In
pochi giorni l’”europeista” Emmanuel Macron ha messo a segno due colpi
molto “nazionalisti” che difficilmente Marine Le Pen avrebbe saputo o
potuto realizzare. Entrambi i colpi hanno raggiunto i cosiddetti
“interessi italiani”.
Il
primo con la convocazione a Parigi di un vertice con i due schieramenti
più forti tra le varie fazioni libiche (Al Serraj, imposto dalla Nato e
della Ue, che comanda poco più di se stesso) e l’ex gheddafiano
generale Khalifa Haftar, padrone della Cirenaica e di Bengasi, sostenuto
apertamente da Egitto, Russia e vari paesi arabi del Golfo.
Il
secondo, proprio oggi (27 luglio), con la decisione di
ri-nazionalizzare i cantieri navali di Saint Nazaire, dopo il fallimento
della coreana Stx, titolare del 66% delle azioni. Un’azienda che era
stata promessa all’italiana Fincantieri in base ad accordi diretti tra
l’ex presidente Francois Hollande e il primo ministro Gentiloni.
L’impresa italiana – una delle poche ancora in parte controllate dal
ministero del Tesoro (perché impegnata nella costruzione di navi
militari, oltre che civili) – si era impegnata a prendere il 48% e (un altro 7% sarebbe dovuto andare alla CrTrieste) contava su questo merger
per costruire un polo europeo in grado di contrastare la forza
finanziare dei potenziali clienti “civili” (Msc, Carnival. Ecc), che da
anni giocano sulla concorrenza tra cantieri spuntando prezzi sempre più
bassi e lesivi dei profitti dei costrruttori.
Entrambi
i colpi di Macron hanno però a che fare con il Medio Oriente, anzi con
il “polo imperialistico sunnita” capeggiato dall’Arabia Saudita cui
partecipano altri potenti paesi del Golfo, a cominciare dagli Emirati
Arabi Uniti.
Prima di sbeffeggiare – come
pure bisogna fare – gli “europeisti de noantri” che avevano festeggiato
la vittoria di Macron come un trionfo europeo in grado di fermare
l’”onda populista” (di destra e di sinistra, visti i successi di Corbyn
in Gran Bretagna e di Podemos in Spagna), è bene guardare un po’ più da
vicino i due affari combinati dal neopresidente francese.
Sulla vicenda libica non c’è dubbio che Macron abbia messo la Francia in pole position come tutor del
futuro “governo unitario”, se mai si farà; il che significa diritto di
prelazione sui contratti di estrazione di petrolio, gas e uranio. Ma non
è affatto vero – al contrario di quanto diffuso dalla propaganda mainstream – che l’incontro tra i due boss libici sia stato il primo, né che sia tutto merito della perspicacia geostrategica francese.
Una ricostruzione dettagliata, apparsa su La Stampa di oggi, ha
rivelato che in realtà Al Serraj e Haftar si erano già incontrati, ma a
Dubai, nel mese di maggio. A promuovere la “stretta di mano” era stato
il padrone di casa, Mohammed bin Rashid Al Maktoum, chiamato a darsi da
fare per contrastare il crescere della presenza in Libia del Qatar,
altro emirato petrolifero sunnita, caduto però in disgrazia per aver
mantenuto rapporti industriali e politici con l’Iran sciita (giacimenti
in mare tra i due paesi, sfruttati di comune accordo) e quindi colpito
da “sanzioni” con l’accusa di “sostenere il terrorismo” (detto
dall’Arabia Saudita fa sinceramente ridere…).
Nel
corso dei due mesi successivi, gli Emirati hanno intensificato i
rapporti con il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, per
arrivare infine al molto fotografato vertice parigino.
Con
queste informazioni supplementari in campo, dunque, la “genialità” di
Macron sembra assai meno formidabile. In realtà, ha dato copertura a un
“riavvicinamento” che è prima di tutto nell’interesse delle monarchie
del Golfo, al punto da mettere in discussione l’interesse europeo in
Libia, condensato dal paracadutaggio di Al Serraj a Tripoli. Tra i due
contendenti, infatti, il più fragile è proprio il quisling
sponsorizzato dall’Europa e dalla Nato, che è andato a Parigi senza
alcun mandato esplicito a trattare da parte del Consiglio presidenziale,
in cui è decisiva la forza delle milizie di Tripoli e Misurata (nemici
giurati di Haftar). E se cade Al Serraj, il “polo sunnita” non avrà più,
anche se momentaneamente, nessun ostacolo in Libia. Con o senza l’Isis…
Ma
gli equilibri mediorientali entrano – e prepotentemente – anche nel
gioco condotto su Stx-Fincantieri. Il business delle grandi navi da
crociere è certamente grande e importante. I cantieri francesi
rispondono appieno, già ora, alla richiesta di navi sempre più grandi,
mentre il più grande cantiere italiano – Monfalcone – non ha possibilità
di espansione, perlomeno a medio termine. Per capirci: a Saint Nazaire
si possono già ora costruire navi da quasi 230mila tonnellate, mentre a Monfalcone di potrebbe arrivare al massimo alle 180mila.
Ma è molto più promettente il business militare. Nel 2016, per esempio, Fincantieri si è conquistata una mega-commessa del “maledetto” Qatar, che vuole ora costruire da zero un’intera marina militare.
Di corsa, oltretutto, perché sarà ufficialmente necessaria per la
protezione dei mondiali di calcio, nel 2022. In realtà, perché
l’offensiva diplomatica saudita fa prevedere tensioni anche militari nel
medio periodo. E arrivarci disarmati sarebbe in ogni caso un suicidio.
Il primo ordinativo – quattro
corvette, una mini-portaerei, due pattugliatori e assistenza per i
prossimi quindici anni nell’addestramento degli equipaggi e nella
manutenzione – vale
da solo 5 miliardi cash, da dividere tra Fincantieri e
Leonardo-Finmeccanica (costruttrice di sistemi d’arma, dei radar, ecc).
Al
completamento della flotta, con la cascata di ordinativi che potrebbero
a quel punto arrivare anche da altri committenti, il solo business
militare navale potrebbe fatturare una quarantina di miliardi. Senza
contare che il “riarmo europeo”, deciso dall’Unione anche per impulso –
negativo – della presidenza Trump, potrebbe moltiplicare a breve la
dimensione di questo tipo di produzione.
Vi
pare logico che la “grande Francia”, in difficoltà economiche quanto e
più dell’Italia, ma dotata di un peso internazionale decisamente
superiore, si lasciasse sfuggire una simile opportunità?
Formalmente, il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, si è limitato ad affermare oggi che la Francia “ha deciso di esercitare il diritto di prelazione sui cantieri di Saint-Nazaire”. Ma solo come “misura transitoria”, che non mette in discussione il patto siglato con l’Italia, ma certamente consente di avere più tempo per “negoziare con gli amici italiani”.
La proposta di Macron è infatti un accordo fifty-fifty
tra i due paesi, con relativa distribuzione paritaria degli incarichi
dirigenziali. Mentre gli accordi siglati con Hollande lasciavano (quasi)
piena discrezionalità a Fincantieri.
In
più, però il ministro ha confermato che questa nazionalizzazione
temporanea punta a difendere i posti di lavoro e “l’interesse
strategico” della Francia. Due argomenti che demoliscono sia il “piano
industriale” presentato da Fincantieri – non sono note le quantità di
“esuberi” che si volevano realizzare, ma non sfugge a nessuno che Saint
Nazaire viene da una lunga crisi gestita dai coreani, né che il
“portafoglio ordini” è limitato a sole 13 navi, mentre a Monfalcone la
lista arriva a 33.
Ma
è soprattutto l’”interesse strategico” a pesare. E non c’è dubbio che
l’industria militare – come peraltro energia, telecomunicazioni,
trasporto aereo, acqua, acciaio, ecc – sia il più delicato dei settori
strategici, per qualsiasi paese.
Dunque
Macron è “costretto” dalla crisi economica della Francia ad agire come
una Le Pen, solo con molta più agibilità internazionale rispetto alla
vecchia fascista appena ripulita. Ma non c’è una grandissima distanza né
logica, né programmatica.
Al
dunque, però, la mossa di Macron apre un problema enorme con l’Unione
Europea e le sue “regole” incardinate nei trattati. Se la Francia può
nazionalizzare un’azienda industriale qualificandola come di “interesse
strategico”, altrettanto possono – o potrebbero – fare tutti gli altri
paesi. Su questo fronte, come su altri, è in vantaggio la Germania, che
ha appena approvato una legge per impedire le scalate a quelle aziende
“strategiche” per funzioni infrastrutturali (trasporti,
telecomunicazioni, energia, ecc) o per know how tecnologico.
E’
dunque evidente che le stesse “regole europee” non valgono per tutti,
tanto meno alla stessa maniera. Del resto, a decidere se un paese le
infrange o meno sono funzionari messi lì dai “paesi che contano”. E
quelli che ci ha messo l’Italia – vedi la Mogherini agli “esteri” – non
possono contare granché.
Si
potrebbe stilare un elenco lunghissimo di “aziende strategiche”
italiane, pubbliche e private, conquistate dai francesi (pubblici e
privati…) senza alcun riguardo per la “strategicità” del settore
(Telecom, Alitalia, Mediaset, la stessa Acea che sta assetando i romani,
ecc…), mentre in direzione opposta c’è ben poco di “strategico”. La
prima preda di questo comparto sarebbe stata Stx, e si è visto come va a
finire.
Di
certo, però, ogni ministro italico che da oggi proverà a dire
“nazionalizzare non si può” – nel caso Alitalia, Ilva, banche venete o
toscane, ecc – andrà spernacchiato con forza, rabbia e devastante
ironia. Servi stupidi di interessi altrui, non meritano alcun credito,
né rispetto.
Questa
è l’Europa che è stata costruita. Riconosce la forza dei singoli, più
che le regole comuni. E’ un mercato, non un “destino”. E’ un mercato,
non una “comunità solidale”. E’ un mercato regolato sulla base della
forza, non uno “spazio da abitare”. E’ un mercato truccato, oltretutto.
Sarebbe ora di prenderne atto, no?
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