Oltre 65 milioni di uomini e donne
sono costretti a fuggire dalle loro terre; poco più di un milione sono
arrivati in Europa e circa 170 mila in Italia alla fine del 2015. Sono 70 mila gli sbarchi
fino alla fine di giugno 2017. Ammettiamo pure un flusso di sbarchi
costante per i prossimi 10 anni pari a 170 mila persone all'anno. Si
tratta comunque di 1 milione e 700 mila persone e noi siamo un paese di
quasi 61 milioni di abitanti, considerato una delle principali potenze
economiche mondiali.
Circa
180 mila persone sono attualmente accolte nel sistema d'accoglienza. Se
fossero distribuite in tutti i nostri 8mila Comuni, ciascuno
accoglierebbe 23 persone. Peccato che i comuni impegnati
nell'accoglienza sia meno della metà. E qui arrivano i primi problemi di
un sistema nazionale che, oggettivamente, così non può più funzionare. E
non può soprattutto perché, dei 180 mila migranti oltre 120mila sono
accolti in un sistema definito di "prima accoglienza", il sistema
prefettizio CAS, completamente fuori controllo (tanto che bisogna
sperare nella buona volontà dei singoli gestori) e che continua a
produrre "storture" sul piano gestionale e dell'integrazione.
Già,
l'integrazione, quella che sta a cuore a noi e ai cittadini italiani e
che invece sembra interessare sempre meno al nostro Governo e al
Ministero dell'Interno, tanto che il nuovo Capitolato d'appalto per i Centri d'Accoglienza,
emanato nei giorni scorsi, va esattamente nella direzione opposta a ciò
che era stato impostato e deciso la scorsa estate con il Decreto
Morcone relativo alla gestione dei progetti SPRAR.
Se
è vero che i due sistemi, CAS e SPRAR, sulla carta, sono diversi per
tipologia e obiettivi, è altrettanto vero che, nella realtà, la
situazione è tutt'altra. Infatti, le pessime pratiche del sistema
prefettizio stanno condizionando enormemente il sistema SPRAR,
potenzialmente capace, al contrario, di garantire efficacia, trasparenza
e integrazione. Questa sempre più insostenibile dicotomia ha portato la
nostra associazione a dotarsi di Linee Guida nazionali sull'Accoglienza
proprio per ovviare alle debolezze del sistema prefettizio, con
l'obiettivo di contaminarlo positivamente con le modalità SPRAR.
E
quindi accoglienza diffusa, utilizzo di appartamenti al posto dei
grandi centri, attivazione da subito di percorsi di autonomia, legati
per esempio alla preparazione dei pasti e all'organizzazione della vita
quotidiana. I tentativi di contaminazione stanno dando risultati
positivi nelle comunità territoriali in cui operiamo. Ma tutto questo
lavoro è, giorno dopo giorno, minato alla base da scelte, decreti e
circolari ministeriali che danno indicazioni opposte. Come, appunto, il
capitolato d'appalto per i centri d'accoglienza. Da una prima lettura
emerge una differenziazione ancora più marcata tra prima (Cas) e seconda
accoglienza (Sprar), assolutamente anacronistica e che introduce un
concetto di fondo profondamente sbagliato, e cioè che chi si trova in
prima accoglienza non è detto che riceva un titolo di soggiorno e che
quindi è del tutto inutile promuovere azioni di integrazione per chi si
trova in quel sistema.
Una
posizione sbagliata e pericolosa. Stiamo infatti potenzialmente
parlando di oltre 120mila persone alle quali scegliamo di non dare
alcuna chance per il futuro. Il Governo, se vuole seriamente lavorare
per la buona accoglienza, inverta la rotta, riapra un confronto serio
con il terzo settore, stabilisca al più presto criteri e condizioni per i
soggetti gestori, dia vita ad un albo delle organizzazioni che svolgono
attività di accoglienza sulla base dell'effettiva capacità e delle
reali esperienze. Trovarsi a competere con fabbriche di scarpe e agenzie
immobiliari è quanto di più frustrante possa accadere a chi, come
l'Arci, ha speso i 60 anni della propria esistenza per tutelare i più
deboli e per la promozione delle persone e dei loro diritti. Al tempo
stesso definisca una "black list" dei soggetti gestori che in questi
anni si sono macchiati di incapacità gestionali o, peggio, malaffare.
Solo così saremo in grado di fare meglio quello che già oggi è possibile
fare bene.
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