Balza agli occhi il contrasto tra la pesantezza delle condanne e la materia criminale da sanzionare. Se si esclude che l’organizzazione che ha agito su Roma sia riconducibile alla mafia, suscita più di qualche perplessità una sentenza con condanne di questa portata. E’ la stessa perplessità che avevamo già espresso al momento della richiesta dell’accusa. Le leggi che fino ad ora hanno codificato il modello criminale mafioso hanno seguito un loro percorso storico e giuridico, che ha fissato le caratteristiche salienti per cui un’associazione – sul piano giuridico – può essere considerata mafiosa. Il modello criminoso appurato in questo processo, a lume di naso, è di un tipo “nuovo”, a suo modo “originale”; dunque ancora non ci sono le leggi “giuste” per caratterizzarlo. L'”associazione a delinquere” è forse insufficiente, ma sembra l’unica fattispecie in qualche modo assimilabile, secondo il codice penale. Con questa contraddizione sembra aver dovuto fare i conti chi ha emesso la sentenza, disattendendo l’impianto messo in piedi dalla Procura con l’inchiesta su Mafia Capitale, ma accontentandola con condanne pesanti.
Quella emessa dal tribunale di Roma, per ora, ha dunque tutto il sapore di una sentenza “politica”, che magari in sede di appello verrà ridimensionata o dimensionata alla portata reale del malaffare portata alla luce dall’inchiesta su Mafia Capitale: poca roba rispetto alla “ciccia”, quella riconducibile al Mondo di Sopra.
Il gruppo “duale” di Carminati e Buzzi, identificatosi come il Mondo di Mezzo, muoveva affari per alcune decine di milioni di euro intorno alle emergenze – spesso provocate – sulla raccolta dei rifiuti, la gestione dei campi rom e dei centri di accoglienza per i migranti. Il sistema era semplice ed efficace. Si portavano le situazioni in condizioni estreme, magari si promuovevano anche manifestazioni di “cittadini indignati”, e quindi si ottenevano appalti per affidamento diretto, facendo fuori tutte le altre cooperative sociali, avviatesi sull’identico sentiero stretto del “privato sociale”, ma esterne al gruppo.
Nell’ordinanza del 2014 dell’inchiesta Mafia Capitale, si sottolineava come il modello coercitivo mafioso, a Roma, non aveva neanche bisogno di manifestarsi, perché le proposte di corruzione venivano immediatamente accolte senza non incontravano nessuna resistenza in ambito istituzionale e amministrativo.
Ma la conditio sine qua non per ottenere questo risultato era la complicità della politica e della macchina amministrativa comunale, ossia quell’accordo trasversale tra destra e Pd riconducibile al “Patto della Carbonara”, con cui era stato deciso di spartirsi gli affari a Roma.
Una sorta di “governo della transizione” tra gli appetiti voraci e arretrati venuti a galla con la giunta Alemanno (quella dei “fascisti de panza e de governo”) e quelli della nuova giunta che aveva catapultato a Roma il sindaco “marziano”, Ignazio Marino.
Il primo segnale della transizione, sfuggito a molti, era stata l’estromissione delle cooperative che gestivano la Città dell’Altra Economia, all’ex mattatoio di Testaccio, sostituendole d’imperio con un consorzio di cooperative di destra e legate al Pd. Era sembrato solo un episodio sgradevole, in realtà rivelava un cambiamento di clima.
Ma il giro di malaffare nella Capitale era e rimane assai più congruo di quello delle emergenze affidate alle cooperative sociali di Buzzi e Carminati.
Abbiamo denunciato da tempo i due filoni che meriterebbero non solo inchieste approfondite, ma anche valutazioni politiche coerenti, delle quali però non vi è alcuna traccia nei commenti che abbiamo ascoltato finora:
– il primo è il giro d’affari prosperato intorno alla questione abitativa, ad esempio con i Piani di Zona costruiti sulle aree ex 167, già oggetto di diverse inchieste della magistratura. Oppure la vicenda dei Punti Verde Qualità, che ha lasciato centinaia di milioni di debiti al Comune di Roma verso le banche. Questo è una parte del Mondo di Sopra, quello che scrive i piani regolatori, che determina le cubature, che divora il suolo e che prospera sui Grandi Eventi e le Grandi Opere, in accordo preventivo o su input dei costruttori e degli immobiliaristi. E’ il mondo che, quando serve, attiva anche il Mondo di Mezzo di Carminati, ma molto più spesso non ne ha neanche bisogno;
– il secondo sono le evidenti e strettissime connessioni tra gli ambienti neofascisti e la criminalità organizzata. Nello spaccio di droga o nel settore delle sale slot, prosperate come funghi nella periferia romana, ma che ai tempi della giunta Alemanno aveva individuato la “quadratura perfetta” con il progetto del Waterfront sul litorale romano. Una sorta di Atlantic City all’amatriciana, in cui i capitali sporchi di mafia, ndrangheta, camorra e reti criminali capitoline avrebbero potuto essere investiti, ripulendo miliardi. Nel 2011 più di qualcosa deve essere andato storto e a Roma ci sono stati decine di omicidi negli ambienti a cavallo tra brokers, malavita e neofascisti.
Del Mondo di Sopra e delle inquietanti, ma consolidate, relazioni tra criminalità e ambienti neofascisti, non vi era traccia nell’ordinanza iniziale di Mafia Capitale, né sono emerse durante il processo.
Ma se questo è vero, e se è vero che il gruppo “duale” Carminati-Buzzi non è riconducibile ad una organizzazione mafiosa, ma “solo” ad una associazione a delinquere, che cosa ci restituisce questa sentenza? Un ircocervo appunto. Fragile nella ineludibile parte probatoria e superficiale sulla parte politica. Un impianto che in appello potrebbe vedere drastici rovesciamenti e consentire al Mondo di Sopra di riproporre la consueta catarsi.
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