E’ la loro funzione. Ideologica, non informativa. Facciamo un esempio? E va bene…
Sul Corriere del 20 luglio Daniela Manca scrive un editoriale dal titolo Il lavoro al centro (a parole) che sembrava davvero promettente. “Siamo entrati nell’era delle carriere discontinue. È l’effetto più dirompente creato da rivoluzione tecnologica, mancata crescita, concorrenza estrema tra aziende e Paesi. Questo produce una generale sensazione di incertezza tra quanti hanno un lavoro e tra chi invece ancora non ha un’occupazione, o ce l’ha ma frammentata nel tempo, segnatamente i giovani. Una situazione che sta minando la demografia perché rende più difficile la scelta di fare figli, di mettere su famiglia. Mina le scelte individuali e di investimento sul lavoro momentaneamente ottenuto a causa della precarietà e quindi, a cascata, mina la competitività delle aziende. E mette in discussione non solo i conti del welfare ma la composizione della spesa e cioè a chi e come dare assistenza in caso di difficoltà”.
Una fotografia semplice, d’impatto, della situazione attuale. Come se ne esce?
Qui l’argomentazione di Manca si inceppa, perché prende di petto alcuni segnali all’interno del governo emersi in questi giorni. Tipo la convergenza tra Damiano e Sacconi (Pd e Pdl, entrambi nati e cresciuti nella Cgil “in quota Psi”) nel cercare di immaginare un piccola revisione dell’Ape social, tale da consentire alle donne di anticipare il ritiro dal lavoro previsto dalla legge Fornero, pur in presenza di un monte contributivo inferiore a 30 anni. Qui scatta la giaculatoria contro “il rischio… di concentrarsi esclusivamente sul welfare” quando si deve affrontare il problema di “accompagnare le persone nei loro momenti difficili”. Con l’ovvia conseguenza di “aumentare le entrate, quindi le imposte”.
Al contrario, vorrebbe spiegare Manca, bisognerebbe parlare di “politiche attive del lavoro”. Il lettore attento e paziente deve però arrivare proprio alle ultime righe del pezzo per sapere quali “politiche attive” l’editorialista abbia in testa e per cui servirebbe una classe politica come quella “che portò nel 2005 la Germania ad avviare riforme che ancora oggi ne garantiscono occupazione e competitività”.
Il riferimento è alla riforma del lavoro chiamata “Hartz IV”, che introdusse anche in Germania la precarietà, i mini-job, i salari inferiori (anche del 70%) a quelli contrattuali. Un capolavoro firmato Gerhard Schroeder, ovvero da un governo “socialdemocratico”, con l’acquiescenza dei sindacati tedeschi.
La prima obiezione che viene in testa a un lavoratore italiano mediamente informato è questa: in Italia quelle “riforme” sono già state fatte, e in forma addirittura molto più radicale. Il “pacchetto Treu” (1997, governo Prodi, con Rifondazione dentro) legalizzò alcune decine di forme contrattuali precarie (dal lavoro temporaneo a quello “a chiamata”). Ne 2003 la “legge 30” (furbescamente rinominata dal governo Berlusconi “legge Biagi”) estese a dismisura quelle forme contrattuali. Nel 2015 il Jobs Act di Renzi chiude il cerchio legalizzando quasi tutte le forme fin qui rientranti nel lavoro nero e, soprattutto, abolendo l’articolo 18 (tutela del singolo lavoratore dal licenziamento senza giusta causa, ossia arbitrario, disciplinare, politico, discriminatorio).
Insomma, un lavoratore di questo paese potrebbe rispondere ai tanti professor Manca che qui è stato fatto molto più che in Germania, su questo fronte; semmai abbiamo da insegnar loro qualcosa…
Ma la domanda vera, cui neanche i Manca possono rispondere onestamente, è questa: ma le riforme Hartz IV, dopo tanti anni, stanno davvero garantendo occupazione e competitività? Sul secondo punto, come sa ogni economista, incidono molti altri fattori, oltre al costo del lavoro: innovazione tecnologica, filiere produttive articolate, dominanza commerciale sui mercati, qualità o unicità dei prodotti.
La risposta è comunque certamente NO per quanto riguarda l’occupazione. Il Die Welt ha diffuso il dato più rilevante di una ricerca: i lavoratori (ex giovani, ormai 40enni) che sono state coinvolti nel “sistema Hartz IV”, quando perdono il “lavoretto” (mini job), restano disoccupati a lungo. Sempre più a lungo. Insomma, la disoccupazione ufficiale tedesca è statisticamente “abbassata” dal ricorso a un sistema articolato di precarietà e sussidi, ma non certo irrilevante. Soprattutto, questo “sistema” ha creato poveri a vita, una fetta crescente di popolazione che – pur rispettando le regole stabilite e accettando qualsiasi lavoretto, per quanto ignobile, sottopagato e dequalificato possa essere – non uscirà mai da una condizione miserabile. Nonostante – e non è un dettaglio secondario, nel confronto impietoso con la situazione italiana – possano godere di un tetto sulla testa ad affitto calmierato, visto che in Germania il patrimonio di edilizia residenziale pubblica sfiora ancora il 40% del totale (in Italia meno del 2%, ormai).
Qui di seguito l’articolo di Stefano Solaro sul Die Welt, tradotto in italiano dal sito vocidallestero.it/.
Die Welt – I destinatari dell’Hartz IV restano disoccupati sempre più a lungo
In
Germania le persone coinvolte nel sistema Hartz IV, destinatarie dei
relativi sussidi, restano disoccupate sempre più a lungo.
Secondo il Passauer Neuer Presse, tra le persone in grado di svolgere un’attività lavorativa che l’anno scorso erano dipendenti da questo sistema di sostegno al reddito la durata della disoccupazione è stata in media di 629 giorni.
Si tratta di 74 giorni in più rispetto al 2011, il che significa un aumento del 13,3%.Secondo il Passauer Neuer Presse, tra le persone in grado di svolgere un’attività lavorativa che l’anno scorso erano dipendenti da questo sistema di sostegno al reddito la durata della disoccupazione è stata in media di 629 giorni.
Il giornale bavarese ha ripreso una ricerca elaborata dall’Agenzia Federale del Lavoro su una richiesta esplicita di Sabine Zimmermann, del partito Die Linke.
“La mancanza di prospettive per chi è costretto a richiedere l’Hartz IV è aumentata negli ultimi anni”, ha dichiarato Sabine Zimmermann.
Da qualche anno i servizi per facilitare l’integrazione dei disoccupati nel mondo del lavoro hanno subito una drastica riduzione. In questo modo il governo federale ha scelto di abbandonare milioni di persone al loro destino.
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