglio secondario, ma il problema centrale, che va affrontato immediatamente. Chi fugge da guerre e persecuzioni certo non spera di evitare una gabbia per finire in un’altra, magari peggiore. Sicuramente non può essere questo l’obiettivo del governo di un paese civile.
Forse è vero che non ha molto senso discutere se la politica scelta dal governo sia di sinistra o di destra. Il problema è che riesce difficile persino definirla “una politica”. Basterebbe poco per renderla tale. Per cominciare, controlli efficaci sul trattamento delle persone trattenute in Libia affidati magari a nostre missioni governative e parlamentari, sospensione di ogni finanziamento in caso di accertate violazioni dei diritti umani , la perfetta tracciabilità delle condotte di uomini e organizzazioni a cui è affidato il compito di gestire il flusso di esseri umani.
Se non si fa così, la soluzione non è imperfetta o di destra: è semplicemente sbagliata (e disumana). Mentre il ministro, in Italia, dice di giocarsi la faccia, nel Paese di El-Serraj qualcuno si gioca la vita. E non può aspettare il boom dei trasporti in elicottero.