Il verdetto è stato emesso martedì 11 luglio dal gup del Tribunale penale di Napoli Rosa De Ruggiero. Gli operai, tutti bengalesi, erano costretti a lavorare senza riposo, sotto continue minacce e subivano percosse e privazioni. Tutto avveniva mentre erano chiusi a chiave all’interno di casermoni a Sant’Antimo, a Frattamaggiore, a Casandrino, per un compenso di 300 euro mensili da cui venivano sottratti 80 euro per l’affitto negli appartamenti-dormitori della stessa organizzazione".
A difendere i venti operai in sede processuale, a titolo completamente gratuito, un team legale composto dagli avvocati Pasquale de Sena, Bruno Botti, Benedetta Piola Caselli, Pierluigi Umbriano, Amarilda Lici e Alessandro Del Piano.
Per gli attivisti dell’Associazione 3 febbraio, che in questi anni hanno saputo tenere alta l’attenzione su questa lotta allargando la rete solidale ad altre associazioni e organizzando un incontro tra i lavoratori e Papa Francesco, la sentenza “è un primo passo, fondamentale, per vincere la schiavitù che oggi viene tollerata in Italia, come di mostrano i continui sequestri di sartorie clandestine che si susseguono, dove vengono lavorati prodotti di griffe nazionali e internazionali”.
Anche se l’indagine ha coinvolto esclusivamente bengalesi, la Direzione distrettuale antimafia non esclude connivenze a vari livelli, come quella, emersa durante il processo, “con alcuni imprenditori che risultano aver presentato le pratiche per il nulla osta relativamente all’ingresso nel territorio italiano di cittadini bengalesi, al fine di impiegarli nelle proprie industrie, ma che sono stati invece trovati a lavorare nelle fabbriche di Alim”.
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