Fonte:
il manifestoAutore:
Alessandro Portelli
Era meglio l’Alabama, almeno lì lo ius soli era dato per scontato, c’era meno ipocrisia, non c’era nessuno che cercava di farci credere che esclusioni, barriere, respingimenti, discriminazioni sono cose di sinistra e che giocava cinicamente su un principio sacrosanto e sui diritti di centinaia di migliaia di giovani. L’Italia (e l’Europa) che chiudono i porti a chi salva i migranti, la repubblica democratica fondata sul lavoro che dai Nebrodi a Civitavecchia a Gorino schiera decine di sindaci e di elettori in barricate contro poche decine di povera gente non ha diritto di sorprendersi se il fascismo diventa senso comune.
Se gli insulti antisemiti hanno cittadinanza in parlamento, se gli slogan mussoliniani blaterano dagli altoparlanti balneari, se i fascisti del terzo millennio fanno le ronde contro gli ambulanti sulle strade fra l’indifferenza di tutti e il consenso di molti, e se in un giorno solo si registrano quattro donne uccise da uomini. Il fascismo – la prevaricazione di chi si sente contemporaneamente forte e minacciato – è diventato senso comune, e non sarà una legge per quanto sacrosanta a cambiare la testa ormai infetta e il cuore incallito di questo paese.
La destra da Salvini a Grillo fa il suo vergognoso lavoro, ma siamo noi che glielo lasciamo fare perché non facciamo il nostro. Da quanto tempo è che a «sinistra» la politica significa alleanze, premi di maggioranza, alchimie elettorali, tattiche e giochi parlamentari.
E non parliamo più delle ragioni per cui un tempo dicevamo di essere di sinistra? Qui non si tratta solo di Pd, Renzi, Gentiloni, Alfano, e della sciocca convinzione che si «vince» inseguendo gli umori peggiori della gente – primo, perché «la gente» si fida di più dell’originale; secondo, perché hai picconato tutte le aggregazioni e i corpi intermedi, dai partiti ai sindacati alla scuola, e hai lasciato tutti soli a far parte di una «gente» indistinta e vulnerabile. E infine, perché pensi che vittoria sia quella in cui prima ancora di competere hai già dato ragione al tuo avversario sui principi di fondo? Ma va detto anche che se tutto quello che confusamente si agita a sinistra del Pd non si impegna con tutte le forze in una battaglia di civiltà come questa, senza opportunismo e tattiche, allora neanche questa ha molta ragione di esistere. Ho sempre pensato e scritto che la forma moderna della lotta di classe è l’immigrazione – i poveri che cercano di condividere quello che hanno i ricchi. Se alla lotta di classe ci crediamo ancora, è qui che la troviamo.
Dico battaglia di civiltà, perché non si tratta neanche di razzismo e migrazione come questione specifica, ma della sostanza della democrazia nel mondo globalizzato. Le mobilitazioni contro migranti e rom sono il sintomo malato di un senso diffuso di non contare più niente, di eleggere rappresentanti che da un lato sono indifferenti e lontani e dall’altro sono impotenti di fronte a poteri non eletti e insindacabili (mi raccontavano compagni della Fiom anni fa che, durante un drammatico sciopero di operai siderurgici, il governo di allora rispose che non aveva né l’intenzione né il potere di interferire con le scelte di una multinazionale. Ma allora, chi eleggiamo, il governo o la multinazionale?) Su questo si regge il chiudersi sulla sfera più immediata, quella su cui ancora ci si può illudere di contare qualcosa – «non nel mio giardino», «padroni a casa nostra»… E prendersela con il bersaglio più immediato e più facile (mi viene da pensare che la logica che anima le barricate contro i migranti è la stessa che dava ai partigiani le colpe delle stragi naziste; insomma ce la prendiamo con chi possiamo toccare perché la fonte dei nostri dolori è lontana e invisibile).
Nel messinese le montagne bruciano e tanta gente si mobilita contro i migranti. Gli incendi, come la crisi, l’impoverimento, la precarietà, la disoccupazione, la solitudine gli appaiono come fatti naturali e ineluttabili, mentre i migranti sono lì, visibili e tangibili.
Perciò la battaglia antifascista va fatta certo sui valori, i principi, le idee, la cultura, la scuola, i media, e tutto. Ma se non si riesce – ed è compito nostro provarci – a restituire alla maggioranza dei cittadini il senso di essere cittadini davvero, di avere diritto davvero alla casa, al lavoro, alla salute, di poter avere voce in capitolo e lottare per queste cose con qualche possibilità di essere ascoltati, di esercitare la loro sovranità popolare con i mezzi partecipati previsti dalla Costituzione, allora non gli lasciamo altro che l’illusione solitaria e sovrana di Salvini, di Grillo e di Alfano.
Era meglio l’Alabama, almeno lì lo ius soli era dato per scontato, c’era meno ipocrisia, non c’era nessuno che cercava di farci credere che esclusioni, barriere, respingimenti, discriminazioni sono cose di sinistra e che giocava cinicamente su un principio sacrosanto e sui diritti di centinaia di migliaia di giovani. L’Italia (e l’Europa) che chiudono i porti a chi salva i migranti, la repubblica democratica fondata sul lavoro che dai Nebrodi a Civitavecchia a Gorino schiera decine di sindaci e di elettori in barricate contro poche decine di povera gente non ha diritto di sorprendersi se il fascismo diventa senso comune.
Se gli insulti antisemiti hanno cittadinanza in parlamento, se gli slogan mussoliniani blaterano dagli altoparlanti balneari, se i fascisti del terzo millennio fanno le ronde contro gli ambulanti sulle strade fra l’indifferenza di tutti e il consenso di molti, e se in un giorno solo si registrano quattro donne uccise da uomini. Il fascismo – la prevaricazione di chi si sente contemporaneamente forte e minacciato – è diventato senso comune, e non sarà una legge per quanto sacrosanta a cambiare la testa ormai infetta e il cuore incallito di questo paese.
La destra da Salvini a Grillo fa il suo vergognoso lavoro, ma siamo noi che glielo lasciamo fare perché non facciamo il nostro. Da quanto tempo è che a «sinistra» la politica significa alleanze, premi di maggioranza, alchimie elettorali, tattiche e giochi parlamentari.
E non parliamo più delle ragioni per cui un tempo dicevamo di essere di sinistra? Qui non si tratta solo di Pd, Renzi, Gentiloni, Alfano, e della sciocca convinzione che si «vince» inseguendo gli umori peggiori della gente – primo, perché «la gente» si fida di più dell’originale; secondo, perché hai picconato tutte le aggregazioni e i corpi intermedi, dai partiti ai sindacati alla scuola, e hai lasciato tutti soli a far parte di una «gente» indistinta e vulnerabile. E infine, perché pensi che vittoria sia quella in cui prima ancora di competere hai già dato ragione al tuo avversario sui principi di fondo? Ma va detto anche che se tutto quello che confusamente si agita a sinistra del Pd non si impegna con tutte le forze in una battaglia di civiltà come questa, senza opportunismo e tattiche, allora neanche questa ha molta ragione di esistere. Ho sempre pensato e scritto che la forma moderna della lotta di classe è l’immigrazione – i poveri che cercano di condividere quello che hanno i ricchi. Se alla lotta di classe ci crediamo ancora, è qui che la troviamo.
Dico battaglia di civiltà, perché non si tratta neanche di razzismo e migrazione come questione specifica, ma della sostanza della democrazia nel mondo globalizzato. Le mobilitazioni contro migranti e rom sono il sintomo malato di un senso diffuso di non contare più niente, di eleggere rappresentanti che da un lato sono indifferenti e lontani e dall’altro sono impotenti di fronte a poteri non eletti e insindacabili (mi raccontavano compagni della Fiom anni fa che, durante un drammatico sciopero di operai siderurgici, il governo di allora rispose che non aveva né l’intenzione né il potere di interferire con le scelte di una multinazionale. Ma allora, chi eleggiamo, il governo o la multinazionale?) Su questo si regge il chiudersi sulla sfera più immediata, quella su cui ancora ci si può illudere di contare qualcosa – «non nel mio giardino», «padroni a casa nostra»… E prendersela con il bersaglio più immediato e più facile (mi viene da pensare che la logica che anima le barricate contro i migranti è la stessa che dava ai partigiani le colpe delle stragi naziste; insomma ce la prendiamo con chi possiamo toccare perché la fonte dei nostri dolori è lontana e invisibile).
Nel messinese le montagne bruciano e tanta gente si mobilita contro i migranti. Gli incendi, come la crisi, l’impoverimento, la precarietà, la disoccupazione, la solitudine gli appaiono come fatti naturali e ineluttabili, mentre i migranti sono lì, visibili e tangibili.
Perciò la battaglia antifascista va fatta certo sui valori, i principi, le idee, la cultura, la scuola, i media, e tutto. Ma se non si riesce – ed è compito nostro provarci – a restituire alla maggioranza dei cittadini il senso di essere cittadini davvero, di avere diritto davvero alla casa, al lavoro, alla salute, di poter avere voce in capitolo e lottare per queste cose con qualche possibilità di essere ascoltati, di esercitare la loro sovranità popolare con i mezzi partecipati previsti dalla Costituzione, allora non gli lasciamo altro che l’illusione solitaria e sovrana di Salvini, di Grillo e di Alfano.
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