La demografia è una disciplina scientifica con pochi aficionados.
Forse perché, mettendo insieme la somma delle conseguenze derivanti da
scelte politiche, sistema economico, evoluzione antropologicica, dunque
gli stili di vita e anche le scelte individuali, ci mette di fronte a un
film che ci sbatte in faccia – tutte connesse tra loro – le follie che
andiamo combinando.
Pochi
hanno ripreso un articolo del prof. Gian Carlo Blangiardo, ordinario di
demografia all’università Bicocca di Milano, apparso su L’Avvenire
una ventina di giorni fa. Quell’articolo, infatti, dipinge un quadro
horror del futuro prossimo di questo paese, con dinamiche negative cui
nessuno – neanche il prof in questione o i vescovi italiani, editori di
quel giornale – sa dare risposte efficaci.
Il quadro è così sintetizzabile: aumentano i morti e diminuiscono le nascite. Non ci vuole uno scienziato per dedurne che la popolazione “indigena” (compresi gli immigrati regolarizzati) cala.
Di
quanto cala? I dati Istat relativi al primo trimestre 2017, su cui ha
lavorato Blangiardo, sono devastanti: +15% i morti (rispetto al primo
trimestre 2016), -2,6% le nascite. In termini assoluti è ancora più
chiaro: 192.000 decessi in più a fronte di sole 112.000 nuovi nati. Sono
80.000 persone in meno, in appena tre mesi.
Peggio
ancora. Il numero delle nascite è il più basso dall’unità d’Italia
(1862), mentre il numero dei morti è quasi uguale a quello del 1944
(anno di guerra sul nostro territorio, con i tedesci al nord e gli
americani al centro-sud). Proprio i confronto aumenta la drammaticità di
una situazione di cui nessuno si vuole occupare seriamente.
Non
è la prima volta che accade: anche nel 2015 si era registrato un
aumento dei decessi percentualmente simile (+14,9%), ma in molti lo
avevano sbrigativamente derubricato ad “evento eccezionale”,
praticamente irripetibile. E infatti…
Si
sa – ce lo dicono tutti i giorni – che la struttura demografica
nazionale è da diversi decenni squilibrata, con un numero di anziani
progressivamente maggiore delle generazioni più giovani, al contrario di
quel che avveniva fino agli anni ‘60. E ce lo ripetono soprattutto per
dirci che bisogna lavorare sempre di più, aumentando l’età lavorativa perché aumenta l’aspettativa di vita.
La sproporzione mostruosa tra morti e nascite ha però un effetto statistico inatteso: diminuisce l’aspettativa di vita.
Dunque anche i meccanismi automatici inventati per rinviare
indefinitamente l’età pensionabile vanno a farsi friggere. O almeno
risultano assolutamente indifendibili. Non solo perché impediscono ai
più giovani di trovare spazio nel mercato del lavoro, ma perché sono falsi. Con
buona pace di Tito Boeri e di tutti gli altri professorini del taglio
alle pensioni che, dal governo Dini in poi, si erano scatenati in
schemini previsionali in cui le “aspettative di vita” crescevano
indeinitamente nel tempo. Un po’ come nella finanza “creativa” o nelle
proiezioni di borsa, in cui le controtendenze non esistono mai…
Ma questi schemini idioti sono falsi soprattutto perché l’alto numero di morti non
riguarda soltanto – com’è fisiologico – soltanto i più anziani, ossia
quelli già oltre la media delle “aspettative di vita” (83,49 anni, nel
2015), ma anche quelli al di sotto di quella soglia. Le ragioni
dell’aumento dei decessi non sono quindi rintracciabili soltanto
nell’invecchiamento della popolazione – se fosse così, spiega il prof. Blangiardo, avremmo avuto un aumento del 3%, invece che del 15 –
ma vanno per forza cercate nelle peggiorate condizioni di vita. Che per
gli anziani significa soprattutto maggiori difficoltà nell’accesso ai
servizi sanitari, livello infimo delle pensioni medie (la stragrande
maggioranza è al di sotto dei 1.000 euro al mese).
Lo conferma lo stesso demografo, inperpellato dal Corriere della sera:
«Sì, credo che stia emergendo una debolezza del sistema sanitario, di
cui fanno le spese i soggetti più deboli, a partire dagli anziani».
Le
proiezioni demografiche sull’anno in corso, se si confermasse la
tendenza dei primi tre mesi, descrivono un saldo negativo di 346.000
cittadini. Cifre da 1944, appunto.
E
qui cause e rimedi andrebbero individuati con precisione, cosa che
invece nessuno. I cattolici (compreso il prof in questione) fanno grande
o disperato affidamento sulle “politiche per la famiglia”, auspicando
provvedimenti a favore della voglia di “genitorialità”. Il governo tace,
il sistema delle imprese ovviamente se ne frega (l’identità etnica dei
lavoratori è per loro indifferente, fino a quando non si innescano
conflitti anche su questo piano, cui reagiscono in genere scappando da
un’altra parte).
Ma
anche i “singoli cittadini” astrattamente intesi se ne fregano
ampiamente. Com’è giusto che sia, ognuno fa le proprie scelte di vita in
modo (presuntamente) indipendente; ossia all’interno di un sistema
economico che rende possibili certe cose e ne impedisce altre.
L’individualismo fomentato dalla cultura dominante ha un suo peso, ma
tutto sommato relativo. Puoi decidere di far figli oppure no come libera
scelta se hai un reddito oltre una certa soglia, altrimenti cadi sotto
la mannaia di una condizione salariale ormai – proprio per i giovani,
ossia quelli che i figli potrebbero anche farli – al di sotto del
livello di riproduzione (tradotto: salari così bassi che non bastano a
mantenere il lavoratore, figuriamoci una famiglia). Come i 6-800 euro
che si vedono offrire per la maggior parte dei lavori precari, che
diavolo di progetti di vita possono fare?
Riassumiamo
sinteticamente, scusandoci per la schematicità: i giovani non possono
“riprodursi” (sono disoccupati, al 35,5%, hanno salari-mancia e
discontinui, ecc), gli anziani sono spinti verso una morte anticipata e
costretti a restare al lavoro sempre più a lungo (il programma che
abbiamo da anni chiamato “dovete morire prima“, vedi qui, qui e qui), aumentano i residenti che emigrano e neanche gli immigrati ci vedono più come un approdo appetibile.
Come
si vede, la demografia è una materia che “risulta” da molte altre, ma
che ce le ripresenta senza scuse. Provate a chiedere a un governante o a
un imprenditore una risposta concreta al problema. E li vedrete
correre, in silenzio…
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