Stagiste abusate, l’alternanza scuola-lavoro crea manodopera ricattabile e senza diritti
La legge 107/15 ha infatti introdotto l’alternanza obbligatoria tra studi ed esperienze lavorative per gli studenti degli ultimi tre anni delle secondarie di secondo grado, che, dall’anno scolastico 2018/9, è anche prevista come materia dell’esame di Stato. Un piano da 200 ore per ogni studente dei trienni del liceo e da 400 ore per quelli degli istituti tecnici e professionali: la risposta, Renzi’s style, alla presunta dipendenza dell’elevata disoccupazione giovanile in Italia dall’incapacità della scuola di formare competenze adeguate per le imprese; la ricetta del semprepresente ex premier fu: meno scuola, più esperienza di lavoro; qualche crocetta ai test Invalsi, un lavoro decontrattualizzato. Ecco come spegnere per sempre qualsiasi velleità di approfondimento, sapere critico analitico e cittadinanza consapevole. Ce lo chiede (anche questo) l’Europa.

Non esiste e non è mai esistita alcuna seria motivazione razionale alle forzature sull’alternanza scuola-lavoro. La legge ha subito causato molti problemi agli istituti e ai docenti, con gare tra scuole per piazzare centinaia di studenti, talvolta su territori limitati: nel primo anno di attuazione della norma erano coinvolti 653 mila alunni; e dall’a.s. 2018/9, quando si andrà regime, il processo riguarderà un milione e mezzo di studenti. È estremamente difficile proporre a ciascuno studente un percorso qualificato e qualificante, coerente con il percorso scolastico, non in conflitto con l’orario di lezione. Queste tre condizioni difficilmente riescono a combinarsi, tanto che spesso si tratta di esperienze, quando non inutili e lesive del tempo scuola e dello studio pomeridiano (come accade sovente per i percorsi proposti ai liceali), ai limiti della legalità, come si è verificato in molte situazioni, soprattutto a carico degli studenti dei professionali; o tragicamente illegali, come nel caso di Monza. A fronte di casi di eccellenza – che fanno registrare, però, ancora una volta, un divario considerevole tra Nord e Sud – il mondo dell’alternanza presenta infinite zone d’ombra, che non è più possibile tollerare. Gli arroganti dilettanti allo sbaraglio del Miur hanno giocato alla “modernità” sulla pelle dei nostri figli: nel registro nazionale per l’alternanza (in cui compaiono i soggetti certificatori) c’è di tutto, come dimostrano tristemente le violenze di Monza.
Nessuno (e forse il sindacato, da questo punto di vista, avrebbe dovuto dimostrare la massima sensibilità) si sta occupando del fatto che, oltre che un bacino di potenziale sfruttamento, per lo più ai danni di studenti minorenni (quelli del terzo e quarto anno delle superiori), e di uno svuotamento del concetto di cultura emancipante, l’alternanza scuola-lavoro configura, in perfetta continuità con il Job’s Act, la costruzione intenzionale di un lavoratore acritico, totalmente inconsapevole dei propri diritti e dei propri doveri; per il quale contratto e decenni di lotte per la dignità del lavoro non rappresentano assolutamente un riferimento, né un vincolo imprescindibile.
Il caso di Monza, con le ragazze (tra i 15 e i 17 anni) ridotte in uno stato di soggezione psicologica per il fatto che l’imprenditore doveva redigere e inviare alla scuola la valutazione finale, dalla quale dipende l’esito dell’intero anno scolastico, dimostra quali siano le caratteristiche dei futuri lavoratori modello Job’s Act: demansionati, acquiescenti, inconsapevoli, succubi, ricattabili.
Scandalosa la reazione della ministra Valeria Fedeli, che ha parlato del caso delle ragazze monzesi (si ipotizza non le uniche ad aver subito violenza) come di qualcosa che non la riguardi direttamente. Il caso (ma dai?) sarebbe di «enorme gravità». Ha inoltre dato sostegno alla decisione annunciata dall’assessore regionale lombardo all’Istruzione, Valentina Aprea, di «volersi costituire parte civile contro l’indagato». «È inammissibile che le nostre ragazze e i nostri ragazzi possano essere oggetto di simili violenze, mentre stanno svolgendo un pezzo della loro formazione». Già, è inammissibile. Come è inammissibile che non ci sia mai un’assunzione di responsabilità; ad esempio: chi ha autorizzato l’imprenditore a entrare nell’albo? Le domande sarebbero moltissime. Ad esse difficilmente qualcuno darà risposte e – soprattutto – da parte di un ministero ridicolo e ridicolmente guidato da una signora che sbandiera il suo passato di sindacalista e sostenitrice delle lotte per i diritti delle donne, ma non riesce nemmeno a garantire l’incolumità fisica, psichica e etica dei e delle giovani che ogni giorno si affidano alla pubblica istruzione.
E’ ora di invertire la marcia. E adesso occorrono parole chiare e definitive. Sindacati, ministero e governo devono esprimersi inequivocabilmente e dalla società civile deve partire una richiesta intransigente.