Edo Ronchi
Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile
Nel
2015 è andato disperso il 38,2% dell'acqua potabile immessa nelle reti
di distribuzione, con un peggioramento rispetto al 2012, quando era il
35,6% (
Istat, Focus 2017), con perdite del 26% al Nord, del 46% al Centro e del 45% al Sud (
Utilitalia-2017).
E non c'è da stupirsi visto che il 22% delle condotte ha più di 50 anni
e un altro 36% ne ha fra 31 e 50 (Autorità per l'Energia Elettrica, il
Gas e i Servizi Idrici,
Relazione annuale sullo stato dei servizi, 2017).
Il
fabbisogno finanziario pianificato del comparto idrico dal 2016 al 2019 è
stato stimato in 12,7 miliardi (Relazione annuale dell'Autorità EEGSI,
2017 citata) il 19% destinato alla distribuzione, il 25% alle fognature e
il 28% alla depurazione, il resto per altre voci – pari a 3,2 miliardi
annui. L'importo medio annuo è significativo per le fognature e la
depurazione anche perché l'Italia sta affrontando procedure di
infrazione europee in queste materie e cerca di evitare di arrivare alle
condanne e alle sanzioni. Il 19% del fabbisogno per la distribuzione
(circa 600 milioni annui) è invece insufficiente.
Occorre
rivederlo, insieme alle pianificazioni che l'hanno generato, alla luce
della gravità del nuovo contesto. Occorre anche rendere più veloci ed
efficienti le procedure di spesa (vedi in materia il
Rapporto di Italiasicura sullo sviluppo delle infrastrutture idriche, 2015). Questi interventi dovrebbero essere compresi nel programma operativo di misure di adattamento al cambiamento climatico.
Una
parte dei costi per questi interventi straordinari di adeguamento della
rete è già reperibile nella tariffa per i servizio idrico. Nel 2016 dei
290,9 euro all'anno pagati in media da una famiglia per l'acqua con un
costo di 1,94 euro al metro cubo, 114,4 servivano, infatti, per gli
acquedotti (captazione, adduzione e distribuzione), 37,5 per le
fognature, 84,5 per la depurazione, il resto per quota fissa e Iva.
Secondo il Censis, tuttavia (
Diario della transizione, 2014)
le tariffe idriche italiane sarebbero "le più basse d'Europa", meno
della metà di quelle della Francia, della Germania e del Regno Unito.
Quindi, pur tenendo conto che parliamo di un bene pubblico
indispensabile che va comunque assicurato a tutti, anche ai meno
abbienti con fasce tariffarie basse, e che i suoi costi per i cittadini
stanno già aumentando (del 4,57% nel 2016), un margine ulteriore di
copertura dei maggiori investimenti necessari per la rete - se non
vogliamo fare gli struzzi – può essere ragionevolmente trovato anche
nelle tariffe.
Ma
non solo. L'entità complessiva (fondi nazionali, risorse Ue, delle
Regioni e dei Comuni) dei finanziamenti pubblici effettivamente
stanziati e già disponibili per i servizi idrici per il periodo 2016 al
2019 sarebbe di soli 2,2 miliardi di euro (Rapporto annuale citato,
2017): il 17,3% del fabbisogno, troppo poco. Con una ricognizione
attenta di tutte le diverse fonti disponibili, questi finanziamenti
pubblici vanno decisamente incrementati e resi effettivamente spendibili
per un rinnovo delle reti che va reso più rapido ed esteso. Investire
di più e meglio per non sprecare una risorsa naturale, sempre più scarsa
e preziosa, è una scelta non più rinviabile.
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